Puma trasferiti in California per allontanarli da un branco di pecore di montagna Bighorn, perché in pericolo di estinzione. In Sierra Nevada sono rimaste circa 600 pecore di montagna, anche a causa delle predazioni compiute dai puma e per questo si è deciso di ridurre la presenza di questi carnivori. Questa volta senza fare campagne di abbattimento ma sperimentando sistemi incruenti per ridurre il numeri di felini, trasferendoli per salvaguardare le pecore bighorn.
In passato la scelta era stata quella di sfoltire a fucilate la popolazione dei leoni di montagna, per limitare i danni alle pecore. Una via che non si è dimostrata risolutiva. Ma che era anche stata duramente osteggiata dall’opinione pubblica. Un po’ come avviene in Italia quando l’unica gestione faunistica è fatta a fucilate. Le proteste in questo caso sono servite per far decidere alle autorità di catturare e trasferire alcuni animali, lontano dalla zona dove vivono le pecore di montagna.
Alla fine del secolo scorso a causa della pressone venatoria e dei predatori le pecore di montagna erano rimaste poco più di cento. Per poi risalire al numero attuale grazie a misure di protezione molto rigide, ma anche all’abbattimento di un numero consistente di puma. Ora si sta provando a cambiare metodo: alcuni animali sono stati catturati, muniti di radiocollare e liberati a centinaia di chilometri di distanza.
I puma trasferiti dalla California sono stati rilasciati in aree distanti sperando si adattino ai nuovi territori
La scelta di trasferire gli animali è stata presa pur nella consapevolezza che non possa essere l’uomo a decidere dove un puma debba vivere. Mettendo così in conto un possibile ritorno. I puma infatti, proprio come orsi e lupi, sono dei grandi camminatori, capaci di percorrere lunghi tragitti in pochi giorni. In un caso un puma che era stato spostato a più di centocinquanta chilometri dal luogo di cattura è stato capace di farvi ritorno. Per poi essere nuovamente catturato e portato in un’altra area distante il doppio dei chilometri e in direzione opposta.
Gli studi fatti dai tecnici, basati sui dati inviati dai radiocollari, hanno dimostrato che altri felini si sono adattati ai luoghi in cui sono stati liberati. Le politiche non letali hanno prodotto il duplice risultato di salvaguardare pecore e puma. Una strategia che potrebbe essere attuata anche nel nostro paese, per diminuire ad esempio il numero degli orsi in Trentino. Permettendo di rispettare i criteri del progetto originario, che prevedeva che gli orsi reintrodotti dovessero colonizzare nuovamente l’intero arco alpino.
In Italia si dovrebbe provare a trasferire alcune femmine di orso per cercare di agevolare la dispersione
Considerando che la captivazione o l’abbattimento degli orsi non sono strade che possano essere perseguite a lungo, sarebbe utile riportare il progetto sull’orso alle sue origini. Attuando quel piano di ripopolamento sull’intero arco alpino, dove gli orsi erano presenti prima di essere sterminati dalla caccia. L’orso è una specie importante per l’equilibrio dell’ecosistema. Una specie definita ombrello, grazie alla quale migliora la qualità dell’ambiente, stimolando l’insediamento di altre forme di vita.
Per rendere possibile questa ipotesi ci vuole però una condivisione delle comunità locali. che devono essere convinte del valore, anche economico, che la presenza di queste specie regala. Un miglior equilibrio fra prede e predatori deve essere visto come una grande opportunità e l’unico modo per condividere nel giusto modo il territorio. Non sarà un percorso facile, ma una strada obbligata che dobbiamo percorrere con consapevolezza.
L’orso M57 resta imprigionato nel centro di Casteller insieme a Dj3 e M49. Anche in questo caso il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso di ENPA e OIPA che chiedevano la sospensiva dell’ordinanza di captivazione. Ancora una volta, nel dispositivo della sentenza, non mancano pesanti critiche al comportamento della Provincia di Trento. Ma questo non cambia la posizione dell’orso che resta rinchiuso in un centro non idoneo a garantirne il minimo benessere. Senza che al momento nulla si muova, non certo per colpa del Consiglio di Stato. Il cui presidente della Terza Sezione, Franco Frattini, era già stato ricusato dalla PAT perché ritenuto troppo vicino alle tesi delle associazioni.
