Orsi del Trentino riparte il circo mediatico: ancor prima di avere certezze si parla di abbattimenti con la certezza per l’amministrazione di avere maggior ascolto. Con un governo che vede al centro l’uomo mentre la tutela ambientale diventa satellite di un antropocentrismo decisamente miope. Così dopo una supposta aggressione, dalle circostanze non ancora chiarite, da parte di un orso a un certo Alessandro Cicolini, fratello del sindaco di Rabbi già si parla di abbattimenti. Leggendo le notizie riportate sui vari giornali le uniche certezze sembrano essere la presenza di un cane e un rotolamento da una scarpata. Dove sarebbero caduti orso/a e escursionista.
Molti sono gli interrogativi sulle ferite, che non è certificato siano morsi o ingiurie provocate dalle caduta, né si avranno mai certezze sulla custodia del cane. Era tenuto davvero al guinzaglio anche se sembra che non ci fossero altri escursionisti? Non una parola sul fatto che determinate aree, dove è stata accertata la presenza di orsi, dovrebbero essere interdette ai cani. In compenso parte veloce e fragorosa come una fucilata la richiesta di Fugatti di avere mano libera nella gestione. Destinata a un ministro dell’ambiente che non pare abbia il piglio necessario per rintuzzare le solite richieste del presidente della PAT.
Orsi del Trentino riparte il circo mediatico, con sempre gli stessi protagonisti, identiche richieste e uguali scorciatoie il presidente Fugatti, l’assessore Zanotelli
I protagonisti sono gli stessi, su base trentina, ma quello che è cambiato è il governo nazionale, che in questo momento è l’esecutivo più vicino al mondo della caccia di sempre. Con una visione che pone sempre al centro l’uomo e la tenuta dell’economia e solo dopo, molto dopo, anche la tutela ambientale. Certo qualcuno potrebbe affermare che uccidere qualche orso non mette in pericolo la popolazione del Trentino, né rappresenta un danno ambientale concreto, e sotto il punto scientifico potrebbe essere affermazione realistica. Il problema va però affrontato da un altro punto di vista e riguarda metodo e visione.
Diamo per un attimo per scontato che in presenza di un pericolo e di un orso aggressivo si possa accettarne l’abbattimento, per tutelare la restante popolazione dei plantigradi e l’incolumità umana. Un fatto grave, eticamente riprovevole ma supportato dalla necessità di tutela di un patrimonio collettivo. Ma perché possa essere anche lontanamente una scelta giustificabile, non sostenuta da accessi forcaioli dove la morte dell’orso diventa un trofeo elettorale, occorrerebbe aver fatto il possibile per evitare l’eventuale concretizzazione dell’evento. Un’ipotesi del tutto inapplicabile alla gestione degli orsi del Trentino.
Per tutelare orsi e cittadini occorre fare corretta informazione
Le giunte che hanno governato la provincia autonoma di Trento non hanno fatto nulla per mettere in sicurezza popolazione e orsi, che ricordiamo essere una specie ombrello, molto importante per gli ecosistemi che la ospitano. Sono mancati incontri capillari e continuativi per spiegare i comportamenti da tenere in caso di incontro con gli orsi, che certamente non comprendono il mettersi a correre, Come ha dichiarato di aver fatto il Cicolini. Non si è fatta sufficiente informazione sui comportamenti positivi, come quello di fare rumore, per avvertire gli orsi della nostra presenza. Non sono state prese misure per limitare l’accesso alle aree in cui sono presenti orse con i piccoli, come viene fatto in Abruzzo.
Il presidente Fugatti vorrebbe orsi teleguidati che attirino il turismo ma che non causino fattori di disturbo
Una visione dell’equilibrio naturale e della gestione faunistica irrealizzabile. Una visione della convivenza con un angolo troppo ristretto per consentire effetti ambientali benefici. Specie in una regione ad alto tasso di antropizzazione ma anche di inquinamento, a causa di un’agricoltura estensiva onnipresente. Con in più l’onnipresente concetto di totipotenza secondo il quale l’uomo sia realmente in grado di gestire la natura. Mentre dovrebbe limitarsi a proteggere una parte importante del territorio per difendere l’equilibrio ambientale, senza credere di avere una reale capacità di gestione.
Ora occorrerà attendere, se saranno fatte e rese note, le indagini volte a capire responsabilità, entità reale del danno e certezza sull’orso responsabile dell’episodio. Mentre temo che saranno attese invano disposizioni che restringano agli escursionisti la fruizione di determinate aree e l’attuazione di una campagna capillare di informazione.
