Agire per garantire maggiori diritti agli animali o solo per diritti assoluti

agire per garantire maggiori diritti agli animali

Agire per garantire maggiori diritti agli animali o vedere come unico obiettivo degno di nota quello di arrivare al riconoscimento di identici diritti per tutti, animali umani e non umani?

Questo è il grande quesito, etico ma non solo, che agita i vari fronti di quanti si occupano di diritti animali attraversando territori che vanno dal lucido pragmatismo alla più romantica delle utopie.

Nulla è più rispettabile di qualsiasi battaglia che miri al raggiungimento di una maggior consapevolezza degli altrui diritti, del modo più rispettoso possibile di convivere e di utilizzare le risorse secondo una logica di impiego e non di sfruttamento.

L’etica però diventa facilmente una piazza di scontro quando questa riguarda i diritti dei diversi, partendo da quelli che spesso non riconosciamo a altri uomini soltanto perché hanno tratti somatici o culturali diversi  dai nostri, per arrivare a quelli degli animali.

Spesso non riconosciamo uguali diritti a altri appartenenti alla specie umana quando sono portatori di caratteristiche diverse dalle nostre come il colore della pelle, la lingua o la religione. Ancor meno lo riconosciamo agli animali non umani: per cultura, per utilitarismo oppure semplicemente in quanto li riteniamo portatori di diritti attenuati, degni di una diversa considerazione. 

Ma l’eterna distinzione del mondo in prede e predatori comporta però solo un finto equilibrio, capace di generare in realtà un grandissimo disequilibrio, dove predatori e prede sono spesso appartenenti anche alla stessa specie, la nostra.

Uomini e animali sono spesso schiavi per identiche logiche di sfruttamento

Si afferma, non a torto, che gli uomini si comportino con gli animali come facevano un tempo con gli schiavi; che per definizione non erano considerati esseri umani con pari diritti. Contavano quanto o meno degli animali, potevano essere costretti in catene, deportati, comprati e venduti al mercato. 

Dopo la guerra di secessione americana, con la vincita del Nord sula Confederazione degli Stati del Sud arrivò, nel 1865, la fine della schiavitù negli Stati Uniti, almeno formalmente. Nella realtà finì soltanto quella fatta di ceppi e catene, di padroni e schiavi considerati come merci.

La storia americana ci insegna che si possano eliminare per legge le catene fisiche senza sciogliere quelle sociali e economiche. Ancora oggi in America bianchi e neri hanno gli stessi diritti spesso solo sulla carta, ma non così nella realtà, nella vita di tutti i giorni e questo nonostante il tempo passato dalla morte di Martin Luther King e dalle sue battaglie, fra le quali tutti ricordiamo la marcia di Selma.

La schiavitù è un crimine contro l’umanità

La schiavitù è stata riconosciuta come un crimine, seppur in tempi molto diversi, in tutto il mondo: i primi abolizionisti furono i veneziani della Serenissima che misero fuori legge la schiavitù nel 960 mentre l’ultimo stato moderno ad abolirla fu la Mauritania, soltanto nel 1980.

Diversa considerazione vale per la schiavitù economica considerando che un recente rapporto di Oxfam ha indicato che 8 persone al mondo posseggono la stessa ricchezza complessiva di quella posseduta da 3 miliardi e seicentomila abitanti della Terra.

Sarebbe quindi opportuno aprire una finestra sui diritti, che per essere tali non possono restare confinati dentro le pagine di un dizionario, devono corrispondere a concrete realtà, a comportamenti, a un riconoscimento sociale che cancelli il concetto alla base di ogni discriminazione.

Certo questa sarebbe la dimostrazione di trovarci dentro una cultura portatrice di una considerazione molto alta della vita, la dimostrazione di un grande rispetto che sembra attualmente irraggiungibile anche fra umani, utopico, fantastico, sempre al confine fra irreale e surreale, fra realtà e sogno.

I diritti minimi devono essere considerati inalienabili

I diritti nelle società umane non sono riconosciuti in senso universale e reale a tutti gli appartenenti, che sono sempre e comunque divisi in classi sociali, in razze, in poteri che rappresentano convenienze economiche. Su questa base spesso cambia senso anche il termine democrazia, che pur ha o dovrebbe avere un significato chiaro, univoco.

Sul filo di questo ragionamento, per necessità molto sintetico, viene spontaneo interrogarsi su una serie di quesiti, su quali comportamenti dividano più che unire, su una filosofia eticamente corretta ma che è diventata fonte di scontri, come accade fra gli opposti fazioni in cui sono schierati onnivori e vegani.

Forse questo scontro può nuocere nell’immediato a un miglioramento delle condizioni di vita degli animali? Quegli animali non umani che la nostra specie prima ha domesticato, poi utilizzato e ora sfrutta senza conoscere confini morali, spesso senza alcun rispetto in una logica massificata di profitto.