La questione sembra davvero paradossale perché ogni sentenza che conferma la detenzione degli orsi attacca il comportamento dell’amministrazione presieduta da Maurizio Fugatti. Senza che questo apra spiragli per il ritorno in libertà di M49 e M57, che sono due orsi di recente cattura, che secondo gli esperti potrebbero tornare liberi. Ma che nessuno vuole liberare perché significherebbe assumersi una responsabilità e ammettere degli errori. In questo modo, come al gioco del Monopoli, si è ritornati alla casella del carcere, senza avere grandi possibilità di uscirne.
Soltanto che questa vicenda, inquietante e kafkiana, lascia aperti molti, troppi interrogativi sul futuro di questi animali, ma anche su quanto potrà succedere a primavera, quando gli orsi usciranno dal letargo. Riprendendo a vagare sul territorio e continuando a trovare le medesime condizioni che hanno fatto incarcerare i loro simili: rifiuti e animali da reddito non protetti adeguatamente. Un problema che l’amministrazione trentina sembra ben lontana dal voler affrontare. Ma in questo momento il centro di Casteller non riesce a tenere neanche i tre orsi prigionieri ora in condizioni dignitose. Figuriamoci cosa succederebbe in caso di nuove catture.
L’orso M57 resta imprigionato per aver attaccato un carabiniere mentre stava vagando vicino ai cassonetti dei rifiuti
Lo dice il Consiglio di Stato, lo ribadisce ISPRA che l’amministrazione è inadempiente, avendo omesso di adottare una serie di cautele. Che rappresentano le vere cause di contatto fra uomini e orsi. Ma nonostante una realtà che è sotto gli occhi di tutti la questione dei cassonetti dei rifiuti resta senza volontà di essere risolta. Come l’amministrazione non dice in modo chiaro agli allevatori che i tempi, per fortuna, sono cambiati. Sono tornati orsi e lupi sulle Alpi e gli animali al pascolo e gli apiari non possono essere lasciati senza protezioni.
La gravità di questo comportamento sta proprio nel fatto che esisterebbero mezzi adeguati per proteggere gli animali e per evitare incontri spiacevoli con le persone. Occorrerebbe utilizzare i recinti elettrici, cani da guardiania e la presenza costante dell’uomo che sorvegli gli animai al pascolo. Una presenza quest’ultima che sarebbe comunque necessaria e raccomandabile, anche in assenza di orsi e lupi per evitare furti e vigilare sugli animali, che potrebbero avere problemi anche per altre cause. Oltre a fare campagne informative nei confronti degli escursionisti e dei residenti su come comportarsi nelle zone frequentate dagli orsi.
Comportamenti che laddove sono attuati non eliminano completamente il problema, ma sicuramente lo riducono in modo importante. Come avviene da sempre in Abruzzo dove pur convivendo con gli orsi da moltissimo tempo non si sono mai registrato aggressioni alle persone con feriti. Le uniche quattro avvenute negli ultimi 150 anni in Italia sono tutte accadute in Trentino e un motivo ci sarà.
Il maltrattamento che sono costretti a subire gli orsi rinchiusi a Casteller è una vergogna che ha varcato da tempo i confini nazionali
La gestione dei plantigradi messa in atto nel tempo dalle diverse amministrazioni provinciali, succedutesi negli anni, ha dimostrato di fare acqua da tutte le parti. Ma nessuno sembra avere la volontà o il potere di prendere provvedimenti. Così il ministro dell’ambiente Sergio Costa dice di avere le mani legate e di non poter intervenire, la Procura della Repubblica tace, come in silenzio resta la magistratura contabile. Che forse potrebbe indagare sui danni erariali causati da questa dissennata gestione di un progetto che era partito bene, ma che rischia di finire prima in farsa e poi in tragedia.