Nel frattempo le nuvole temporalesche che si sono da sempre addensate sugli orsi del Tentino temo continueranno ad addensarsi. Non lasciando presagire nulla di buono per il futuro degli orsi del Trentino, che spero non debbano subire la stessa sorta del quasi dimenticato M49, tutt’ora rinchiuso nel centro di detenzione di Casteller, costretto a trascorrere una vita fatta soltanto di privazioni e noia.
Una delle tante scorribande a Roccaraso di Juan Carrito
Investì l’orso Juan Carrito causandone la morte nello scorso mese di gennaio, un evento che parve subito accidentale non attribuibile al comportamento del guidatore del veicolo. Come risulta dalle attività dei Carabinieri e delle Guardie del parco intervenute sul posto: il conducente non avrebbe potuto evitare Carrito. L’orso infatti è saltato improvvisamente sulla carreggiata, da un muretto che costeggia la statale. Un tratto di strada più famigerato che famoso, visto che sono stati diverse le collisioni con altri orsi, due delle quali mortali.
“Carrito è morto per un incidente stradale lungo un’arteria, la SS 17, che prima di lui, negli ultimi anni, aveva già ucciso altri 2 orsi nel tratto tra Castel Di Sangro e Roccaraso e aveva registrato l’investimento, per fortuna senza conseguenze di altri 2 individui. Nessuno di quegli orsi aveva il comportamento confidente di Carrito. A dimostrazione che Carrito non è morto perché era Carrito, ma perché, come tutti gli altri orsi era libero di muoversi sul territorio”.
Tratto dal sito del PNALM
L’investitore, Luciano Grossi, di Castel di Sangro, la tragica notte dell’investimento ha subito avvisato i Carabinieri, un comportamento purtroppo non così comune. Questo però non è bastato ad evitargli insulti sui social e denunce, da quanti non perdono occasione per cercare un momento di notorietà. Così la perdita dell’orso più famoso d’Italia ha dato il via a ogni sorta di polemica con attacchi a 360°, senza risparmiare alcuno. Dall’investitore al Parco d’Abruzzo, che secondo molti non aveva fatto a sufficienza per proteggere Juan Carrito in un crescendo di accuse decisamente senza senso. Questo non vuol dire che non possano esserci stati errori, è inevitabile, ma certo non per trascuratezza.
Investì l’orso Juan Carrito causandone la morte, ora che è stato prosciolto denuncia chi lo aveva accusato
Ho scritto spesso su questo blog e sui giornali le azioni di Carrito, ho cercato di raccontare, come molti altri, come gestione dei rifiuti e comportamento delle persone fossero la causa delle sue azioni. Un orso può nascere curioso, più intraprendente di altri, può anche avere un’intelligenza particolare, come può accadere a un umano, ma se diventa confidente la colpa è solo della nostra specie, dei nostri comportamenti. Gli animali selvatici non vanno fatti diventare fenomeni da baraccone, devono avere paura dell’uomo se vogliono sopravvivere, e devono stare lontano dai nostri insediamenti. Chi dice il contrario giustifica comportamenti che possono soddisfare il proprio ego, potendo però anche condannare a morte un animale.
Fra le tante cose scritte e dette in quei giorni, pro e contro il Parco, responsabile secondo i detrattori di non aver fatto quanto era possibile e di aver alterato la verità dei fatti, una considerazione è mancata del tutto. Certo è sempre più facile accusare che difendere, anche perché le accuse, anche le più stupide, sono sempre più condivise dei pacati ragionamenti. Quello che non ho letto è legato al sostantivo “coraggio”, alla determinazione di far restare Carrito un orso libero. Di non far fare a questo giovane orso marsicano la fine di M49, l’orso trentino rinchiuso da anni, in pochi metri quadrati, nel centro di detenzione di Casteller.
Tratto dal sito del PNALM nei giorni appena successivi alla morte di Juan Carrito
Se Juan Carrito è morto da orso libero questo lo si deve alle scelte fatte dal Parco d’Abruzzo
Può essere che il PNALM abbia fatto degli errori nella gestione del problema Carrito. Ma anche molte cose importanti come, per esempio, grazie alle sinergie con l’associazione Salviamo l’Orso la messa in sicurezza di molti tratti della SS17. La strada della morte, anche se fuori dai confini del parco, ora è un po’ più sicura per gli animali. Ma non è per questo che parlavo di coraggio. La scelta coraggiosa è stata quella di difendere ostinatamente e con ogni mezzo la libertà di Carrito. Rifiutando la scorciatoia più facile costituita dal rinchiudere quest’orso, dal sollevarsi dalla responsabilità che l’orso, confidente e problematico, potesse causare la morte di una persona.
