Caccia aperta a lupi e orsi: l’Europa sta per piegarsi alle richieste degli allevatori

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Caccia aperta a lupi e orsi: le destre ottengono all’Europarlamento una schiacciante maggioranza sulla risoluzione che apre la strada agli abbattimenti. Richiesti a gran voce dai cacciatori e sostenuti politicamente dalla parte più vicina a queste realtà, gli abbattimenti dei predatori stanno per essere sempre più vicini. I grandi predatori, come orsi e lupi, sono indicati, da anni, come un pericolo per gli allevamenti di animali al pascolo e non come componenti indispensabili per il mantenimento degli equilibri.

Una strada che parte da lontano, aperta iniziando a creare paura e ostilità nella popolazione. Che a forza di sentire descrivere i lupi come una minaccia per le attività umane, non si attiva contro le ipotesi di un provvedimento immotivato. La strategia era chiara da tempo e la si poteva leggere nei titoli delle cronache dei giornali. Dove i lupi vengono quasi sempre presentati come un pericolo per bambini e animali domestici, che devono essere difesi da questi predatori feroci. Una narrazione insensata, ma capace di fare facile breccia in chi poco conosce dei meccanismi naturali, dell’importanza di lupi e orsi.

Pochi giorni fa il Parlamento Europeo ha approvato a larga maggioranza (306 favorevoli, 225 contrari e 25 astenuti) la risoluzione che propone nuove strategie per la tutela degli allevamenti. Dichiarando, falsamente, l’inefficacia dei metodi di difesa attiva, come recinti elettrici e cani da guardiania, per tutelare gli animali domestici dai predatori. In Italia il pericolo maggiore di un cambiamento di status, necessario per renderlo cacciabile, riguarda il lupo, che ha una popolazione ben distribuita e diffusa sull’intera penisola. Minor pericolo corrono gli orsi del nostro paese, che sono ancora molto lontani dal poter essere considerati fuori pericolo di estinzione. In particolare per quanto riguarda la sottospecie marsicana.

Caccia aperta a lupi e orsi, assecondando le richieste di allevatori e cacciatori

Nonostante sia oramai riconosciuta la necessità di mantenere l’equilibrio ambientale, come condizione fondamentale per la salute del pianeta, la politica cerca sempre di esplorare nuove vie. Per accontentare quella componente granitica del suo elettorato che in un momento di grande volatilità dei consensi e di volubilità nel voto, rappresenta una garanzia. Solida come hanno sempre dimostrato di essere i rappresentanti di allevatori e cacciatori all’interno delle urne. Portatori di interessi pratici ed economici che sono disponibili a difendere ricompensando i politici che assecondano le loro richieste. Universalmente riconducibili agli schieramenti politici della destra, come avviene oramai da tempo in tutta Europa.

Che il lupo in Italia non sia attualmente in pericolo di estinzione è scientificamente un dato di fatto difficile da contestare. Nonostante i numerosi episodi d bracconaggio, occulti e palesi, investimenti e avvelenamenti. Il lupo ha dimostrato di essere una specie resiliente, capace in pochi decenni di riconquistare l’intero stivale, con una diffusione praticamente quasi ubiqua. Il focus sulla presenza e sull’importanza del lupo deve però andare oltre alla minaccia di estinzione. Diversamente si affronta il problema guardando solo una delle tante sfaccettature delle questione che riguarda i predatori.

Bisognerebbe fare valutazioni più complesse e di più ampio respiro, che portino a ragionare sull’importanza del lupo piuttosto che sui danni che provoca agli allevamenti. Le prede d’elezione del lupo sono gli ungulati selvatici per arrivare sino alle nutrie, mentre gli animali domestici diventano un obiettivo solo quando sono incustoditi e senza difesa. Un ragionamento fatto senza pregiudizi e senza che siano gli interessi economici di pochi a prevalere, dovrebbe far valutare ben altri fattori che non il pericolo di estinzione. Bisognerebbe partire da lontano, proprio dalla necessità di mantenere l’equilibrio ambientale.