Ora qualcuno parla di trasferire uno o più orsi in un santuario in Romania, per ripristinare condizioni di vita accettabile per Dj3, l’orsa che da più tempo è prigioniera a Casteller. Ma nemmeno questa sarà una soluzione, al massimo potrà costituire un momentaneo rimedio a una situazione di illegalità. Considerando che il maltrattamento di animali resta pur sempre un reato penale. La soluzione sarebbe quella di sedersi a un tavolo e fare dei piani per una corretta gestione degli orsi del Trentino, mentre invece la politica ipotizza soltanto di ampliare il centro di detenzione degli orsi. Oppure di abbatterli. Questa situazione di stallo potrebbe rivelare a primavera i suoi tragici effetti, al risveglio degli orsi dal letargo.
In Abruzzo il Parco consegna pollai anti orso all’istituto agrario Serpieri di Avezzano. Studiati per prevenire le predazioni da parte degli orsi, che si possono far tentare dal predare una gallina. Una collaborazione questa che serve a prevenire e ridurre i danni che possono essere prodotti dalla fauna. Rispettando le condizioni di benessere per gli animali ospitati nella struttura che è in acciaio e coibentata. Per evitare che le temperature all’interno del pollaio non siano corrette.
I pollai a prova di orso sono un simbolo delle attività e delle attrezzature che il Parco negli ultimi anni ha messo in campo. Per supportare tutte le iniziative finalizzate a favorire la convivenza tra le comunità locali e l’orso bruno marsicano. Contenendo i possibili conflitti che possono nascere. Riducendo l’abituazione degli orsi verso le fonti trofiche di natura agricola e zootecnica.
La consegna dei pollai a prova d’orso è un modo per aumentare la coesione fra Parco e comunità locali
Questo avviene in un territorio che da sempre è abituato a convivere con orsi e lupi. Con una popolazione che quindi mai abbassato la guardia sulle problematiche della convivenza con i predatori, che si può comunque definire serena. Recinti elettrici, pollai, piantumazione di alberi da frutto in quota, cartellonistica e gestione dei rifiuti sono tutti gli strumenti che il Parco ha messo in campo. Questo nonostante l’abitudine delle popolazioni alla presenza dei grandi carnivori.
L’insieme di strategie diverse consente al Parco, come alle altre aree protette che hanno una gestione oculata, di essere viste come alleati dai residenti. Che hanno imparato a riconoscere che grazie al Parco e a un’attenta gestione sul territorio, si producano maggiori possibilità economiche per le persone del posto. Per le quali tutte le attività turistiche legate proprio alla presenza dell’area protetta sono ben comprese e valorizzate.
L’esatto contrario di quanto purtroppo avviene in Trentino, dove la presenza di orsi e lupi non viene percepita come un valore aggiunto. Probabilmente proprio per una diversa gestione faunistica, nonostante la presenza di diverse aree protette. La gestione fallimentare della formazione e dell’informazione verso turisti e residenti e la mancanza di strutture che consentano una corretta gestione dei rifiuti hanno fatto il resto. Creando un problema “orsi” che non si vuole affrontare correttamente.
Così mentre gli orsi marsicani sono visti come una risorsa per il territorio, quelli dei Trentino sono valutati come un problema
Una questione che sembra non voler trovare una diversa soluzione di convivenza, cercando di trarre spunti dalle gestioni delle migliori aree protette, nazionali e internazionali. La Provincia Autonoma di Trento procede nella gestione faunistica autonomamente, per norma costituzionale, ma dovrebbe avere un obbligo di confronto e di adesione alla normativa nazionale. Ma ogni giorno è possibile valutare, nei fatti, quanto questo comportamento sia lontano da quanto avviene in realtà.