Con tutte le inevitabili conseguenze di natura penale, amministrativa e erariale che sarebbero potute ricadere sulla testa di Giovanni Cannata, presidente del PNALM e del direttore del parco Luciano Sammarone. Se Carrito è morto da orso libero questo fatto deve essere riconosciuto come un merito loro, unitamente alla tolleranza che da sempre gli abitanti di quei luoghi hanno sempre avuto nei confronti della fauna. Ma ricordo di aver letto pochi apprezzamenti e riconoscimenti e molte critiche, senza meriti per aver operato scelte non facili per un amministratore pubblico.
Con i tempi che corrono per la difesa della fauna occorrono persone di coraggio e di principi, capaci di non svendere alla politica la conservazione del nostro patrimonio naturale. Per questo è importante fare informazione di qualità, senza tener conto di quanto questa possa piacere ai tuttologi dei social, agli odiatori di professione. Le opinioni possono divergere, ma il dibattito deve sempre restare civile, senza dimenticare l’obiettivo primario: la difesa del capitale naturale.
Un crescendo di uccisioni a colpi di fucile che una volta rimanevano nascoste, facendo prediligere ai bracconieri la tecnica delle tre “S”: spara, scava, sotterra. Mentre ora, sarà anche grazie alle dichiarazioni di alcuni ministri e al governo più filo-venatorio della Repubblica, gli episodi di bracconaggio si moltiplicano, con cadaveri lasciati volutamente in bella mostra. Come a rappresentare la possibilità per il bracconaggio contro i lupi di rialzare la testa. Messaggi inquietanti per chi si occupa di tutela ambientale e della difesa degli animali, ma forse anche messaggi chiari verso la politica perché adotti provvedimenti.
Quello che appare è un quadro a tinte fosche che vede un’esposizione preoccupante del bracconaggio, stimolato probabilmente anche dalle dichiarazioni “esuberanti” dei politici come il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida. In un momento in cui l’idea del fare sembra prevalere rispetto all’idea di risolvere i problemi. Ben sapendo che l’abbattimento dei lupi non servirà a risolvere il problema delle predazioni degli animali lasciati incustoditi al pascolo. Il numero delle predazioni degli animali allevati non dipende dal numero dei lupi, ma dall’attrattività delle prede: se sono facili da uccidere sono cibo a basso dispendio energetico.
Azioni di bracconaggio sui lupi in crescita, senza che nemmeno il ministero dell’ambiente faccia sentire la sua voce
Le azioni di bracconaggio sono passate inosservate, anche quando un gruppo di cacciatori di cinghiali ha ucciso un lupo vicino alle case, davanti agli occhi di un bambino. Sui media solo poche righe, nessuna dichiarazione ufficiale delle autorità e nemmeno dei politici. Completamente assente anche il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che non risulta abbia mai detto parola contro il bracconaggio., tanto da far rimpiangere persino il suo predecessore Cingolani.
Per fortuna, almeno per il momento, esistono baluardi europei difficili da espugnare, anche per i fautori della caccia al lupo, come la Convenzione di Berna, Senza contare la legge sulla caccia che classifica il lupo come specie particolarmente protetta, che senza modifiche non consente deroghe al divieto di abbattimento. Visti i tempi non bisogna certo sentirsi rassicurati: a modificare la legge 157/92 basta un atto parlamentare. In questo momento, forse, la miglior barriera contro la caccia selvaggia al lupo sono i fondi del PNRR, che potrebbero esserci negati in caso di palesi violazioni.
Il lupo è il nemico numero uno degli allevatori, anche se i danni da predazione dei lupi vengono indennizzati
Le predazioni che i lupi fanno nei confronti degli animali al pascolo sono sempre indennizzate dalle Regioni. In modo insoddisfacente sentendo gli allevatori, che spesso scordano quanti incentivi riceva l’agricoltura e dimenticano come in ogni attività esista il rischio di impresa. Accettato quando si parla delle grandinate, considerate un fenomeno naturale imponderabile, ma non se a provocar danni è un altro fenomeno della natura: il lupo. Colpevole di aver da sempre cattiva fama e di volersi comportare proprio come la natura lo ha programmato: un superpredatore ai vertici della catena alimentare.
