La prima cosa che salta all’occhio leggendo il piano è che di fatto l’attività venatoria si sdoppia e raddoppia: una cosa resterà la caccia, con le sue regole, altro il contenimento faunistico. Quest’ultimo avrà regole diverse e non costituirà attività di caccia, quindi anche l’eventuale vittoria di un referendum non chiuderebbe questo nuovo luna park regalato ai cacciatori. Una scelta decisamente in direzione contraria rispetto a quella di cercare di lasciare spazio alla natura, di creare nuovi spazi di maggior tutela e minor pressione antropica.
Nel nostro paese il mantra più diffuso non è sulla necessità di ricreare un equilibrio nuovo, con la finalità di contribuire alla mitigazione dei danni antropici, ma bensì quello di non danneggiare l’economia. Raccontando che il nemico, la fauna, distrugge i raccolti, diminuisce le risorse e non ultimo genera costi. Motivo per cui non si deve pensare alla coesistenza ma bensì alla riduzione del numero degli animali considerati ostili: dai cinghiali ai conigli, dai mufloni alle nutrie. Lasciando aperta la porta all’abbattimento degli ibridi, con ovvio riferimento ai lupi.
L’attivita venatoria si sdoppia e raddoppia, con ogni mezzo e in ogni tempo: un Far West legalizzato e irragionevole
Si riportano di seguito, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, gli strumenti tecnicamente piu’ efficaci per la rimozione selettiva degli animali: a) reti, gabbie e trappole di cattura; b) ottiche di mira anche a imaging termico, a infrarossi o intensificatori di luce, con telemetro laser, termocamere; c) fucile con canna ad anima liscia o rigata a caricamentosingolo manuale o a ripetizione semiautomatica classificate come armi da caccia o armi sportive. Salvo quanto diversamente disposto dallenormative vigenti in materia di armi, per i fucili con canna ad anima rigata e’ consentito l’utilizzo di ogni calibro, anche con diametro del proiettile inferiore a millimetri 5,6 e con bossolo a vuoto dialtezza inferiore a millimetri 40; d) arco tradizionale (longbow, flatbow, ricurvo) di potenza noninferiore a 50 libbre a 28 pollici di allungo e arco compound dipotenza non inferiore a 45 libbre a 28 pollici di allungo e frecce con punta munita di lame; e) fucili ad aria compressa di potenza superiore ai 7,5 Joule; f) strumenti per telenarcosi (fucili, cerbottane); g) strumenti per coadiuvare l’osservazione e il riconoscimentodegli animali (binocolo, cannocchiali, ottiche a imaging termico,intensificatori di luce e visori a infrarossi dotati di telemetrolaser); h) camera di induzione per eutanasia; i) strumenti di videosorveglianza nel rispetto delle normative e disposizioni in materia di privacy e trattamento dei dati personali; j) falco (unicamente per le specie autoctone delle famiglie degli Accipitridae, Falconidae, Strigidae e Tyonidae); k) richiami acustici, sia elettronici che meccanici; l) stampi e richiami impagliati, anche di specie diverse da quella oggetto di controllo; m) richiami vivi unicamente della specie oggetto di controllo, purche’ siano detenute ed utilizzate nel rispetto di tutte le normevigenti in materia di benessere animale; n) esche alimentari/olfattive attrattive (foraggiamento attrattivo, opportunamente regolamentato).
Comma 2, punto 3 dell’allegato 1 al piano straordinario di contenimento della fauna
Se non consideriamo le armi da guerra possiamo affermare che ogni mezzo sia consentito per raggiungere l’obiettivo, senza andare troppo per il sottile. Una deregulation che consentirà di sparare dalle macchine, di notte, con il silenziatore, con armi di qualsiasi calibro, solo per dare un’idea della pericolosità del provvedimento, per animali e persone.
Il delirio di onnipotenza porta a una gestione faunistica dannosa, mettendo l’uomo al centro e gli animali ai margini
I media non hanno dato il giusto risalto a questo provvedimento, che supera ogni immaginazione, ma anche ogni possibile idea del limite invalicabile per la difesa di ambiente e biodiversità. Certo il mondo venatorio e una buona parte di quello agricolo diranno che questo piano servirà al contenimento di specie alloctone e/o invasive che minacciano i raccolti. Ma un piano di gestione faunistica che consente di abbattere animali in ogni tempo e con mezzi impensabili non può essere considerato uno strumento intelligente. Resta aperta, per fortuna, la possibilità che l’Europa ci chieda profonde modifiche per non aprire quella che appare come l’inevitabile procedura d’infrazione.