Dobbiamo considerare, non possiamo dimenticarlo, che fra una posizione etica e la realtà ci sono sempre abissi incolmabili: questo avviene nell’esistenza degli uomini che sono passati, per parlare di storia recente, dal Darfur ai Balcani, dalla Siria alla Corea del Nord, dalla Libia a quanto accade in molti campi profughi d’Europa, terra di diritti sospesi, carica di sofferenza e di umanità negata.

Questo come in uno specchio riflette molte analogie con la condizione animale, che riportano ai carri bestiame, agli allevamenti intensivi, ai combattimenti fra animali: sensibilità sopita, indifferenza, interessi economici e mille altri inconfessabili umani motivi.

Gli uomini sono tutti uguali solo per il diritto internazionale, proprio come gli animali sono esseri senzienti per il trattato di Lisbona: questo però non ferma stermini, deportazioni, stupri, macelli, diritti calpestati e negati per uomini e animali.

Sembra quindi giusto interrogarsi se sia più importante inseguire diritti assoluti e cercare di imporli senza risultati apprezzabili oppure lottare per creare ponti, fatti di piccoli progressi, di diritti reali e concreti e non di obiettivi assoluti, difficili da raggiungere velocemente.

La risposta non è certo scontata nella scelta di come agire per garantire maggiori diritti agli animali. Nel frattempo, nelle decine se non centinaia di anni che separano l’uomo da questa possibilità universale, da questa scelta etica, da questa (forse) utopia vogliamo cercare di fare delle cose per migliorare le condizioni di vita degli animali oggi oppure vogliamo combattere solo per diritti assoluti?

Discorso difficile, di quelli che non piacciono a molte persone che si occupano di diritti animali, ma la realtà, ne sono fermamente convinto, deve prevalere sull’utopia. Nascita, vita e morte sono i punti che caratterizzano il passaggio terreno di tutti gli esseri viventi, ma quello che fa la grande differenza si chiama “qualità della vita”.

Per questo credo sia importante agire per garantire maggiori diritti agli animali, ora, subito. Non dimentichiamo mai che i diritti non sono soltanto quelli che l’uomo riconosce nelle norme ma sono quelli che ognuno di noi difende e fa propri nel suo agire, nel rispetto, nella vita di ogni santo o maledetto giorno.

Per far si che questo accada abbiamo bisogno di tutti, al di là delle loro scelte alimentari. Ma questa è soltanto una mia personale opinione pensando che bisogna agire per garantire maggiori diritti agli animali.

Persuadere sui diritti animali passa dalla capacità di comunicare

Persuadere sui diritti animali

Persuadere sui diritti animali passa dalla capacità di comunicare concetti positivi che costituiscano uno stimolo alla riflessione per chi ascolta.

Senza dover trovare per necessità un nemico, una delle modalità più sbagliate per dare una giustificazione all’aggressività verbale. Insultare e aggredire sono comportamenti che dimostrano la mancanza di argomenti per contrastare, in modo razionale, le azioni che giudichiamo negativamente.

Spesso si ha l’impressione che qualcuno creda che l’insulto abbia un reale potere punitivo nei confronti del responsabile, del nemico di turno.

Leggendo certe affermazioni è impossibile non pensare all’effetto boomerang, cioè a quanto l’insulto lanciato per liberare la rabbia o per avere un momento di affermazione verbale (più urlo, in senso figurato, più mi dimostro coraggioso) si ritorca contro chi l’ha pronunciato e questo sarebbe il minore dei mali.

Il vero rischio è quello di danneggiare organizzazioni e persone che si occupano della difesa dei diritti animali cercando di stimolare attenzioni e riflessioni e che, invece, possono venire confusi e assimilati agli haters, gli odiatori, rendendoli così invisi a una parte dell’opinione pubblica.

L’insulto è liberatorio solo per chi lo lancia ma intossica gli altri

L’ultimo bersaglio che sarà colpito dai cosiddetti effetti collaterali della violenza verbale sarà proprio il soggetto che questi odiatori professionisti e compulsivi dichiarano di voler tutelare: gli animali e l’affermazione dei loro diritti.

Per fare un esempio concreto potremmo andare a cercare sulla rete un po’ di post scritti su un veterinario piemontese, cacciatore, che dopo essere salito alla ribalta delle cronache a causa dei suoi safari in Africa, comparsi qualche mese prima, ha avuto un incidente durante una battuta di caccia sulle Alpi, dove ha trovato la morte.

Su questo incidente mortale è partita una catena infinita di commenti di plauso per il decesso, di insulti postumi (inutili), di festeggiamenti per la ritrovata giustizia. Insomma uno spettacolo triste, che non dovrebbe neanche passare per l’anticamera del cervello di chi vuol difendere i diritti dei deboli e degli oppressi.

Con questo modo di porsi, così scomposto e in fondo altrettanto violento, temo che anche persone che sono sempre state contrarie alla caccia si sentano altrettanto in contrasto con chi, in nome della stessa avversità contro il mondo venatorio, auspica che tutti i cacciatori facciano una brutta fine.