I canili non combattono il randagismo, proprio come i manicomi non cancellano la follia. Luoghi accomunati spesso da un alto tasso di sofferenza e da una scarsa possibilità di trovare una via di fuga. Specie per tutti quei soggetti problematici, complessi, piegati da condizioni di vita inaccettabili e irrimediabilmente segnati nell’anima. Questo non vuol dire che tutte le strutture di ricovero siano luoghi di sofferenza senza soluzione o che i rifugi non servano a trovar casa ai cani più equilibrati, ma sfortunati. Soltanto non bisogna vedere i canili come la soluzione di un’emergenza, che purtroppo non è ancora universalmente considerata tale.
Sono oramai decenni che il randagismo sembra un fenomeno invincibile, che assorbe fiumi di denaro che molto spesso finiscono nelle mani sbagliate. Finanziando una sotto criminalità e talvolta quella organizzata, senza però cambiare la realtà dei fatti, specie nel centro Sud Italia, dove sono tanti gli interessi che ruotano intorno al fenomeno. Con nuovi canili in costruzione, annunciati come successi mentre rappresentano il segno tangibile della sconfitta, e con quelli esistenti pieni a raso. Purtroppo come le strade e le campagne del sud Italia, in una giostra di nascite e catture che sembra non finire mai.
Guardando il fenomeno randagismo con occhio tecnico, senza quei coinvolgimenti emotivi che talvolta complicano e non risolvono, sembra davvero impossibile che non si riesca a invertire la rotta. Dal dopoguerra ad oggi sono state provate due strategie di contenimento: una basata sull’abbattimento massiccio di centinaia di migliaia di animali ogni anno, l’altra su cattura e custodia. Creando molte volte detenzioni che durano per tutta la vita e spesso anche oltre, truffando in questo modo i Comuni che si trovano a pagare anche per cani fintamente longevi, in realtà morti da tempo.
I canili non combattono il randagismo, ma sottraggono risorse importanti alla tutela degli animali
Volendo contrastare davvero il randagismo bisognerebbe in primo luogo aumentare il tasso di rispetto della legalità. In un paese che ha troppe norme, molte delle quali completamente disattese anche grazie alla mancata azione di quanti avrebbero l’obbligo di farle applicare. Inutile fare l’anagrafe canina se poi l’apparato di controllo non si impegna per ottenere l’iscrizione di tutti gli animali di proprietà. Stesso discorso per i veterinari che non segnalano i loro clienti, quando hanno cani sprovvisti di microchip, continuando a accettare che sia il proprietario a poter scegliere. Con buona pace del buon senso, della tutela degli animali e del rispetto delle leggi.
Un gran parte della sconfitta origina proprio dal fatto di tollerare che la parte peggiore della società si comporti senza rispettare le regole. Appare infatti chiaro che i cittadini responsabili si preoccupano di identificare e iscrivere i loro animali, per correttezza e per avere la possibilità di ritrovarli se si perdono. Mentre si tollera chi considera i propri animali uno strumento, una “cosa” che non deve causare responsabilità, rifiutando l’iscrizione. Per sintesi questo significa che in anagrafe sono iscritti gli animali dei cittadini responsabili, che rispettano gli obblighi, mentre mancano proprio gli animali spesso mal gestiti, quelli che alimentano abbandoni e randagismo.
L’illegalità, a ogni livello, se tollerata da decenni, crea un serbatoio infinito di problemi, che sono poi ribaltati con disinvoltura sull’intera collettività. Tradotti in costi di centinaia di milioni spesi ogni anno per custodire i cani, spesso in pessimi canili, da dove potrebbero non uscire mai. Imprigionati in box di pochi metri quadri, in strutture pensate con una logica sanitaria, senza alcuna considerazione per il benessere degli animali ospitati. Strutture talvolta gestite anche da associazioni, per le quali la quotidiana sofferenza sembra sfumata, diviene invisibile nella convinzione che l’amore sia il viatico per ogni male dello spirito.
Passare dalla gestione sanitaria del canile a una maggiormente rispettosa del benessere animale
I canili sono strutture autorizzate secondo criteri eminentemente sanitari, la cui rigida applicazione lascia poco spazio al reale benessere degli ospiti e anche al loro percorso di normalizzazione. Senza strutture modulate sulle esigenze dei cani, sulla loro socialità, sulla necessità di costruire gruppi e non gestire singole esistenze, molti cani resteranno rinchiusi a vita. In canili aderenti a prescrizioni di leggi datate, dove la prevenzione sanitaria ha sormontato ogni altra esigenza. Dove gli animali rischiano di diventare numeri, specie quando chi gestisce ha una connotazione esclusivamente commerciale e i cani ospitati arrivano a essere anche migliaia.