La caccia ha fallito ogni obiettivo di equilibrio, ma piuttosto ha dato un grande contributo in direzione contraria

Dopo decenni di gestione faunistica lasciata nelle mani dei cacciatori è oramai possibile affermare con certezza che la caccia non abbia mai funzionato come fattore equilibrante. Fallita nell’operazione di contenimento delle popolazioni e falsa nella leggenda che descrive i cacciatori come i più attenti custodi della natura e del territorio. Affermazioni che hanno riempito per decenni giornali e libri ma che, alla verifica dei fatti, risultano indifendibili. L’uomo non è in grado di creare forme di equilibrio più efficaci di quelle che si creano in un ambiente sano. Come dimostra la pessima gestione dei cinghiali, dove appare chiaro che la caccia non abbia mai contribuito a risolvere alcunché. Creando invece con la sua miopia una diffusione di questi ungulati che è partita proprio dai ripopolamenti per scopi venatori.

Pensare, alla luce delle conoscenze sull’etologia del lupo, che azioni di contenimento tramite abbattimento possano risolvere il problema delle predazioni è, scientificamente, una follia. Priva di ogni base, anche solo empirica, che possa garantire il funzionamento di questa teoria. Con una struttura sociale molto articolata il risultato di operare abbattimenti potrebbe portare solo ad una minor efficacia nella caccia dei branchi, che sarebbero così costretti a rivolgere le loro attenzioni verso prede più facili: gli animali d’allevamento.

Una realtà con motivazioni diverse, ma con risultati fallimentari analoghi, è stata quella di usare i cacciatori per limitare i cinghiali. Facendo finta di dimenticarsi come anche questi animali abbiano delle logiche di branco e una struttura sociale complessa. Che porta come conseguenza degli abbattimenti fatti dai cacciatori un innalzamento del tasso riproduttivo. Che unito a una pessima gestione dei rifiuti ha reso i cinghiali un problema, di fatto causato e amplificato proprio da scelte umane inappropriate. Per tutte queste considerazioni le decisioni di proseguire su strade fallimentari dovrebbero essere contrastate a tutto tondo.

Non sono i numeri dei lupi il problema, ma le condizioni di allevamento che non possono proseguire immutate

Se riconosciamo l’importanza di tutelare l’ambiente, dobbiamo anche riconoscere l’importanza di ogni creatura che lo abita e l’inadeguatezza dell’uomo nel cercare di gestire meccanismi che, peraltro, nemmeno conosce compiutamente. Esistono ambienti naturali che restano in perfetto equilibrio senza intervento umano, non sono noti interventi umani che abbiano ricostruito, a 360 gradi, equilibri alterati. Salvo che questo passaggio non sia avvenuto attraverso una rinaturalizzazione degli ambienti, che si sono poi rigenerati in modo autonomo nel corso di decenni.

Occorre che su questi punti la buona informazione faccia il suo lavoro, perché negare il fatto che i lupi non siano attualmente in pericolo di estinzione non servirà. Non serviranno a tutelare l’equilibrio ambientale gli abbattimenti, ma nemmeno le operazioni in cui si raccolgono fondi e consensi per una imprecisata difesa dei lupi. Bisogna riuscire a smontare la leggenda del lupo cattivo, creando consapevolezza nell’opinione pubblica che, spesso, crede ancora alle leggende che raccontano di lupi lanciati dagli elicotteri per ripopolare l’Appennino. Stupidaggini? Certamente si, ma con una diffusione e un seguito che probabilmente una notizia vera sarebbe riuscita a ottenere. Credo che questo sia un buon punto di ripartenza, per non perdere la battaglia per un futuro dignitoso per uomini e animali.

Diritti umani e animali: un cammino ancora lungo per realizzare il sogno

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Diritti umani e animali: un cammino ancora lungo da percorrere per realizzare il sogno di poter vivere in un mondo diverso, migliore. Guardando la realtà che ci circonda, quello che ogni giorno succede nel mondo, vediamo un pianeta senza equità e senza giustizia. Un meraviglioso pianeta dove quello che più manca è l’armonia, intesa secondo un concetto olistico che abbraccia tutti gli esseri viventi. Questa considerazione porta a una domanda, destinata purtroppo a avere una risposta che non vorremmo né sentire, né accettare. Se non riusciamo a garantire uguali diritti agli individui della nostra specie, potremo mai davvero garantirli agli animali?