L’articolo 19-ter, apena introdotto nel corpo della legge 157/92 stabilisce che: “Le attivita’ di contenimento disposte nell’ambito del piano di cui al comma 1 (il piano di contenimento faunistico n.d.r.) non costituiscono esercizio di attivita’ venatoria e sono attuate anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto“. Che tradotto in pratica significa poter cacciare animali sempre e dovunque, senza limiti temporali o di luogo!
In tempi come questi, nei quali la lungimiranza non dovrebbe essere più considerata solo una dote ma un obbligo, chi governa ha dato corpo e vita a un mostro. Con una visione del futuro che non arriva oltre alle scadenze elettorali, dimostrando tutti i limiti di una politica obbligata a pagare i debiti elettorali piuttosto che a difendere gli interessi dei cittadini.
Questo romanzo alterna momenti intimi, che coincidono con emozioni autobiografiche vissute dall’autrice, a riflessioni sul nostro rapporto con i cani. Che vogliono sottolineare che quando parliamo di cani non dobbiamo considerarli come una categoria, ma come una comunità di individui, proprio come accade per la nostra specie. La capacità di volerli vedere per come sono, per le loro diverse abilità e per un modo di socializzare sempre soggettivo, individuale, proprio come quello degli umani, aiuta a riflettere e a mutare il nostro angolo di visione.
Come accade nei romanzi anche “L’abbandono” tesse una storia, che nel suo svolgersi ci porta a comprendere come la sofferenza del distacco, ma anche la rinascita, facciano parte delle nostre vite. Ma anche di quelle degli animali, che noi umani spesso riusciamo solo a intravedere senza davvero voler entrare nel sentire degli altri viventi. Probabilmente per la paura di riconoscerli come esseri troppo vicini a noi per poterli considerare così poco. Ma lascio il racconto ai lettori, senza anticipazioni.
“L’abbandono” di Diana Letizia tocca temi scomodi, come la “sindrome di Noè” che colpisce molti animalisti
Il nostro rapporto con gli animali non è sempre frutto di intelligente aiuto, ma spesso si basa sulla soddisfazione dei nostri bisogni, che quasi mai coincidono, quando compulsivi, con quelli degli animali. Una verità scomoda della quale parliamo in pochi, ma pur sempre una realtà che genera sofferenza e privazioni, che non sono lenite dalle buone intenzioni. Scelte che portano i cani a finire nei canili senza avere la possibilità di trovare una via di uscita, prigionieri di un labirinto in cui non solo il denaro ma anche un amore senza riflessione li ha rinchiusi.
L’ambientazione di questo libro ha le luci calde del nord Africa, i ritmi del Marocco e una localizzazione a Taghazout. Una località della costa, probabilmente sconosciuta ai più, almeno fino all’aprile del 2018, quando il Marocco, candidato per essere sede dei mondiali di calcio, decide di fare pulizia. Non solo dei paesi, in vista dell’arrivo della delegazione della FIFA che dovrà valutare la candidatura, ma anche e soprattutto dei cani. Così una località dove la convivenza era norma si trasforma in un’arena senza toreri, ma con uomini e ragazzi armati che fanno strage di randagi.
Il racconto rende palpabile la gravità della strage, con garbo e attenzione, per far comprendere senza sconvolgere. Per consentire anche ai lettori più sensibili di capire, di entrare in una delle tante, nefaste, pagine della storia comune di uomini e cani. Rotto il patto di convivenza scatta la volontà di raccogliere dalle strade più cani possibili, ma questa scelta porta ad amassarli in modo insensato, così da avere, forse, salva la vita ma non dignità e benessere. L’esemplificazione tangibile della “sindrome di Noè”, ben conosciuta da chi si occupa di animal hoarding.