Occorre agire per impedire che i canili si riempiano e questo si può ottenere solo con il rispetto delle norme e con la giusta attenzione verso i diritti degli animali. Rivedendo le disposizioni sul commercio, vietando le esposizioni nei negozi, facendo campagne di informazione che partano dalle scuole, controllando in modo rigoroso le nascite, contrastando le adozioni d’impulso e le staffette che scaricano animali senza criterio. Bene dare speranza ai randagi del Sud, ma solo seguendo buone pratiche che assicurino benessere, smettendo di tollerare trasferimenti che finiscono solo per spostare il problema, da Sud a Nord, senza pensare al futuro dei cani.
Staffette che abbracciano tutte le declinazioni del comportamento umano
Lontani dagli occhi di chi li ha spediti, in buona o cattiva fede, abbandonandoli a un destino davvero buio. Un comportamento da scafisti, che non si vorrebbe vedere, né con le persone, né con gli animali. Per non parlare di adozioni sbagliate, fatte senza controllo trasferendo cani problematici presentati come ideali da inserire in famiglia. Comportamenti che rappresentano la parte peggiore di questo mondo, fatta di soldi chiesti in nero, di veicoli spesso non a norma di legge, di promiscuità e possibile trasmissione di malattie.
Sul versante opposto c’è chi invece opera con giudizio, con attenzione nei confronti degli animali, trasportandone pochi con i giusti spazi, fatturando il lavoro fatto e pretendendo da chi spedisce la corretta documentazione. Trasportando animali sani, vaccinati e identificati, verso un destino migliore, verso una vita da condividere con una famiglia. Un lavoro fatto con coscienza e trasparenza, che aiuta davvero a incrociare positivamente vite.
Il consiglio resta sempre comunque quello di adottare animali presso strutture, parlando con gli educatori, conoscendo i cani o i gatti. Un’adozione è per sempre e deve essere frutto di una scelta ponderata, fatta consapevolmente, conoscendo un pochino almeno chi si decide di accogliere in famiglia, seguendo i consigli di chi quel cane lo conosce davvero, non ve lo racconta sui social.
Papa Francesco e circo con animali: ancora una volta l’apparenza inganna e sul discorso del circo il Papa sembra rimasto fermo al secolo scorso. La compassione universale che tante volte ha dimostrato, l’attenzione verso l’ambiente e in minima parte verso gli animali non è sufficiente a tenerlo lontano dal circo.Se su molti argomenti, considerando la sua figura, ha avuto incredibili aperture sui diritti degli animali inciampa spesso, balbetta nel concetto, non evolve. Una visione antropocentrica che culmina, non certo per la prima volta, nello spettacolo di un circo con gli animali offerto ai poveri e ai senza fissa dimora della capitale.
L’obiettivo era certo lodevole: come non essere dalla parte di chi aiuta gli ultimi, gli invisibili e i meno difesi offrendogli un sorriso. Peccato che la strada percorsa per raggiungere l’obiettivo abbia trasformato, ancora un volta, il valore dei diritti degli animali facendoli diventare da reali a invisibili. In fondo due aspetti dello stesso male rappresentato dall’incapacità di troppi di voler capire sino in fondo la sofferenza. Non tutto quello che sembra un momento di giocoso e gioioso spettacolo corrisponde alla realtà. Proprio come la finzione della fotografia, tanto plausibile da richiedere una spiegazione.
La storia del circo ha un trascorso ottocentesco di esposizione delle deformità, di creazione e esaltazione di figure mostruose, talvolta false come il Papa della foto, talvolta vere nel loro mancato rispetto della dignità umana. Papa Francesco, attraversando il suo complesso magistero, si è mai soffermato su empatia, rispetto, compassione ma verso gli animali non umani?Si è accorto, per esempio, che tanti profughi in fuga dalla “martoriata Ucraina” avevano al seguito i loro animali? In una situazione drammatica, di sofferenza palpabile, spessa come una coltre di morte, le persone non lasciavano i loro animali. Non è cosa sulla quale riflettere?
Papa Francesco e circo con animali: infliggere sofferenza per divertimento dovrebbe essere una colpa grave
Ha destato stupore che il cardinale Konrad Kraiewski, fidato elemosiniere del Papa, si sia prestato a fare un numero da circo: gettarsi per terra ai piedi di un elefante che lo ha evitato nel suo incedere. Da laico irredimibile potrei dire che quanto accaduto dovrebbe far propendere sul fatto che i pachidermi siano creature di Dio: se fossero stati governati dal demonio probabilmente il cardinale avrebbe rischiato grosso. A quanto si narra il maligno non perde occasione per vendicarsi su chi lo combatte.