Probabilmente no, non sino a quando non ci sarà rispetto vero per i diritti umani. Più facile essere attenti verso chi ci somiglia, piuttosto che verso individui diversi, che non sono neanche in grado di usare parole per comunicare. Bisogna essere dei sognatori nella vita, che non guardano gli ostacoli ma solo i traguardi, capaci di lavorare giorno dopo giorno per raggiungere obiettivi impossibili. Occorre però essere realisti, vedere le cose per come sono, non per come vorremmo che fossero. Solo la conoscenza dello scenario può portare a trovare strategie di cambiamento.

Possiamo sperare che sia riconosciuta come atroce la condizione degli animali che solcano mari e oceani sulle navi stalla, se consideriamo come un “carico residuale” uomini disperati soccorsi in mare? Davvero possiamo credere alla volontà di difendere l’ambiente, e quindi la nostra esistenza, senza che questo comporti la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Ci preoccupiamo molto più di tutelare il nostro benessere, che di pensare come risolvere problemi planetari fondamentali. Per questo dovremmo operare per cambiare gli obiettivi e allargare gli orizzonti. Unendo sotto un’unica bandiera tutti i diritti.

Diritti umani e animali sono un unico problema: bisogna battersi per il loro rispetto

Il razzismo non esiste, non perché non ci siano discriminazioni per questioni di colore della pelle, culture e religioni ma perché non esistono le razze. Esiste la nostra specie, con tutte le sue differenti caratterizzazioni, inclinazioni, credo e modi di vivere, ma tutti gli uomini sono uguali. Esaperare le differenze serve soltanto a non far identificare la nostra appartenenza a un’unica collettività umana. Alla quale, universalmente, dovremmo riconoscere gli stessi identici diritti. Già questo passaggio potrebbe servire a contribuire alla soluzione di molte problematiche ambientali e verso gli altri animali. Animali come lo siamo noi.

Se davvero riconoscessimo a tutti gli uomini il diritto di accedere al cibo necessario e all’acqua pulita saremmo costretti a cambiare lo stile di vita occidentale. Dovremmo riconoscere a tutta la nostra specie il diritto alla libertà e alla necessità di condividere le risorse planetarie. Senza distinzione di genere, di orientamento sessuale o di religione. Dovremmo chiudere le fabbriche di proteine animali e destinare l’agricoltura all’alimentazione delle persone, ma oggi la parte più rilevante di mammiferi che vivono sul pianeta è costituita dai bovini d’allevamento. Che rappresentano da soli circa il 60% della biomassa, mentre gli uomini sono “soltanto” al 36%.

Questo per far comprendere che non si possono difendere i diritti degli animali senza rispettare gli uomini. Non si può dire di amare gli animali, voltando la faccia dall’altra parte quando il Mediterraneo diventa un cimitero. Bisogna smettere di credere e far credere che difendendo i confini e la nostra economia salveremo prima l’Italia, poi l’Europa e infine il mondo. I nostri egoismi finiranno per ammazzarci: per guerre, carestie e mutamenti climatici.

Bisogna insegnare la tolleranza e la condivisione di un mondo che non può più ruotare su economia e prepotenza

La realtà, di cui si parla sempre troppo poco, dimostra che i maltrattamenti che noi infliggiamo agli animali sono gli stessi che noi facciamo patire agli esseri umani. Con numeri inferiori perché gli uomini sono meno, ma quello che accade in molti allevamenti o nei canili lager succede giornalmente nei campi profughi della Libia o nelle carceri di buona parte del mondo. A cominciare dalle nostre di prigioni, come dimostrano le inchieste giudiziarie. Quindi se non vogliamo considerare la battaglia dei diritti come irrimediabilmente persa dobbiamo cambiare le regole del gioco, la cultura, dobbiamo iniziare a coltivare empatia e compassione.