Così anziché gestire correttamente la presenza dei grandi carnivori la PAT sta dicendo al mondo sempre la stessa cosa: mio è il territorio e solo mie sono le decisioni. Tanto da non rispondere alle legittime proteste di chi ritiene, Carabinieri Forestali compresi, che i tre orsi rinchiusi a Casteller -un pollaio per plantigradi- siano tenuti in condizioni di maltrattamento. Un silenzio assordante perché è quello di un’amministrazione pubblica, che dovrebbe amministrare nell’interesse esclusivo della sua collettività.
Per gli orsi catturati in Trentino tutto è immoto. Certo il momento è incredibilmente complesso, ma visto che, nonostante la pandemia, sembra che il tempo non manchi per le attività futili, appare ovvio che bisognerebbe dare priorità a quelle utili. Come sottrarre gli orsi selvatici di Casteller a una detenzione in condizioni insostenibili. Questa questione passa sulle teste degli animali ma è eminentemente politica e, come sempre, finisce che per questo siano i più deboli a pagare.
Un esempio è l’assessora Giulia Zanotelli, titolare della delega per la Provincia di Trento su agricoltura, foreste, caccia e pesca, che trova il tempo per occuparsi (male) degli orsi. Rilasciando un’intervista a Il Dolomiti nella quale espone teorie e progetti per la loro gestione. Sostenendo come l’abbattimento degli orsi problematici possa essere un “modo funzionale di gestione del progetto“. Una teoria che non è la prima ad agitare, sostenendo che l’eliminazione di alcuni orsi, che hanno avuto un normale comportamento ursino ma hanno creato danno all’uomo, sarebbe utile alla gestione del progetto.
Su questa ipotesi si scontrano da sempre due opposte fazioni, nelle quali militano anche persone titolate per parlare del problema. Non il politico di turno per intenderci. Omettendo di considerare però, senza per questo andare alle origini del piano di reintroduzione degli orsi, che questa non era una scelta obbligata per la Provincia di Trento e che questo tipo di azioni dovrebbero essere considerate l’ultima spiaggia. Dopo aver perseguito ogni strada possibile e eliminato le cause che sono alla base dei comportamenti indesiderati.
Per gli orsi catturati in Trentino c’erano altre alternative alla detenzione in un centro inadeguato
D’altro canto trovare delle soluzioni strutturali comporta dei costi con investimenti che la Giunta non pare intenzionata a sostenere, così la via comoda è quella del fucile: “Queste soluzioni sono molto impegnative in termini di costi – commenta Zanotelli – e non costituiscono una soluzione nel lungo periodo. In questo senso è necessario prendere in considerazione sin da subito anche l’abbattimento quale strumento funzionale alla rimozione di esemplari problematici o pericolosi”.
Tratto dall’articolo de Il Dolomiti dell’8 novembre 2020
L’assessora Zanotelli dimentica di citare una serie di colpevoli omissioni che l’amministrazione trentina ha compiuto dalla partenza di questo progetto sino ad ora. Mancanze che, per correttezza, non hanno riguardato solo la parte politica che governa in questo momento, ma anche i predecessori di diverso orientamento politico. Cosa che in fondo interessa poco sia agli orsi che ai cittadini che hanno a cuore la loro sorte. Il progetto è stato, dal mio punto di vista, carente nella parte logistica (centro detenzione orsi) e comunicativa. E i danni conseguenti a queste carenze, nel medio periodo, stanno affiorando tutti.
Un amministratore pubblico dovrebbe avere un concetto diverso della fauna, una parte del capitale naturale del paese da proteggere
Le aggressioni alle persone da parte degli orsi in Trentino sono tutte, nessuna esclusa, provocate da azioni umane sbagliate. Fatto che non stupisce considerando che neppure gli stessi operai forestali sembrano essere stati istruiti su come comportarsi incontrando un orso. Eppure basterebbe davvero poco per evitare problemi: non andare con i cani liberi nei boschi, avere una fonte di rumore come un campanellino sullo zaino, non frequentare le zone dove si sa che ci sono orse con piccoli e vietare l’ingresso alle persone, in determinate aree e in particolari periodi, come avviene in Abruzzo. Oltre alla gestione corretta dei rifiuti urbani.
