Il circo senza animali è possibile, se solo lo si vuole e se la qualità dello spettacolo è tale da garantire il successo. In silenzio ci sta provando all’Idroscalo di Milano il Circo di Mosca, con lo spettacolo “Gravity“, che è in scena nella periferia milanese dai primi di ottobre. Senza enfatizzare l’assenza di animali, che viene poco evidenziata se non in qualche articolo di giornale e nei servizi televisivi. Come se l’ordine di scuderia fosse quello di non dire che si tratta di uno spettacolo realizzato in assenza di animali.
La scelta di abbandonare gli animali è nata probabilmente a causa della pandemia, visto che in precedenza il circo presentava diversi numeri con animali. E sulla loro pagina Facebook arrivano i complimenti di molti spettatori, per la qualità dello spettacolo e per l’assenza di numeri con animali. A dimostrazione che il magico mondo del circo, sottraendo la tristezza di felini e elefanti costretti in una pessima forma di prigionia, può vivere più e meglio di prima. Una svolta che i media vicini a questo settore. come Passione Circo, sembra che non vogliano evidenziare. Eppure questo è il futuro.
Il circo senza animali trasmette emozioni al pubblico, senza portare in pista la sofferenza degli animali ammaestrati
In Francia proprio in questi giorni è stata promulgata una legge che vieterà i circhi con animali, la detenzione dei cetacei nei parchi acquatici e l vendita di cani e gatti nei negozi, Una svolta coraggiosa che diventerà esecutiva nel 2024, ma che dimostra la volontà di mettere la parola fine a commerci e tradizioni incompatibili con i tempi che viviamo. Una decisione che dovrà prima o poi arrivare anche in Italia, senza ulteriori timori e rallentamenti. Magari in contemporanea con lo stop agli allevamenti di animali da pelliccia.
Ora speriamo che la strada intrapresa da Larry Rossante con il suo Circo di Mosca possa trovare molti imitatori, anche prima che il divieto di esibire gli animali in pista diventi legge. Confidando nel fatto che la scelta di questo circense non sia temporanea, ma si traduca in una definitiva chiusura verso il circo con animali. Consentendo a quanti non mettono più piede al circo, non sopportando la sofferenza degli animali prigionieri, di poter nuovamente decidere di passare qualche ora sotto uno chapiteaux.
La scelta di un circo senza animali non sarà del tutto indolore per tigri, leoni e elefanti
Gli animali addestrati che non lavoreranno più nei circhi in Europa finiranno per essere ceduti a circhi che lavorano in altre parti del mondo. Continuando a trascorrere la loro vita dentro una gabbia, senza escludere che questo possa avvenire in condizioni anche peggiori di quelle che vivono, ora, gli animali nei circhi nazionali. Per quanto i controlli siano pochi e scarsi nel nostro paese non è certo difficile capire che possano esserci realtà ancora più arretrate nella tutela degli animali. Che sino a quando le norme non cambieranno potranno essere comprati e venduti come fossero cose.
Se fra i lettori di questo articolo qualcuno decidesse di passare una serata al circo faccia almeno lo sforzo di arrivare all’Idroscalo di Milano. Per non finanziare un circo che gli animali li usa ancora e che è attendato in questo periodo in città, anche se ha dovuto rinunciare a esibire gli elefanti, ma conserva ancora un numero con le tigri.
E’ morta Andra elefantessa schiava in un circo, aveva 63 anni la maggioranza dei quali spesi in prigionia. Per far spettacolo, per far sorridere chi non capisce la sofferenza di un elefante, per norme costantemente disattese. Nonostante le promesse di molti governi, che si sono succeduti nel tempo, i circhi continuano ad avere animali, a essere sostenuti con i soldi dei cittadini. Nell’indifferenza colpevole della politica che non trova il modo di ridare un minimo di dignità a questi schiavi.
Eppure se le normative venissero applicate in modo rigoroso nessun circo potrebbe avere animali come elefanti e grandi felini. E nessun circo potrebbe avere il permesso di attendarsi, perché nessuna legge autorizza il circo a detenere animali in condizioni incompatibili con il loro benessere. La norma riconosce il circo come forma di spettacolo, finanziata dallo Stato. Ma non spende una parola per dire come i circhi debbano tenere gli animali. Per superare questo assurdo vuoto normativo sono arrivate le direttive CITES per i circhi, che non hanno un valore di legge, ma costituiscono almeno una traccia sulle modalità di detenzione.