A molte persone questo potrà sembrare un discorso senza senso, una via di mezzo fra un’utopia irraggiungibile e il contrasto perdente a un mondo che non cambierà. Eppure riflettendoci senza pregiudizi dobbiamo ascoltare quello che la scienza, inascoltata, ci sta dicendo da diversi decenni: se non cambiamo modello di vita finiremo per estinguerci. Riconoscere gli altrui diritti potrebbe essere, banalmente, l’unico sistema per assicurarci un futuro. Per dare ai giovani la speranza reale di un mondo diverso, che si concretizzi nei fatti e non negli equilibrismi della politica.

Il cambiamento non è mai facile, e chi sostiene che basterebbe poco è davvero molto poco credibile. Cambiare stile di vita, modificare bisogni e adattare i pensieri costa una fatica immane. Non c’è molto di facile nel nostro futuro, ma prima smettiamo di farci raccontare bugie, cercando di ragionare sulla base dei fatti, e meno dolorosa sarà la via. E sarà più facile affrontarla tutti insieme, piuttosto che subirla divisi in piccoli irriducibili gruppi. Iniziamo proprio dal riconoscimento dei diritti basilari, che devono essere garantiti a tutti. Che potrebbero essere gli stessi indicati nelle 5 libertà minime, individuate da Brambell per gli animali, già nel lontano 1965:

  • libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione, mediante il facile accesso all’acqua fresca e a una dieta in grado di favorire lo stato di salute
  • libertà di avere un ambiente fisico adeguato, comprendente ricoveri e una zona di riposo confortevole
  • libertà da malattie, ferite e traumi, attraverso la prevenzione o la rapida diagnosi e la pronta terapia
  • libertà di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche, fornendo spazio sufficiente, locali appropriati e la compagnia di altri soggetti della stessa specie
  • libertà dal timore, assicurando condizioni che evitino sofferenza mentale.

COP27 un pericoloso fallimento planetario: poco coraggio, molta incoscienza

COP27 pericoloso fallimento planetario

COP27, un pericoloso fallimento planetario che rischia, per il poco coraggio dimostrato dagli Stati, di far esplodere il pianeta. Nonostante si sia chiusa con due giorni di ritardo la conferenza di Sharm El Sheikh, riunione planetaria che doveva fissare nuovi e coraggiosi obiettivi per contrastare i cambiamenti climatici si è conclusa con un nulla di fatto. Unica nota positiva, a cui però manca concretezza, è il fondo Loss & Damage deciso per compensare i paesi poveri dai danni subiti, finanziato agli Stati che sono maggiori produttori di emissioni clima alteranti.

Quella che è apparsa subito chiaro è stata la volontà di non decidere provvedimenti che potessero mettere in pericolo le economie dei paesi più industrializzati, già in crisi a causa della guerra in Ucraina. Quindi l’economia e gli interessi della grande finanza, sono riusciti, ancora una volta a prevalere sul buon senso e sull’urgenza, scontentando ONU e Commissione Europea. Una conferenza decisamente tutta in salita, sia per la discussa sede in Egitto, un paese che non rispetta i diritti umani, che per la risaputa quanto disattesa necessità di agire.

Siamo arrivati a una situazione paradossale ma diffusa, che porta a curare gli effetti del problema senza dimostrare la volontà di occuparsi seriamente delle cause. Come dimostra l’unico provvedimento di rilievo che è stato adottato, cercando di porre rimedio ai danni subiti dai paesi delle aree più povere, come l’Africa sub sahariana. Ora ci vorranno ulteriori dodici mesi per arrivare a una nuova conferenza, un tempo sarà sempre troppo lungo rispetto alle urgenze.

COP27, un pericoloso fallimento planetario nell’indifferenza dei protagonisti, incapaci di vere scelte

In un articolo pubblicato da Repubblica si da notizia di scontri durissimi fra i partecipanti, divisi fra paesi ricchi e poveri da una profonda frattura. Nella consapevolezza che saranno proprio questi ultimi a pagare il prezzo più alto dai cambiamenti climatici, come già sta succedendo ora. Alluvioni, siccità e carestie stanno colpendo duramente il Sud del mondo in modo molto più preoccupante e micidiale di quanto stia succedendo nei paesi ricchi.