Bontà e malvagità spesso partono da punti diversi dell’orizzonte umano ma possono fondersi nelle conseguenze delle azioni
Se qualcuno pensa che il titolo del libro sia il preludio di un racconto basato sull’abbandono degli animali dovrà ricredersi. In fondo in questo romanzo siamo tutti accomunati e raccolti nelle sofferenze causate dall’essere stati, almeno una volta nella vita, abbandonati, feriti. Lacerazioni che talvolta spezzano l’anima o piccole bruciature che continueranno a farsi sentire anche quando sembrano guarite. Un viaggio, breve ma intenso, che attraversa le nostre vite di esseri umani ma non solo quelle.
Diana Letizia è una giornalista con una lunga storia di redazioni alle spalle e ora è il direttore di Kodami, periodico digitale che tratta temi legati agli animali e all’ambiente, con ottime performance in tempi in cui molti parlano ma pochi leggono. Il romanzo, per scelta dell’autore e della casa editrice, destina i proventi alle associazioni di tutela degli animali che operano in modo intelligente e consapevole sul territorio.
Round Robin Editore – brossura – 291 pagine – 16 Euro
Sterminio di gatti e volpi con il veleno, grazie a una macchina governata dall’intelligenza artificiale, non è una fake news ma la nuova strategia australiana. Volpi e gatti sono ritenuti dei pericoli per la biodiversità e da tempo chi si occupa di conservazione punta il dito contro i gatti, responsabili di uccidere miliardi di animali selvatici. Il fatto che i gatti, in particolare i randagi, siano responsabili di un prelievo consistente sulla piccoli uccelli e mammiferi è un dato difficile da confutare. Certo si potrebbero costituire parallelismi fra moltissimi altri eventi dannosi per la fauna, ma resta il punto che i gatti sono un predatore introdotto dall’uomo.
Secondo gli enti governativi queste due specie sono responsabili, in concorso con altre, dell’uccisione di due miliardi di animali australiani ogni anno, mentre i gatti domestici si attesterebbero sull’uccisione di oltre 390 milioni di selvatici. Il punto non è tanto, qui,di contestare i numeri, ma quello di valutare i metodi impiegati, per i quali il governo ha stanziato 7,6 milioni di dollari in cinque anni. Con lo scopo dichiarato di contrastare l’espansione di volpi e gatti a qualsiasi costo. Con quali metodi? Con una macchina governata dall’AI.
Sterminio di gatti e volpi con il veleno, in modo crudelmente selettivo grazie all’AI ma con una sorpresa
Felixer è il nome di questa macchina, che grazie all’intelligenza artificiale è in grado di riconoscere gatti e volpi con un alto tasso di precisione. Riuscendo anche a emettere richiami, denominati “esche sonore”, capaci di indurre queste specie a avvicinarsi al macchinario. Una volta che li avrà identificati Felixer sparerà su gatti e volpi un gel tossico, che una volta leccato dagli animali li condurrà a morte. Una versione più sofisticata dei topicidi, non è dato di sapere quanto indolore considerando che si tratta di un tossico.
Gli stessi produttori ammettono che nonostante il dispositivo sia in uso da diversi anni e sia governato dall’AI ci possono essere dei tassi di errore. Vale a dire un mancato corretto riconoscimento della specie target con un tasso di errore che non dovrebbe essere superiore allo 0,5%. Questo è quanto rivela la scheda tecnica dell’apparecchio e gli avvertimenti di sicurezza sull’uso.
A questo punto il lettore starà pensando che questa macchina sia stata pensata da una delle tante multinazionali che commerciano veleni e varia attrezzatura. Proprio questa è invece la sorpresa perché chi ha inventato e commercializza questa macchina è una charity che si chiama Thylation. Una ONG che ha come scopo quello di occuparsi di conservazione della biodiversità, vantando una serie di sinergie con altre realtà impegnate in questo campo.
Selettiva negli obiettivi Felixer, pur con dichiarate possibilità di errore, ha effetti collaterali
Insomma ancora una volta l’idea di difesa della natura si intreccia con la volontà di gestirla, secondo tecniche e sistemi sempre meno naturali e sempre più problematici. Cercando di intervenire sulle conseguenze e poche volte sulla prevenzione, dimenticando che per ottenere un reale risultato bisognerebbe avere la volontà di ridurre l’intervento antropico. Facendo prevenzione e non soltanto una costante opera di rimozione di specie indesiderate dal territorio.