La morte di Andra, elefantessa schiava per decenni in un circo dovrebbe essere un monito per le coscienze
Si fa tanto parlare di diritti animali, ma però poi si tollera una forma di spettacolo con gli animali indecente. Allontaniamoci dalle violenze degli addestramenti, che anche quando non usano sistemi crudeli sono coercitivi. Il circo causa maltrattamento agli animali per la sua stessa natura. Carrozzoni angusti, spazi inaccettabili quando fanno spettacolo, privazioni continue quando sono in viaggio. A ogni trasferta gli animali vivono per giorni chiusi sui carri, in condizioni spesso carenti per luce, coibentazione e spazi vitali.
Mi sono occupato di circhi per molti anni e non voglio dire che tutti i circensi siano persone crudeli. Sono cresciuti e vivono in un contesto particolare, che senza la sofferenza degli animali rappresenterebbe un mondo con un suo fascino. Ma hanno perso, o forse non hanno mai sviluppato, un’attenzione per le sofferenze degli animali. Li vedono come dei compagni di vita, quella vita itinerante che gli uomini scelgono e gli animali subiscono. Per altri invece gli animali sono all’ultimo posto nella scala dei valori: girano con automobili da decine di migliaia di euro ma trasportano tigri e leoni in carrozzoni terrificanti.
La sofferenza degli animali non dipende però dai circensi, proprio come non dipende dai proprietari la sofferenza di quelli detenuti nei peggiori zoo, negli allevamenti di animali da pelliccia e in quelli intensivi. Questa sofferenza dipende da uno Stato che la consente, da amministrazioni che non fanno fino in fondo il loro dovere, da veterinari che sono anestetizzati di fronte a vite fatte di patimenti. Che troppo spesso non segnalano alle autorità le violazioni, che autorizzano guardando i documenti e non gli occhi dei detenuti.
Nessun circo può garantire agli animali benessere e se solo fosse uno zoo secondo le leggi in vigore sarebbe stato già chiuso, per sempre
La legge sul maltrattamento di animali stabilisce che i suoi disposti non siano applicabili ai circhi, in quanto regolati da norma speciale. La Cassazione però si è espressa in modo diverso, come per altre leggi speciali, stabilendo che i circhi debbano essere assoggettati alle leggi ordinarie quando le condizioni vanno oltre alle previsioni normative. Quindi i circhi sono soggetti alla legge 189/2004 quando hanno verso gli animali condotte lesive che oltrepassano quanto stabilito dalla legge speciale (lo, so è complesso da comprendere).
Il punto è che l’unica legge che disciplina il circo equestre è del 1968 e non dice una parola su come debbano essere tenuti gli animali. Non stabilisce un limite di specie, una misura delle gabbie e dei carrozzoni, non dice nulla. Non esiste una norma che regolamenti le condizioni di vita degli animali dei circhi. Questo significa che non possa esistere un sofferenza legale in quanto nulla autorizza a tenere gli animali nei carrozzoni o gli elefanti in catene. Non consente di tenere coccodrilli in vasche da bagno o rapaci legati a un trespolo.
In base a che criterio, a quale norma di legge i veterinari autorizzano lo svolgimento degli spettacoli quando i leoni sono costretti a vivere in spazi angusti e se gli elefanti camminano sul cemento e di notte hanno le catene? Come mai i Comuni che hanno regolamenti che prevedono norme restrittive, non riescono a farli applicare? Milano, per fare un esempio, è tappezzato di manifesti che annunciano gli spettacoli di un circo ma non sono affatto sicuro che siano state rispettate nemmeno le limitazioni del regolamento sulla tutela degli animali.