“A Sharm abbiamo visto un esplicito tentativo da parte di imprese e paesi produttori di gas e petrolio di rallentare una transizione necessaria e ormai inevitabile”, dice Giulia Giordano, responsabile dei programmi internazionali del think thank italiano Ecco.

Tratto da Repubblica

Questi erano gli obiettivi, quasi completamente disattesi, dell’Unione Europea per COP27:

  • mitigazione: mantenere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali
  • adattamento: stabilire un programma d’azione globale rafforzato in materia di adattamento
  • finanziamenti: esaminare i progressi compiuti in relazione alla messa a disposizione di 100 miliardi di USD all’anno entro il 2025 per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici
  • collaborazione: assicurare un’adeguata rappresentazione di tutti i pertinenti portatori di interessi nella COP 27, soprattutto delle comunità vulnerabili

Qualcuno dovrà spiegare alle giovani generazioni le motivazioni del disastro

Questi giorni sono l’esemplificazione del paradosso che stiamo vivendo, sotto il profilo climatico ma anche dell’equità e dei diritti. La COP27 fatta in Egitto, uno stato dove è impossibile parlare di equità e diritti e i mondiali di calcio che si aprono in Qatar, uno regime illiberale, dove anche gli stadi all’aperto sono dotati di impianti per il condizionamento. Uno Stato, il Qatar, con un’impronta ecologica incompatibile con l’attuale situazione climatica. Eppure, per un gioco delle parti, sono proprio questi due paesi ad avere ottenuto l’attenzione del mondo.

La politica, sia quella europea che quella nazionale, che mai come ora sta andando in direzione contraria alla mitigazione dei cambiamenti climatici, hanno grandissime responsabilità. Per le quali dovranno rendere conto alle giovani generazioni alle quali stanno rubando letteralmente il futuro.

Danno ambientale e sofferenza animale non spaventano il governo

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Danno ambientale e sofferenza animale sembrano essere secondari per il ministro Francesco Lollobrigida, anzi quasi del tutto inesistenti. Rispetto ai pericoli derivanti dagli alimenti sintetici, a dire del titolare del nuovo dicastero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Che dopo l’infelice uscita sui predatori, come orsi e lupi, ha rinfocolato le polemiche con un’altra dichiarazione a effetto. Affermando che non ci sarà il via libera a nessun cibo sintetico, fino a che ci sarà questo governo.

Poi si scopre che di sintetico c’è solo la brutta sintesi fatta dal ministro, che decisamente confonde il significato del termine, calcolando che il riferimento è al latte (umano) che si sta riproducendo in laboratorio. Ma la coltivazione delle cellule non ha proprio nulla di sintetico, come spiega la Treccani venendo come sempre in soccorso della nostra lingua italiana. Bellissima ma dannatamente vituperata.

Sintetico: In chimica, di sostanza ottenuta per sintesi, non proveniente dall’elaborazione di organismi animali o vegetali (talora sinon. di artificiale): gomma s., resine s.; materiali s., ecc. Fibre s., in senso lato, tutte quelle preparate dall’uomo e, in senso più stretto, solo quelle ottenute con processi di polimerizzazione o di policondensazione di sostanze semplici, provenienti da materie prime quali frazioni petrolifere, gas naturale, carbon fossile, mentre si dicono artificiali quelle ottenute dalla trasformazione di prodotti polimerici naturali (cellulosa, proteine, ecc.).

Fonte: Dizionario Treccani

Danno ambientale e sofferenza animale non sono né sintetici, né artificiali e rappresentano un pericolo per la salute

La dichiarazione fatta dal ministro in un question time al Senato ha velocemente fatto il giro delle agenzie di stampa, che ne hanno dato grande rilevo. Lasciando a bocca spalancata molte persone impegnate nella tutela ambientale e nella difesa dei diritti degli animali, che appare chiaro non rientrano nelle priorità di questo esecutivo. Che ritiene evidentemente più pericolosa la coltivazione di cellule per creare cibo, rispetto ai danni prodotti dagli allevamenti di animali, che non solo inquinano il mondo, ma mettono in pericolo la salute umana. Dimenticando che una parte dei cibi che oggi rappresentano un’alternativa alle proteine animali sono di origine vegetale.