Roccella ha definito il tentativo di dare il nome dei bambini ai cani come la volontò di esercitare una sorta di surroga emotiva, esplicitata nel nome. Quasi come se il nome potesse, per incanto, trasformare un cane, incolpevole, in un bambino. Peraltro i nomi si danno a persone e non a bimbi, accompagnandoli per tutta la vita. Forse questo argomento, più di altri, meriterebbe delle riflessioni, per non creare un futuro disagio. Ma qualcuno davvero può pensare che un cane chiamato Ugo possa generare un senso di difficoltà a un bambino? Oppure che una persona lo abbia chiamato così credendo di poterlo pensare come fosse un bimbo?
Nelle case degli italiani ci sono 8,8 milioni di cani e 10,2 milioni di gatti, vale a dire più o meno diciannove milioni di animali tenuti come pet. Secondo ISTAT le famiglie, composte mediamente da 2/3 persone, sono venticinque milioni, quindi possiamo dire che, per difetto, almeno il 70% delle famiglie ha uno o più animali. Che molto spesso convivono con i circa 10 milioni di minori presenti nei contesti familiari, considerando che la richiesta di poter avere un animale è in cima ai desideri di ogni bambino. In queste famiglie ci saranno molti quattrozampe che si chiamano Ugo, Agenore, Filippo, Eros oppure Otto. Non per il senso della surroga ma semplicemente per una scelta più o meno bizzarra.
Bambini, cani, nomi e ministra Roccella, che si richiama a Papa Francesco in una comunione priva di significato
Esistono persone che trattano i cani come fossero bambini? Certamente si e molto spesso questo porta i cani a condurre una triste vita, trasformati in un presidio terapeutico. Che travolge il loro essere individui senzienti con necessità. Piacciono i cani che hanno tratti neotenici, che restano sempre con un aspetto da cuccioli, con la faccia piatta e gli occhi grandi per assomigliare ai bambini? Purtroppo si e sono gli animali brachicefali, poveri esseri sofferenti per piacere, per essere belli da morire, considerando che non respirano. Sono tutti custoditi da persone che avrebbero voluto un figlio ma non lo hanno messo al mondo, per moltissimi motivi? Certamente no a giudicare dai loro “padroni”, che hanno famiglie dove gli animali sono entrati per scelta e non come surroga.
Qualcuno dice al cane “amore di mamma”? Certamente sì, ma questo non significa che pensi di avere al guinzaglio un bimbo. Proprio come non bisogna pensare che chi dice a un bimbo “sei bello da mangiare” possa essere un antropofago. Come sempre il punto è la misura e le affermazioni a effetto servono solo a distrarre perché gli animali quasi mai, nelle situazioni ordinarie e non patologiche, rappresentano un surrogato. Mentre le culle vuote sono la conseguenza di moltissimi fattori, sicuramente non influenzati dal bassotto Ugo.
Francamente se non restassimo ancorati, tristemente ancorati, a concetti legati alla provenienza delle persone, potremmo dire che su un pianeta abitato da otto miliardi di persone il problema non siano le nascite. I problemi sono altri per i sapiens che calcano il suolo terrestre, e lo sono anche per gli italiani. Che fanno fatica a vedere un futuro in questo paese, che sono preoccupati di come sarà declinato il concetto di “domani” nei prossimi decenni. Agitare temi assurdi e vergognosi come la sostituzione etnica non migliorerà la nostra società e non servirà, per contro nemmeno a riempire le culle.
Gli animali sono spesso l’unico affetto per molte persone, in una società troppo aggressiva e poco riflessiva
Prima di mettere in concorrenza animali e bambini, in una competizione priva di senso sostenuta da considerazioni di pari valore, bisognerebbe avere voglia di capire. Comprendere quanto sia importante per la signora Rosa, che magari vive da sola e fatica a tirare fine mese, il bassotto Ugo, con cui parla, al quale racconta e dal quale è amata senza condizioni. Ci sono tali e tante carenze nel sociale che non sarebbe difficile capire i motivi che portano l’amore a essere declinato in tanti modi, con tante e diverse sfumature e fra tante e diverse difficoltà.