Quando qualcuno si lamenta che in questo modo si viene a limitare la libera fruizione della montagna, anche se per tutelare un animale che non solo è un simbolo ma un importante componente dell’ecosistema, bisognerebbe ricordar loro i limiti che impongono i cacciatori durante la stagione venatoria. Quando un grandissimo numero di persone non sono più libere di passeggiare tranquillamente in mezzo alla natura. Per evitare il rischio, non così improbabile, di prendersi una fucilata. Sono molti di più morti e feriti per cause di caccia di quante siano le persone ferite, anche solo lievemente, da animali selvatici (escludendo le punture di api, vespe e calabroni).
Bisogna separare la gestione faunistica e quella ambientale da caccia e pesca, eliminando una contraddizione in termini
Il capitale naturale costituito dalla fauna e dalle risorse ambientali non deve continuare essere gestito da chi ha come punto di riferimento i cacciatori e i pescatori. Sarebbe come se venisse creato un ministero destinato a occuparsi, contemporaneamente, della tutela dell’ambiente e di quella dell’industria delle energie fossili. Una scelta decisamente irrazionale e illogica ma anche molto, molto poco credibile.
La prima attività dello Stato dovrebbe essere la difesa dell’ambiente nella sua interezza, per preservare un patrimonio che appartiene a ogni singolo cittadino. Senza privilegiare invece il depauperamento delle risorse per motivi ludici: la caccia non deve più essere considerata il metodo con cui regolare le dinamiche di popolazione della fauna e non deve venire anteposta alle azioni di tutela.
Una contraddizione riconosciuta da tempo in ambiente scientifico e dimostrata in modo empirico da decenni di fallimenti nel contenimento degli animali ritenuti dannosi. Soltanto che gli interessi politici e quelli economici troppo frequentemente si sovrappongono, creando danno ma anche impedendo una gestione corretta della politica faunistica nazionale.
Rendering gentilmente messo a disposizione da Alessandro Ghezzer
I tre orsi imprigionati a Casteller, detenuti senza apparente possibilità di revisione della sentenza, sembrano vivere fuori dal tempo. Come i prigionieri politici nei regimi dittatoriali, dove i diritti civili sono sospesi. Forse con la sottaciuta speranza che i tempi burrascosi e altri eventi li facciano dimenticare da chi si batte per loro. Relegandoli per sempre in una struttura che non è idonea alla detenzione di orsi selvatici. Condannandoli a una vita di privazioni e sofferenza che molti uomini neanche possono (forse) immaginare.
Per molti la sofferenza degli animali non contempla quella derivante dalla perdita della libertà, dall’impossibilità di condurre un’esistenza che gli permetta di poter mettere in atto i comportamenti naturali. Per secoli abbiamo pensato che gli animali avessero necessità solo di mangiare e bere per restare vivi, di sufficiente spazio per sgranchirsi e di poco altro. Esseri viventi, è vero, ma primitivi e senza pensieri, senza necessità diverse da quelle pratiche. L’assolvimento di quei bisogni che consentono non di vivere, ma solo di restare vivi. Una differenza non da poco, anche per un essere umano.
Copernico li assimilava a macchine incapaci di provare dolore, sia fisico che ancor più interiore. Poi nel secolo scorso, grazie a Konrad Lorenz, si è affacciata l’etologia, lo studio del comportamento, la conoscenza non solo della morfologia ma dell’essenza interiore che possiedono anche gli animali non umani. Una presa di coscienza che ci ha portato poi a definirli in Europa come “esseri senzienti”. Un riconoscimento arrivato molto dopo l’affermazione delle “5 libertà” identificate da Brambell, quali diritti minimi inalienabili per gli animali allevati.
Ma agli orsi imprigionati a Casteller non riconosciamo diritti, violando forse anche quei pochi stabiliti per legge
In effetti non solo siamo lontani dal poter dire che questi orsi siano trattati e custoditi con rispetto, ma possiamo anzi affermare l’esatto opposto. Negando loro la possibilità di esercitare un comportamento naturale, ma anche andando in direzione contraria ai diritti minimi e alla loro tutela dal maltrattamento. Riconosciuto dalla legge dello Stato come un reato perseguibile d’ufficio. Con l’obbligo per le forze di polizia di interromperlo, mettendo in atto quanto possibile per migliorare la condizione dell’animale maltrattato: sia un cane piuttosto che un gatto o un orso.