Nella difesa dell’agricoltura a tutto tondo, che rappresenta un bacino importante di consensi per l’attuale governo, il ministro pare aver dimenticato, oltre alle emissioni climalteranti degli allevamenti, anche tutto il resto. Dal consumo eccessivo di acqua alla deforestazione, dalla trasformazione di proteine vegetali in alimenti per gli animali d’allevamento, sottraendole all’alimentazione degli esseri umani. E se le preoccupazioni sono per i potenziali danni alla salute umana conviene che non dimentichi pesticidi, erbicidi, fertilizzanti e tutto il campionario di sostanze, sintetiche e pericolose, che finiscono nei nostri piatti.

Difficile vedere in questa difesa corporativa a tutto tondo qualcosa che vada nella giusta direzione, che dovrebbe avere il duplice obiettivo di non inquinare e di dare cibo a 8 miliardi di esseri umani. Se il mondo occidentale continuerà ad affamare il resto del pianeta, senza preoccuparsi davvero del clima, lo costringerà a intraprendere, più prima che poi, la più grande e spaventosa ondata migratoria della storia umana. Un fatto che preoccupa da tempo le Nazioni Unite, ma che non scalfisce la fiducia incrollabile nell’agricoltura italiana di Lollobrigida.

La tutela ambientale e la riduzione della nostra impronta ecologica sembrano venire dopo alle questioni economiche

Nascondere la rilevanza del problema ambientale, che appare sempre molto sfumato nei discorsi governativi, non rassicura affatto. Se la questione economica è fondamentale nel breve termine quella ambientale sarà mortale nel medio termine. Senza possibilità di ritorno, una volta che si supereranno le Colonne d’Ercole costituite da un innalzamento eccessivo della temperatura. Lasciando così molti italiani increduli nel dover valutare importanza e competenza, pericoli e convenienza.

La priorità di questo paese non è la rottamazione delle cartelle esattoriali o l’innalzamento al tetto del contante. La priorità è quella di smetterla di baloccarsi con i tatticismi politici e di imboccare la via della tutela ecologica. Senza provvedimenti assurdi come il cercare di trovare consenso grazie alle autarchiche trivellazioni. Che probabilmente potranno produrre risultati solo quando l’estrazione del gas sarà del tutto inutile e inopportuna. Come non è certamente una priorità il ponte sullo Stretto, che andrebbe a insistere su un’area ad elevata sismicità e di grande importanza ecologica. Senza portare vantaggi ai siciliani, che si dovranno sempre confrontare con le scarse infrastrutture.

Ministro Lollobrigida dia una speranza a questo paese, cerchi di impegnarsi per rendere l’agricoltura sempre più sostenibile, incentivando il consumo delle proteine vegetali e non la loro conversione, sfavorevole, in proteine animali. Riduca il carico degli inquinanti, vieti l’uso degli antibiotici distribuiti a pioggia in zootecnia, contribuisca a valorizzare scelte forse impopolari ma sicuramente indispensabili. Diversamente il problema non sarà quello di fermare lo sbarco dei migranti, ma la responsabilità morale e politica di non aver saputo impedire le motivazioni che li fanno salire sui barconi.

Orsi e lupi sono sovrabbondanti: parola di ministro Lollobrigida

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Orsi e lupi sono sovrabbondanti nel nostro paese, secondo quanto ha affermato il neo ministro all’Agricoltura e alla Sovranità Alimentare durante un incontro in Alto Adige. Una dichiarazione, che oltre a far sorridere per il concetto espresso con un termine scientificamente improbabile, sicuramente non fa presagire tempi sereni per la fauna. Del resto questo era chiaro già prima delle elezioni, quindi chi ha votato la coalizione ha implicitamente approvato l’idea di un uomo sempre più padrone del territorio. Un antropocentrismo che da anni è contenuto nel lessico dei due maggiori partiti di questo inedito governo.