Lanciare anatemi o maledizioni non serve a cambiare il mondo

Muoiano fra atroci sofferenze e possano essere graziati solo grazie alla benevolenza di qualche divinità che potrebbe conceder loro una morte improvvisa e indolore. Le regole della comunicazione insegnano che le persone possono essere persuase più efficacemente spiegando loro i danni che la caccia produce, in Italia e non solo, piuttosto che individuando il nemico di turno per riempirlo di insulti.

Quando mi dissocio da certi comportamenti, quando dico che la riduzione del danno deve essere il primo obbiettivo, poi si potrà lavorare per arrivare a cambiamenti più importanti del comportamento collettivo, spesso vengo osteggiato dall’ala più movimentista del variegato universo dei difensori dei diritti degli animali.

Quelli che vorrebbero che l’unica possibilità fosse un mondo con pari diritti fra uomini e animali, ipotesi affascinante ma allo stato difficilmente raggiungibile.

Un mondo che non si preoccupa della sorte di un buon 50% della popolazione mondiale, che vive in condizioni di povertà e privazione, senza accesso all’acqua pulita, potrà diventare grazie a uno schiocco di dita radicalmente diverso?

Un mondo dove secondo Oxfam 62 persone detengono il 50% della ricchezza mondiale e dove l’1% della popolazione è più ricco del restante 99% potrà avere un senso di equità così sviluppato? Direi di no.

Chi si occupa di diritti degli animali deve forse comprendere come sia più importante non dare argomenti per essere trattati come fanatici da Cruciani alla trasmissioneLa zanzara” di Radio 24, piuttosto che far poi presidi sotto l’emittente per protestare contro le stupidaggini che il conduttore dice a proposito dei diritti degli animali.

Certo sentire in radio che se muore un cacciatore qualcuno gioisce perché c’è un assassino in meno in giro non aiuterà l’evoluzione dei diritti degli animali, non li farà avanzare di un solo millimetro.

Temo che questo un po’ lo sappiano molti di quelli che agitano volutamente le acque, diventando protagonisti di una violenza verbale che si auto alimenta all’interno di uno stesso gruppo ideologico. L’esatto contrario del significato del meglio costruire ponti (di comunicazione) che ergere muri (per fare i leader all’interno di perimetro molto ristretto).

Esistono persone, naturalmente in ogni contesto sociale, che hanno fatto della necessità di avere un nemico da combattere una ragione di vita ma anche, più praticamente, una modalità attraverso la quale giustificare le proprie azioni, fingendo che siano fatte per tutelare una causa, un obiettivo, un diritto mentre nella realtà sono soltanto armi di distrazione di massa.

Io credo, forse sbagliando, che l’unico mezzo per tutelare i diritti di chi ne ha meno sia quello di cercare di fornire spunti di riflessione, promuovendo la conoscenza e la crescita culturale.

Bisogna far crescere la curiosità nel voler capire le dinamiche che presiedono determinate scelte. Più importante far comprendere come viene allevato un pollo in un allevamento intensivo piuttosto che cercare di imporre a diventar vegetariani a colpi di dogmi.

Chi conosce sceglie, chi viene obbligato subisce, chi viene aggredito non ascolta alcun ragionamento.

La condanna di Green Hill e la mitezza delle pene

beagle cani da esperimenti

Un beagle in un allevamento

Con la condanna dei responsabili della società Green Hill di Montichiari, noto allevamento di beagle per la sperimentazione, a pene variabili fra i 12 e 18 mesi si è chiuso il processo di primo grado a Brescia per i maltrattamenti inflitti agli animali: il Tribunale ha emesso una sentenza “storica”, che per la prima volta in Italia ha condannato per maltrattamento i responsabili di un allevamento di cani destinati alla sperimentazione. (altro…)

Liberati dai laboratori USA 110 scimpanzè

scimpanzé sperimentazione

Uno scimpanzé usato negli esperimenti

110 scimpanzé custoditi nei laboratori di ricerca del New Iberia Research Center saranno consegnati a un santuario perché possano, finalmente, condurre una vita fuori dalle gabbie. Gli animali, come pubblicato in un articolo del Corriere della Sera vivranno nelle strutture predisposte dall’organizzazione americana “Chimp Haven”.

Per questi primati umani, nostri progenitori, la vita cambierà radicalmente e potranno essere aiutati a dimenticare, chi anni e chi decenni di privazione, angoscia e sofferenza trascorsi presso i laboratori di ricerca, dove sono stati usati per varie sperimentazioni.

Le elezioni europee sono alle porte, i diritti degli animali sono fuori.

Il tempo trascorso da soli non guarisce le nostre ferite. Europa quando pensi che arrivi il tempo di agire?

Il tempo trascorso da soli non guarisce le nostre ferite. Europa quando pensi che arrivi il tempo di agire?

Guardando i programmi dei partiti europei, secondo quanto riporta una nota della LAV c’è da mettersi le zampe nella pelliccia per gli animali, le mani nei capelli per chi si batte per i loro diritti: (altro…)

Mastodon