Spogliandosi della visione antropocentrica e guardando all’enciclica “Laudato Sì” Papa Francesco parla dimostra un’attenzione importante verso la tutela dell’ambiente. Una scelta oramai obbligata che dovrebbe evitare di mettere mettere sempre e solo l’uomo al centro, con un diritto di dominio che, in realtà, non possiede. Sempre più si comprende l’importanza del principio “un pianeta, una salute”, che sotto il profilo pratico, per essere attuato, richiede la perdita del primato umano sulla natura. Con un concetto che deve essere attraversato dall’armonia, non da un’ingiustificata supremazia.
Proprio per la sua dignità unica e per essere dotato di intelligenza, l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con le sue leggi interne, poiché « il Signore ha fondato la terra con sapienza » (Pr 3,19). Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in sé stesse e noi potessimo disporne a piacimento. Così i Vescovi della Germania hanno spiegato che per le altre creature « si potrebbe parlare della priorità dell’essere rispetto all’essere utili ».
L’enciclica Laudato Sì parla di armonia ma mantenerla passa da un cambio culturale
Il Papa sembra dimenticare che lo sfruttamento di un essere senziente per puro divertimento, obbligandolo ad avere comportamenti innaturali, rappresenta una crudeltà. Molto più laicamente è stato proprio il Trattato di Lisbona a riconoscere che gli animali sono esseri senzienti, prima dell’enciclica papale. Entrambe gli scritti hanno in sé una colpa: avere fatto grandi enunciazioni che non sono state tradotte in azioni concrete. Iniziative come la promozione del circo con animali sono antagoniste non solo verso i diritti degli animali, ma contro la crescita di una diversa coscienza basata sul rispetto.
La Chiesa cattolica, realtà importante per la diffusione dei suoi fedeli, avrebbe il dovere di mettere al centro di ogni azione il rispetto verso l’intero creato. Unico sentimento capace di abbattere muri e di creare ponti. Per questo ferisce l’indifferenza nei confronti della sofferenza, la mancata comprensione del fatto che un elefante non dovrebbe trovarsi sotto uno chapiteaux di un circo. Un affronto commesso non solo nei confronti delle persone che provano empatia verso gli animali, ma contro ogni sforzo che cerca di far prevalere il rispetto alla sopraffazione, la condivisione invece dell’esclusione.
Un brutto messaggio quello che è passato: aiutare i dimenticati e gli ultimi attraverso l’indifferenza verso la sofferenza di altri dimenticati, di altri ultimi. Inaccettabile nei fatti, incomprensibile leggendo l’enciclica Laudato Sì dove si riporta un passaggio sul pensiero di San Francesco, in cui è scritto che anche le creature più piccole sono da considerarsi come fratelli e sorelle. Tempo di cambiare visione sui diritti degli animali, perché talvolta i pastori di anime dimenticano quanto sia ampio il gregge che vien loro affidato, a torto o a ragione a seconda del proprio credo.
Tutela degli animali e giardini zoologici: le contraddizioni di istituzioni e associazioni che scelgono di svolgere attività nei luoghi in cui gli animali sono sfruttati. Una situazione eticamente paradossale, che crea imbarazzo nel fronte di quanti a vario titolo si occupano di tutelare i diritti degli animali. Le notizie di stampa riportano con grande risalto un’iniziativa promossa da Zoomarine -il giardino zoologico con annesso delfinario e molte altre aree tematiche- che promuove la campagna “Se Cupido ci mette lo zampino” con collaborazioni insospettabili. Non soltanto di un’associazione che dichiara di occuparsi di vigilare sul benessere animale ma anche con la partecipazione dell’Assessorato Ambiente di Roma Capitale.
Scopo dell’iniziativa sarebbe quello di trovare famiglia e casa per i cani e gatti ospiti del Rifugio Muratella e dell’Oasi Felina Porta Portese. Sotto l’occhio vigile delle Guardie Zoofile di Agriambiente Lazio che avranno il compito di istruire le famiglie sul rispetto delle necessità degli animali domestici. Questa iniziativa viene portata avanti in una struttura che usa gli animali per fare spettacolo, attività del tutto legale ma che indubbiamente costringe gli animali in cattività per scopi commerciali. In tutto il mondo occidentale si chiede la chiusura di circhi, delfinari e anche di questo tipo di parchi tematici che, fra le altre cose, consentono interazioni con lemuri, pinguini, pappagalli e petauri.