Cambiare non significa essere contro i circensi, significa che devono solo smettere di avere animali, proprio come ha fatto il Cirque du Soleil
Vorremmo vedere Procure della Repubblica che ordinino indagini serie sul benessere degli animali, sulle condizioni di detenzione. Certo ci sono problemi più seri, forse, ma la civiltà e la costruzione di una società diversa passa dalla difesa dei deboli, degli indifesi. Una cosa è certa che il tempo del circo con animali deve essere considerato finito, senza ritorno. Lo hanno fatto molti paesi anche europei, come la Grecia, che ha vietato i circhi con animali proprio dopo i maltrattamenti inflitti durante una tournée nel paese ellenico proprio a Andra, l’elefantessa morta a Bergamo.
Un puma detenuto illegalmente scappa in Francia. La prefettura di Pas des Calais ne decreta l’abbattimento, qualora non si riesca a catturarlo, in quanto il felino viene ritenuto pericoloso per l’incolumità pubblica. Una petizione di cittadini è stata lanciata per ottenere che l’inconsapevole puma abbia almeno salva la vita. Secondo quanto riportato dalla stampa locale il puma sarebbe stato avvistato per la prima volta il 13 ottobre. Probabilmente in fuga da qualche villa, dove era tenuto imprigionato da persone che non si preoccupavano troppo del suo benessere.
Opération de #capture: Un animal errant a été repéré à plusieurs reprises entre Frévent et Auxi-le-Chateau.Toute personne possédant des informations sur cet animal permettant de le capturer vivant est invitée, même de manière anonyme, à se rapprocher des services de gendarmerie. pic.twitter.com/WKpD9quD4G
La prefettura chiede la collaborazione di chiunque sia in grado di fornire informazioni utili per la sua cattura. Unica certezza è che il puma rischia di essere ucciso o di passare la sua vita dietro le sbarre. Riaccendendo come sempre accade in questi casi mille domande su questa detenzione, che al momento non hanno risposta. Unica certezza è che nessuno abbia segnalato la fuga dell’animale, per evitare le conseguenze. Pare davvero impossibile che le autorità non abbiano ricevuto notizie sulla detenzione del grande felino, una situazione che non può passare certo inosservata.
Per un puma detenuto illegalmente ci si chiede quanti siano gli animali pericolosi in cattività presso privati
Al contrario di quanto accade regolarmente in Italia, dove ogni estate ci sono avvistamenti di grandi felini che poi non vengono più trovati, la segnalazione francese sembra essere certa. Una dimostrazione di quanto la ricerca dell’animale esotico da tenere in giardino non conosca frontiere. Se un puma rappresenta un caso non così frequente, per fortuna, difficile dire lo steso per altre specie più piccole che, seppur inadatte alla cattività, vengono commercializzate anche grazie alla rete.
In Italia il divieto di tenere specie animali pericolose per l’incolumità pubblica è in vigore da più di vent’anni. Le pene per chi viola il divieto sono però molto basse: una contravvenzione da poche migliaia di euro. Che spesso, una volta pagata, non lascia traccia. Il punto non dovrebbe essere soltanto la pericolosità di questi animali ma le sofferenze che sono causate dalla cattività. Gli animali selvatici, anche se allevati restano a tutti gli effetti dei selvatici che non vanno mai considerati come dei pet.
Tenere animali selvatici in cattività li obbliga a una vita innaturale
Dobbiamo cominciare a considerare in modo diverso i diritti e i bisogni degli animali. Comprendendo che ogni specie ha istinti, bisogni e comportamenti che difficilmente possono essere soddisfatti quando sono detenuti in casa o in giardino. Il fatto che sopravvivano non può essere visto come un dato rassicurante su loro effettivo benessere. Per questo da molto tempo le organizzazioni di tutela dei diritti degli animali si battono per ottenere un divieto generalizzato del loro commercio.
Occorre fare molta strada e mettere in atto attività educative che possano finalmente far comprendere che ogni animale ha dei diritti e dei bisogni. Che rendono impossibile una vita dignitosa nelle condizioni in cui normalmente sono fatti vivere. Un concetto che deve essere esteso dal puma al criceto, con la consapevolezza che l’etica ci impone dei doveri e l’empatia che proviamo nei loro confronti deve condurci a rispettarli.