La storia che lega i cani alla nostra specie, che ricordo sempre essere una e indissolubile, con tutte le sue declinazioni di colore, orientamento sessuale e religione, dura da millenni. Ci vorrà altro per interrompere un rapporto ricco di abbandoni e di infedeltà umane, solo umane, e non saranno certamente considerazioni come queste a alterarlo. Condividere la vita con gli animali rasserena gli umani, che ricevono ben più di quello che danno e, soprattutto, di quello che spesso tolgono.
Scrive l’ufficio stampa del PNALM che l’episodio di bracconaggio è avvenuto in “una località nota per essere praticamente lo spartiacque tra la Valle del Giovenco, la Valle Subeacquana e la Valle Peligna. Un corridoio naturale tra il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco Regionale del Sirente – Velino. Questo aspetto accresce l’importanza dell’area, esterna ai confini delle due aree protette ma in parte inclusa nell’area contigua del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; un elemento, questo, molto importante dal momento che assicura il diritto agli allevatori della zona all’indennizzo dei danni provocati da lupo e orso”.
L’uso del veleno è vietato da molto tempo e gli accertamenti, condotti dall’Istituto Zooprofilattico di Abruzzo e Molise, per stabilire il tipo di tossico sono ancora in corso. A giudicare dalle immagini sembra però che sia stata usata la micidiale stricnina, un pericoloso veleno usato nel passato, prima dell’avvento della normativa sulla caccia del 1977 (legge 968/77), per l’eliminazione degli animali ritenuti nocivi. Una categoria, quest’ultima, che ricomprendeva tutti i predatori: dalle volpi ai lupi, dalle faine agli orsi. Sino a quando la fauna è diventata (tutta) un patrimonio indisponibile dello Stato, qualificazione che non l’ha però salvata dagli atti di bracconaggio.
Strage con il veleno in Abruzzo: i lupi sono la specie target e gli altri animali sono i danni collaterali
I bocconi avvelenati, nonostante gli indennizzi, erano sicuramente destinati ai lupi ritenuti responsabili di predare gli animali al pascolo. Ma nella sua perfezione l’evoluzione non ha considerato i gesti criminali di noi sapiens, per cui ha messo in atto strategie sanitarie, grazie agli animali necrofagi, senza considerare la stupidità umana. Per questo sono morti i corvi, che spesso segnalano ai lupi ma anche agli avvoltoi la presenza di animali morti, proprio per ottenere un aiuto nelle azioni di “pulizia” dei cadaveri. I corvi non hanno becchi o denti per aprirli e quindi chiedono l’aiuto di altre specie che questi mezzi li possiedono.
Segnalando la presenza di cadaveri i corvi sanno che arriveranno dei competitori, ma con la saggezza evolutiva hanno imparato che è meglio accontentarsi che volere troppo. Agevolando così l’arrivo di chi, “aprendo” i cadaveri gli metterà a disposizione branbdelli di cibo, che in questo caso erano però intrisi di morte. Così un unico boccone avvelenato è in grado di ammazzare più animali, proprio come avviene con i rapaci che predano i topi mezzi moribondi a causa dei topicidi. Il veleno, sempre il veleno, compie danni enormi alla fauna, eppure non si riesce ancora a contrastare in modo efficace il suo illecito e indiscriminato utilizzo.
Se il bracconaggio aumenta la ragione non è certo nella crescita numerica dei predatori ma in quella del senso di impunità
Mai come in questo periodo, nella storia repubblicana, un governo è stato così vicino al mondo venatorio e a quello degli allevatori: due realtà che hanno quantomeno una certa contiguità con il bracconaggio. I cacciatori per una mentalità arcaica e scientificamente marcia che fa identificare ogni predatore come un nemico, i secondi perchè, dopo essersi abituati per decenni all’assenza del lupo, fanno fatica a accettare che il superpredatore sia tornato. E anche in questo caso i numeri c’entrano poco perché, nonostante le dichiarazioni governative, i lupi non sono troppi e, comunque, fossero anche solo dieci prederebbero lo stesso gli animali lasciati incustoditi.