“Noi dobbiamo proteggere le specie in estinzione, ma non incrementare le specie che possono essere dannose per allevatori e produzione nazionali. È evidente che se 30 anni fa alcune specie erano in estinzione, oggi sono sovrabbondanti, quindi bisogna affrontare il problema con pragmatismo e senza ideologia, che hanno reso impossibile attività virtuose come allevamento e agricoltura”

Dichiarazione tratta dall’articolo della testata Alto Adige

Appare evidente che il ministro, probabilmente preso dalla foga oratoria o forse per una conoscenza superficiale del mondo naturale, sia scivolato in un commento da bar sport. Motivato anche dalla voglia di piacere a una platea fatta di agricoltori e allevatori, che volevano avere la certezza del significato di sovranità alimentare. Che sembra potersi riassumere nel concetto “prima agricoltori e allevatori, poi animali e ambiente“. Così al ministro sfugge che fra estinzione e sovrappopolazione, non ci sta la sovrabbondanza, ma l’equilibrio. Senza il quale l’uomo in un tempo breve rischia di estinguersi come i dinosauri per una politica incapace di comprendere la necessità di avere visione, basata sul futuro e non soltanto su domani.

Orsi e lupi sono sovrabbondanti solo nelle parole in libertà del neo ministro Lollobrigida

Solo pochi mesi fa si è concluso il monitoraggio sulla popolazione dei lupi nel nostro paese, che ha fornito il quadro sulla presenza del predatore su tutto il territorio dello stivale. Una popolazione che si è diffusa, grazie all’aumentato numero di ungulati selvatici che costituiscono le loro prede principali. Come hanno capito anche molti allevatori. Le predazioni fatte dai lupi sugli animali domestici sono quasi tutte dovute a una mancata vigilanza sugli animali al pascolo, al non uso dei sistemi di protezione come cani da guardiania e recinti elettrificati. Eventuali perdite subite dagli allevatori sono comunque indennizzate, anche quando questi non utilizzano nessuna attività di prevenzione.

Appare quindi grave che un ministro, che deve sempre mettere al centro della sua azione la collettività e non solo alcune categorie, pronunci concetti così sconnessi. Dalla realtà, dal suo ruolo ma, soprattutto dai criteri scientifici che affermano da tempo che la salute del pianeta è indissolubilmente legata con equilibrio e tutela ambientale. Senza poter dimenticare, nelle parole del ministro, quel riferimento alle attività virtuose come l’allevamento, che sono invece responsabili di buona parte dei problemi ambientali. Che si affacciano ogni giorno con sempre maggior prepotenza e che non saranno tenuti a bada con le chiacchiere.

La tutela ambientale non è prioritaria per il governo, come si capiva già prima della sua formazione e dalle prime attività messe in campo. Come la ripresa di nuove trivellazioni in Adriatico per sopperire alle problematiche venutesi a creare con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Un’idea scellerata, considerando che l’idea per un futuro in grado di limitare le emissioni non passa attraverso il gas. Che può essere un’energia di transizione, ma non una scelta per il futuro energetico italiano o planetario. Che senso ha, quindi, aprire nuovi pozzi che entrerebbero in funzione fra anni?

La tutela ambientale e l’aumento della sostenibilità delle attività umane rappresenta l’unica luce in fondo al tunnel

I cittadini dovrebbero pretendere che le priorità dell’esecutivo siano quelle che sono al centro delle preoccupazioni di tutta la comunità scientifica. Non è più tempo di demagogia, frasi a effetto e di facile ricerca del consenso, occorre agire con provvedimenti urgenti e di buon senso. Anziché preoccuparsi dei lupi o degli orsi, ministro Lollobrigida, si preoccupi di rendere l’agricoltura ecosostenibile e di puntare a una progressiva riduzione degli allevamenti di animali. Non si possono più sentire sempre le stesse argomentazioni, vuote e senza verità, perché chi governa in questi tempi burrascosi, ha il dovere di garantire il futuro alle prossime generazioni.