Storia di Milo, il gatto che andò al Polo Sud è una favola per ragazzi, che dovrebbero leggere anche gli adulti, specie se sono interessati agli animali e alla tutela ambientale. Milo, oltre a essere un felino fortunato è diventato anche un gatto famoso, dopo il precedente libro Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare, diventato un best seller. Ma il gatto nero più famoso d’Italia non è un personaggio di fantasia, inventato da Costanza Rizzacasa, ma è proprio il suo gatto, in pelo, carne ed ossa. Un gattino molto fortunato, anche se con qualche problema di coordinamento motorio, che ha trovato una compagna molto disponibile.
La copertina fa capire subito che Milo condividerà la sua avventura, oltre che con la sua umana, anche con Hielito, un piccolo di pinguino imperatore. Che per una serie di traversie causate da trafficanti di animali, si ritrova molto, ma molto lontano dalla sua casa. Se nella vita ci sono ostacoli. che sono purtroppo insormontabili, il bello di scrivere favole sta proprio nella possibilità di abbatterli. Una storia come questa, scritta come una bella favola, deve prevedere un lieto fine, pericoli, difficoltà e tanti amici che ti possono essere d’aiuto.
Le favole servono anche per raccontare che il bene può vincere, che le difficoltà si possono superare e che, con un pizzico di ottimismo, si riescono a risolvere anche le questioni più intricate. Milo potrà contare, per concludere la sua avventura con il pinguino Hielito, non solo della sua compagna umana ma anche di tantissimi altri animali. Che saranno capaci di insegnare sempre qualcosa di nuovo a Milo, ma soprattutto ai giovani lettori, che scopriranno l’importanza di avere attenzione per l’ambiente, ma anche il valore dell’amicizia e il rispetto per gli animali.
Milo il gatto che andò al Polo Sud, in compagnia di un pinguino, per riportarlo a casa è una metafora della vita
Quando arriverete al fondo di questa storia guarderete le cose in un altro modo. I gatti neri saranno simpatici anche ai più superstiziosi, e avrete fatto qualche riflessione importante sugli animali in genere. Creature che meritano rispetto e attenzione e che, troppo spesso, gli uomini fanno soffrire per profitto. Ma ci sarà un momento in cui vi scoprirete a riflettere sull’importanza di sapere andare oltre, come dice a Milo Andrè, un camminatore che aveva attraversato a piedi le Ande: “Vedi Milo, noi siamo sempre curiosi di sapere cosa ci sarà oltre. E’ questo che ci motiva, che ci fa superare la fatica. La verità si trova sempre oltre la prossima montagna.”
Certo partire da una casetta vicino al mare, alle porte di Roma, e arrivare sino al Polo Sud non sarà uno scherzo. Questa lontananza, il timore dell’insuccesso e di non portare a termine la missione saranno lo stimolo per il piccolo lettore per correre verso la fine del libro. Per scoprire come farà il nostro Milo a riportare fino a casa Hielito e chi saranno tutti gli amici che incontrerà sul suo cammino. Con le loro storie, con i loro guai, che sono quasi sempre causati da noi umani.
La storia di Milo, il gatto che andò al Polo Sud è una favola moderna, ambientata in questi tempi così complicati, per i cambiamenti climatici, per la pandemia, per l’inquinamento. Costanza Rizzacasa d’Orsogna riesce a catturare l’attenzione, scrivendo di temi seri con la capacità di strappare comunque un sorriso, anche se talvolta un po’ agrodolce. E se anche questo libro, come il precedente, girerà il mondo e sarà tradotto in diverse lingue il successo del messaggio ecologista si amplificherà moltissimo.
Caracal scappa dal campeggio a Figline Valdarno, ma in Italia non sarebbe mai dovuto esserci. Invece ne sono arrivati ben due al seguito di una turista polacca che ha pensato di portarseli in vacanza, proprio come se fossero dei gatti. In Italia la detenzione di un caracal è per fortuna vietata dalla legge da moltissimi anni, a seguito del decreto sugli animali pericolosi. Questo però non ha impedito alla turista di entrare nel nostro paese e di portare la coppia di felini in un campeggio toscano come se niente fosse.