In verità non se ne può più di sentire stupidaggini travestite da concetto scientifico e chi sostiene che i lupi sono troppi dovrebbe tornare a scuola. A differenza degli uomini infatti, che ultimamente non paiono essere benvenuti nemmeno loro, gli animali presenti in natura hanno numeri in rapporto con la “portanza ambientale” del territorio. Tutte le altre considerazioni sono basate su un’ignoranza abissale, usata in modo strumentale per ingenerare paura nelle persone e per dare ai bracconieri una patente di impunità, che la legge non garantisce ma la politica vorrebbe. Per tornaconto elettorale, verso categorie da sempre molto riconoscenti, per completa assenza di conoscenze in materia anche da chi guida ministeri importanti, come l’ambiente.
Il bracconaggio rialza la testa quando la politica non difende l’ambiente
In questo preciso momento il bracconaggio rialza la testa proprio perché sente che il vento è cambiato. Aumenta la percezione che uccidere i predatori sia un reato che verrà sempre meno perseguito, considerando che sono proprio i rappresentanti dello Stato e delle Regioni a sponsorizzare il ricorso agli abbattimenti. I predatori rappresentano un fastidio che turba le attività di allevatori e cacciatori, senza scusanti perché per certa politica gli equilibri naturali non sono un valore. Se continuerà così le paure si tradurranno in azioni, la possibile impunità in certezze e i danni conseguenti a questa politica scellerata in tragedie.
Purtroppo non è più tempo per poter restare neutrali, perchè i danni di questa visione del mondo li pagheranno tutti.
Nutrie e istrici: identificati i pericolosi responsabili delle inondazioni, secondo l’ultima barzelletta nostrana, assecondata anche da alcuni presunti tecnici. Gli animali sarebbero colpevoli di scavare le loro tane negli argini dei fiuni, causandone lo smottamento sotto la pressione dell’acqua. Chi avesse pensato che dietro i disastri che periodicamente devastano il nostro paese ci fossero motivazioni dovute all’incuria nella gestione del territorio e i cambiamenti climatici quindi sbaglia? Ancora una volta i veri responsabili sono gli animali e non gli esseri umani?
Quindi la frana che quindici anni fa ha devastato le aree del comprensorio di Sarno saranno state causate dalle tane scavate dai selvatici sulle pendici delle colline. Lo stesso si potrebbe ipotizzare per la rovinosa frana che pochi mesi fa ha colpito l’isola di Ischia per non parlare dei numerosi eventi calamitosi, costati la vita a decine di persone? Decisamente no, i responsabili di questi disastri non sono gli animali ma l’incuria e il fatto che divoriamo territorio senza preoccuparci delle conseguenze. Costruendo sugli argini dei fiumi, canalizzando, asfaltando, disboscando e eliminando la vegetazione di ripa, che con le radici consolida gli argini.
Siamo noi umani i responsabili di morti e devastazioni, di frane e dissesti e dei cambiamenti climatici indotti dall’Antropocene. Noi sempre sordi ai richiami che il territorio ci lancia, ma sempre pronti a scaricare responsabilità e colpe su altri, che in genere non possono obiettare. Colpevoli di un ritardo epocale nel mettere in sicurezza i territori, contando più sul valore effimero della speranza che nulla accada rispetto alla certezza di aver ben operato per evitarlo.
Non sono nutrie e istrici i pericolosi responsabili del dissesto idrogeologico italiano, ma decenni di incuria e sfruttamento intensivo
Dati che devono far riflettere. Cercando di non nascondere colpe e responsabilità poltiche ma, soprattutto, agendo in modo rapido e concreto. Per interrompere questa catena annunciata di disastri. Per non distruggere ulteriormente il nostro territorio, già duramente provato. Smettendo di cementificare e asfaltare ovunque, privilegiando il recupero al consumo di suolo.
Sembra che in questi tempi complessi, caratterizzati da grandi mutamenti climatici, solo pochi abbiano compreso l’importanza di guardare il pianeta come un unico ambiente. Dove uomini e animali devono poter convivere per poter mantenere gli equilibri che hanno consentito alla nostra specie di scendere dagli alberi, non certo per distruggere tutto. La progressiva scomparsa della cultura contadina ci ha trasferito in un’epoca arrogante, senza rispetto né attenzione verso l’equilibrio.
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