In questo periodo le strutture di cattività per gli animali sono oggetto di critiche, da quelle più aspre nei confronti dei circhi con animali a quelle che riguardano delfinari e luoghi in cui si fa spettacolo. Lo sfruttamento degli animali per divertimento non è ritenuto eticamente accettabile, anche se i parchi tematici continuano, purtroppo, a essere molto attrattivi per il pubblico. Grazie al fatto che l’attenzione nei confronti degli animali e dei loro diritti ha diverse intensità, che variano non soltanto a seconda della specie ma anche del contesto in cui gli animali vengono tenuti.
Tutela animali e giardini zoologici sono realtà incompatibili, specie quando si fa spettacolo
I gestori di giardini zoologici come Zoomarine o Zoom sono stati molto attenti alle coreografie e alla narrazione delle loro attività. Raccontando di bioparchi immersivi o di giardini zoologici utili se non indispensabili a difendere ambiente e biodiversità. Ricreando ambientazioni che impediscono al visitatore poco informato di comprendere le reali condizioni degli animali, prigionieri in piccolissimi territori. Nella realtà i messaggi educativi e l’attenzione verso la biodiversità annegano in un contesto che diventa una macchina per fare soldi. Legittima, legale, criticabile sempre ma non denunciabile, non arrestabile sino a quando la normativa non cambierà radicalmente.
Nell’attesa di norme nuove bisogna cercare di aumentare la divulgazione su quanto queste strutture siano inutili, per far conoscere il comportamento degli animali o per contribuire alla loro conservazione. Questi parchi tematici rappresentano un vantaggio soltanto per le società che li possiedono, con ricadute davvero minime se non inesistenti sulla conservazione. Servono purtroppo, questo si, a riempire gli enormi buchi lasciati dallo Stato per quanto concerne il soccorso di determinate specie e la custodia degli animali in sequestro.
La difficoltà di collocare anche temporaneamente gli animali selvatici e esotici sequestrati rende spesso questi parchi una componente necessaria, ma soltanto a causa delle decennali carenze dell’ente pubblico. Le strutture per il ricovero e la cura degli animali pericolosi, esotici e selvatici dovrebbero essere attività separate da quella di società che utilizzano gli animali per intrattenimento. Per non consentire alibi alla cattività e per non diventare un traino, più o meno consapevole, di realtà quasi esclusivamente commerciali. Aziende capaci di utilizzare al meglio il marketing, veicolando azioni di greenwashing, che generano nei visitatori l’idea di contribuire ad aiutare il pianeta.
Associazioni e amministrazioni pubbliche devono mantenere comportamenti in linea con il loro ruolo
Se stupisce vedere il Comune di Roma coinvolto in attività che in qualche modo regalano visibilità a Zoomarine, altrettanto stupisce quando le associazioni utilizzano queste situazioni per promuoversi. Dovrebbe esistere una linea etica di separazione fra mondi che possono talvolta interagire per necessità ma che non devono sovrapporsi. Un esempio di questa confusione di ruoli sta nelle situazioni alle quali capita di assistere con maggior frequenza: le raccolta di cibo o di fondi che alcune associazioni fanno in negozi dove vengono venduti animali.
Se è vero che il pubblico che li frequenta si identifica quasi sempre con quanti credono di essere sensibili ai diritti degli animali è altrettanto vero che la presenza delle associazioni nei negozi diventa una giustificazione al commercio degli animali vivi.
Il commercio degli animali nasconde grandi aree grigie e poco indagate di maltrattamento ed è un fenomeno contro il quale viene fatta poca educazione. Proprio a causa di quella zona intermedia che collega commercio con gli amanti degli animali e con chi li difende. Una zona grigia che bisogna cominciare a infrangere, raccontando in modo molto chiaro che avere in casa animali selvatici non significa amarli e che non può esistere amore quando non si rispettano esigenze e caratteristiche etologiche. Se non cerchiamo di far vedere davvero questi prigionieri per quello che sono, vittime del nostro modo distorto di considerarli. le cose non cambieranno mai.
Bocconi avvelenati: fenomeno criminale che si sarebbe dovuto contrastare anche grazie a un app messa a disposizione dei cittadini da parte del Ministero della Salute. Lo spargimento di sostanze tossiche, sotto forma di esche o bocconi, sta prendendo sempre più piede, diventando un fenomeno rilevante sia per quanto riguarda il bracconaggio che per lo spargimento di tossici nei giardini cittadini. Un crimine molto pericoloso, che non ha un obiettivo preciso se non quello di uccidere animali, accettando così il rischio che uno di questi bocconi possa finire anche nelle mani di un bimbo.