Nei paesi dell’Europa dell’Est il caracal e i suoi incroci con il gatto, che danno vita al caracat, sono animali molto richiesti. Costano migliaia di euro e sono diventati uno status symbol per i nuovi ricchi. Animali selvatici che vengono addomesticati, senza per questo diventare domestici, e tenuti come pet, per stupire, per la loro bellezza, per il gusto di avere un pezzo di natura in salotto.
Caracal scappa dal campeggio a Figline, ma sui giornali la notizia stranamente non diventa virale
Il caracal lascia il campeggio scappando dalla custodia della sua padrona il 3 settembre. Inizia a vagare per la zona e solo dopo qualche giorno la padrona informa le autorità della fuga, portando sulle sue tracce i Carabinieri Forestali. Il felino, a cui tutti a questo punto danno la caccia, viene avvistato e catturato solo sei giorni dopo. Nonostante la sua giovane età, essendo un animale selvatico, se la cava benissimo, non finisce sotto le macchine e non torna dalla padrona. Viene recuperato, secondo fonti di stampa, da personale dell’associazione Amici della Terra, che prima lo avvistano e poi riescono a farlo cadere in trappola.
Al momento risulta che l’animale recuperato sia stato messo sotto sequestro e la sua proprietaria denunciata, mentre non si hanno notizie del secondo felino. Che avrebbe dovuto finire anche lui sequestrato e successivamente confiscato, proprio come il caracal fuggito alla proprietaria. Questo prevede la legge: la detenzione è vietata in Italia, come lo sono il commercio e l’introduzione sul nostro territorio. In base al decreto che vieta la detenzione degli animali pericolosi per la sicurezza e l’incolumità pubblica, nei quali sono compresi tutti i felini selvatici.
Lo stesso iter che segnò la sorte del caracal milanese, che però prima fu affidato a un centro, ma poi venne riconsegnato alla proprietaria. Seppur in affidamento giudiziario e con l’obbligo di custodirlo presso l’abitazione . Dopo pochissimo tempo, però, la proprietaria violò le disposizioni del magistrato e lo riportò in Bulgaria, dove la detenzione è purtroppo considerata legale.
Fra poco dovrebbe entrare in vigore il divieto di commercio degli animali selvatici
Il divieta arriverà per gli effetti del regolamento 429/2016 della Comunità Europea, entrato in vigore in Italia solo nel mese di aprile del 2021, a seguito dell’approvazione della legge 53/2021. Che ha riconosciuto come il commercio degli animali selvatici e esotici aumenti le possibilità di trasmissione dei virus. Mancano però i decreti attuativi del regolamento che non sono state ancora emanati dal Governo, che dovrà farlo entro l’aprile del 2022.
La pandemia dovrebbe averci insegnato la necessità di separare le nostre vite da quelle degli animali selvatici. E il buon senso dovrebbe averci fatto capire che tenere questi animali in casa sia contro la loro indole, sino a poter essere considerato un maltrattamento. Un’idea non condivisa dagli appassionati di animali esotici, che vorrebbero poterli detenere liberamente. Senza chiedersi se siano in grado di offrire condizioni di reale benessere agli animali costretti a vivere nelle loro case.
Se il regolamento trovasse rapida applicazione in tutti i paesi della UE, commercio e detenzione di moltissime specie animali finirebbero. Evitando la prigionia a centinaia di migliaia di animali che sono letteralmente “consumati” ogni anno dal mercato. Un bene per gli animali, ma anche per la salute umana, inutilmente messa a rischio da un traffico insano e pericoloso.
Riccio africano – animale selvatico esotico da non acquistare e tantomeno liberare in natura
Diritti animali e coerenza, un binomio spesso difficile da far suonare in modo armonico, che troppe volte produce dissonanze difficili da accettare. Sulle quali spesso e volentieri si sorvola, quasi come se parlarne rappresentasse un tabù. Un problema che non riguarda solo gli acquisti di animali da “cattività”, termine forse più adatto rispetto alla definizione “da compagnia”. Dove inizia e dove finisce il confine fra rispetto dei diritti e amore, fra commercio e abbinamenti di interessi contrastanti?