Il clima da costante campagna elettorale, le dichiarazioni prive di contenuto e i provvedimenti che non contengano, anche, criteri di sostenibilità ambientale sono fuori dal tempo. Non soltanto perché hanno mortificato in anni e anni, sotto governi di ogni colore, il nostro paese, ma anche perché il tempo delle scelte è finito. Ora c’è soltanto il coraggio delle decisioni, responsabili e prese in nome del bene comune, per l’intera comunità umana.

Ambiente e animali, politici e futuro: che fine faranno questi temi ora che è calato il sipario sulle elezioni?

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Ambiente e animali, politici e futuro di un paese con la memoria corta, con poca voglia di impegnarsi per il cambiamento. Finita questa pessima campagna elettorale fatta più di scontri che di programmi ci siamo risvegliati in un paese diverso. Che può non piacere a molti ma che è frutto di libere elezioni in uno Stato al momento democratico, unica certezza in un’epoca che pone più interrogativi che soluzioni. Nella quale i cittadini non votano per delusione, lasciando però che quelli che votano decidano anche per loro. In un momento particolarmente difficile, in cui il futuro degli uomini è appeso a un filo invisibile, che li lega al pianeta.

Sui temi come la difesa dell’ambiente e dei diritti degli ultimi, animali e esseri umani, si è sentito poco e, quasi sempre, quello che si è sentito non ha convinto. Nulla convince più in questo paese, disastrato da un punto di vista di tutela del territorio, cementificato oltre il sostenibile e in fondo amministrato come se il pianeta fosse cosa nostra. Dove “cosa nostra” ha un significato ambivalente: di un possesso umano senza limiti e di una gestione ambientale spesso criminale, dove gli interessi di pochi prevalgono sui diritti di molti.

Difficile stare tranquilli quando un candidato della coalizione dei vincitori dichiara candidamente che per adesso il suo partito si occupa solo di cani e gatti. Per la tutela della fauna c’è tempo e si farà in un secondo momento. Un’idea davvero poco lungimirante perché se dovessimo procedere per priorità, con intelligenza, ci preoccuperemo prima degli animali selvatici e poi di quelli domestici. L’equilibrio dell’ambiente, indispensabile, si basa sulla biodiversità e la tutela degli animali selvatici non può essere rimandata. Esprimendo concetti semplicistici, da scuole dell’obbligo, buoni per prendere voti, pessimi per difendere la nostra stessa esistenza.

Ambiente e animali, politici e futuro: quattro parole che sembrano difficili da coniugare in una frase che sia rasserenante

La tutela degli animali selvatici viene posposta, rispetto a quella dei nostri beniamini, solo per miopia? Sarebbe bello poterlo pensare, perché in fondo fa meno paura lo sprovveduto del cinico. Ma non è così perché dietro a questo concetto c’è un calcolo, un fattore di moltiplicazione dei voti che ha due protagonisti più che probabili: cacciatori e allevatori, che non hanno mai tolto il loro appoggio ai politici che li hanno difesi. In questo momento se gli abitanti dei boschi si comportassero come gli uomini, probabilmente, ci sarebbero lunghe file di orsi e lupi alla frontiera. In cerca di asilo.

Ci sarà tempo per dibattere sui tanti errori delle forze politiche fatti in questa orrenda campagna elettorale. Cadrà qualche testa, e non è nemmeno difficile immaginarsi quali politici finiranno estinti come i dodo, ma i cittadini non devono temere le idi di marzo della politica. Devono temere qui comportamenti pericolosi che rallenteranno la tutela ambientale, che non privilegeranno la difesa della biodiversità, del capitale naturale.

Torneranno i banchetti a base di zampe d’orso? Si cercherà di rimettere sullo spiedo tutti i piccoli uccelli canori? Si dirà che il nucleare e il gas sono davvero energia pulita? Di questo, anche di questo, dovranno da domani preoccuparsi tutti i cittadini, al di là della loro posizione politica, del loro voto di protesta o di proposta. Forse dovranno anche rivedere la convinzione che tutto sia delegabile, che ci si possa disinteressare del circostante. Alla politica, alla cattiva politica che non conosce colore, ma della quale conosciamo il sapore, amaro, abbiamo delegato sin troppo. Non dimentichiamo, cerchiamo di ricordare.

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