Da tempo i Carabinieri Forestali. e non soltanto, si sono dotati di unità cinofile specializzate nella ricerca di bocconi avvelenati, ma purtroppo sono ancora in numero insufficiente rispetto alle richieste e alle segnalazioni che arrivano dal territorio. Lo spargimento di sostanze tossiche non soltanto è un comportamento irresponsabile ma anche un reato in cui risulta complesso riuscire a individuare i responsabili, Una realtà aggravata dalla possibilità di trovare in qualsiasi garden o negozio di bricolage un campionario sterminato di sostanze tossiche messe liberamente in commercio.
L’App realizzata dal Ministero della Salute integra la raccolta dati del portale avvelenamenti, il cui uso è riservato ai medici veterinari, e potrà aumentare il numero delle segnalazioni. Purtroppo però manca quasi del tutto la parte informativa per i cittadini, che non riescono a ottenere dati utili per tutelare i propri animali. L’applicazione infatti non consente di fare una ricerca per zone, non consente di filtrare il periodo e non fornisce indicazioni sullo stato della segnalazione. Rendendo poco appetibile per il cittadino dotarsi di questa app, che potrebbe invece essere molto utile per le segnalazioni di sospetti casi di avvelenamento.
Bocconi avvelenati, un fenomeno criminale che si poteva contrastare con maggior efficacia investendo meglio sulla tecnologia
Nel mese di ottobre questa nuova applicazione è stata presentata al Ministero della Salute come un’arma importante per combattere gli avvelenamenti dolosi. Dimenticando però come il coinvolgimento dei cittadini passi anche attraverso le utilità che questi ricevono, misurabile in termini di sicurezza per difendere i propri animali, grazie alle informazioni ricevute. La tecnologia avrebbe consentito, davvero con poca spesa di restituire ai cittadini informazioni utilissime. come quelle sugli avvelenamenti in atto, filtrabili per Comune e per data.
Da molti anni chi si occupa di contrastare questo fenomeno chieda che venga emanata una norma chiara, che si smetta di adottare ordinanze, che si crei maggior consapevolezza. Senza ottenere alcun risultato. Continuando a consentire la libera vendita di prodotti altamente tossici e pericolosi anche per la salute pubblica. Prodotti usati per confezionare bocconi avvelenati come rodenticidi, lumachicidi e pesticidi vari si trovano in libera vendita in ogni negozio di giardinaggio del paese. Creando tutti i presupposti per una strage continua e silenziosa di animali selvatici e non soltanto.
Su questi temi bisogna cambiare registro chiedendo l’adozione di provvedimenti efficaci
Per arrivare a un cambiamento vero occorre una norma precisa, una raccolta dati certa con evidenza pubblica, una regolamentazione della vendita dei prodotti pericolosi per uomini, animali e ambiente. In modo da poter finalmente arrivare a un contrasto reale, metodico e efficace di un fenomeno facile da mettere in atto e difficile da reprimere. Coinvolgendo i cittadini nella segnalazione di casi sospetti, dandogli per contro informazioni efficaci per tutelare i propri animali, e i medici veterinari liberi professionisti. Che devono diventare la prima linea delle segnalazioni, considerando che proprio loro ricevono le richieste d’aiuto dei proprietari di animali. Denunciando, sempre, ogni caso di sospetto avvelenamento.
L’avvelenamento è un fenomeno che coinvolge molti ambiti: da quello venatorio alla competizione per i tartufi, dall’eliminazione degli animali randagi alla strage dei rapaci causata dai rodenticidi. Non esistono dati certi sul numero degli animali avvelenati e anche facendo una ricerca in rete si resta disorientati. Si passa da notizie gonfiate, basate su dati inesistenti rilasciati da fantomatiche associazioni, a quelle trovate anche su portali pubblici che sono vecchie di anni. Spesso condite da dichiarazioni trionfali che restano, di fatto, soltanto delle enunciazioni senza seguito.
L’accoglienza entusiastica riservata anche dal mondo veterinario a questa app appare francamente poco comprensibile. Mentre sarebbe davvero importante che fossero resi pubblici i dati sui numeri delle segnalazioni arrivate nel 2022 al Portale degli avvelenamenti da parte di tutte le componenti interessate. Per riuscire a comprendere quanto sia reale la volontà di contrastare gli avvelenamenti e quanto si tratti di operazioni di marketing, che poco risolvono rispetto alla tutela reale e al contrasto a questi atti criminali.
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