Il commercio di animali, purché rispetti le varie normative su tutela delle specie minacciate e sicurezza pubblica, è un’attività legale, come mi ha fatto recentemente notare sui social una nota catena di negozi, con annesso pet shop. Questo è verissimo, ma lo è altrettanto il fatto che non tutto quello che è legale abbia un valore etico almeno neutro. Far allevare animali non domestici, esotici e/o selvatici, con l’unico scopo di farli vivere in cattività non rappresenta un valore eticamente accettabile. Generazioni e generazioni di prigionieri nati per soddisfare i bisogni di qualcuno ma desinati a condurre un’esistenza misera.
Eppure sul commercio di animali, quando non parliamo di traffici illegali, dai cuccioli della trattaa agli animali protetti dalla CITES, si alzano ben poche voci. Molte associazioni sono abbastanza “tiepide” su questi argomenti, forse perché i destinatari della critica spesso coincidono con una larga fetta dei propri sostenitori. In altri casi ci sono realtà che in qualche modo fiancheggiano i commercianti di animali, organizzando raccolte di cibo nei loro punti vendita. Esattamente per lo stesso motivo di affinità: chi entra in un garden con annesso pet shop è probabilmente portato a guardare con simpatia chi si occupa di randagi.
Diritti e coerenza, se sono riconosciuti come un valore, non possono essere immolati sull’altare della necessità
Dietro il commercio di animali da cattività si nasconde un mondo fatto di sofferenze. Sia che si tratti di animali catturati in natura, per fortuna oramai sempre meno, che di quelli allevati per questo scopo. Per capirlo basta vedere le condizioni di esposizione e vendita nella stragrande maggioranza dei negozi: con la scusa che si tratta di situazioni temporanee spesso gli animai in vendita sono tenuti in modo trascurato, privi della possibilità di potersi comportare secondo le loro necessità etologiche.
Manca però una sensibilizzazione dei “consumatori”, termine che ben si adatta a chi compra animali da pochi euro come criceti, canarini, pesci rossi, tartarughine. Specie che costano poco, chiedono poco e muoiono spesso, per la gioia di allevatori e commercianti. Che grazie a questo rapido turn-over possono vendere sempre nuovi esemplari. Per non parlare delle condizioni di vita a cui gli animali da cattività sono sottoposti nelle case.
Il più venduto e il meno considerato è sicuramente il pesce rosso, animale simbolo della sofferenza muta. Molte persone che hanno acquistato in passato questi animali spesso confessano di essersi pentiti della scelta, avendo compreso la sofferenza. Ci sono invece altre persone che ancora pensano che il loro presunto amore possa lenire ogni sofferenza, ma questa purtroppo è davvero un’illusione per tutte le specie non domestiche come cani e gatti.
La sottile linea rossa che divide la necessità dall’adesione, l’acquisto di prodotti dalla sponsorizzazione
Questa è un altra tematica delicata, in molti casi un vero e proprio nervo scoperto, che espone l’etica a sollecitazioni innaturali, piegandola più alle necessità economiche che alle scelte etiche. Come avviene per esempio quando diritti degli animali e case farmaceutiche, che notoriamente fanno sperimentazione sugli animali, vanno stranamente sottobraccio. Un fatto eticamente difficile, se non difficilissimo da digerire.
I farmaci sono necessari alla cura degli animali e questo è un dato di fatto innegabile. Diversa però è la posizione del cliente, per necessità, da chi accetta di essere sponsorizzato da una casa farmaceutica. Sono due comportamenti eticamente differenti che meritano di essere distinti, ma anche di successivi e futuri approfondimenti. Credo che non ci possano essere buon scopi da condividere con cattivi alleati, diversamente l’etica diventa ad assetto variabile, priva di punti di riferimento.
In fondo sarebbe un po’ come se un’associazione umanitaria servisse nelle sue mense pasti confezionati con prodotti che derivano dallo sfruttamento dei lavoratori, dal caporalato. Un fatto che apparirebbe così stridente da finire sulle prime pagine dei giornali. E nessuno troverebbe disdicevole che qualcuno abbia fatto emergere una realtà così grave. Certo il caporalato è illegale e la sperimentazione sugli animali ancora no, ma il burrone etico non è diverso.
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