Questa storia racconta una brutta parabola, in senso laico, nella quale sembrano convivere tutto e il contrario di tutto, compresa la sospensione delle leggi e dei valori (pochi) che contengono a tutela degli animali. Eppure per condizioni di detenzione anche meno afflittive di quelle a cui sono costretti gli orsi di Casteller ci sono state sentenze di condanna. Mentre per gli orsi in questione non si arriva nemmeno, per il momento, a ipotizzare un reato. Diversamente scatterebbe quantomeno un sequestro e la nomina di un custode giudiziario. Questo nonostante una dettagliata relazione dei Carabinieri CITES inviati dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa.
Eppure se quegli orsi non fossero orsi, non si trovassero in Trentino, non fossero stati incarcerati per ordine di Maurizio Fugatti, il governatore della Provincia Autonoma di Trento, qualcuno avrebbe già fatto probabilmente molte cose. Ma la legge non può essere elastica e modellabile come la plastilina, anche se, in questo caso, sono tante le perplessità che restano senza risposta. Infatti se anche fosse stato davvero indispensabile catturare e tenere in cattività questi orsi, le modalità in cui sono detenuti non trovano giustificazione. La Procura ha aperto quattro fascicoli, allo stato tutti, per quanto si sa, privi di indagati. Nel frattempo la situazione resta congelata.
Discutere ora sull’idoneità di Casteller alla detenzione dimostra l’inadeguatezza di chi doveva aver già previsto tutte le ipotesi
Quando questo progetto di reintroduzione è partito, occorre sempre ricordare solo grazie ai soldi dei contribuenti europei, era stata già prevista la possibilità che ci fosse necessità di catturare e tenere in cattività, oppure abbattere, gli orsi definiti problematici. Sarebbe stato quindi necessario individuare e attrezzare per tempo un’area apposita, con strutture e spazi sufficienti per non diventare una prigionia insopportabile. Cosa che non è accaduta, tanto che sono in corso lavori di adeguamento della struttura che detiene solo tre animali. In condizioni incompatibili con la loro natura.
Rendering gentilmente messo a disposizione da Alessandro Ghezzer
Gli orsi rinchiusi a Casteller sono diventati per molti un simbolo di libertà e diritti negati, di uno strapotere della politica che ha fatto degli orsi il nemico numero uno. Di una gestione dell’ambiente che ci vede padroni di decidere, ma incapaci davvero di convivere. E sempre più voci indicano come sbagliata la scelta di reintrodurre degli orsi in un territorio tanto antropizzato, pieno di coltivazioni e impianti di risalita, diviso da strade e autostrade. Privo di corridoi che consentano il libero spostamento in sicurezza degli animali selvatici. Ma oramai è davvero troppo tardi.
Casteller ha delle piccole strutture in cemento, le cosiddette tane, dove gli orsi trascorrono gran parte del giorno e probabilmente la notte
Che qualcosa non funzioni al centro lo si capisce dal tentativo di tenere fuori tutti da quella struttura. Non hanno avuto successo le richieste di visitare il luogo di detenzione fatte dalle associazioni e da alcuni consiglieri provinciali. Un comportamento non trasparente che limita fortemente il normale potere di verifica degli amministratori e dei rappresentanti del terzo settore. Inammissibile visto che non si sta parlando di un’area militare o comunque soggetta a vincoli di sicurezza da giustificare la restrizione.
La situazione al momento è in stallo, le proteste proseguono ma nulla è dato di sapere dal fronte istituzionale, soprattutto dal Ministero dell’Ambiente. Che pur avendo competenze limitate sulla fauna trentina, resta sempre il baluardo che deve garantire un corretto trattamento degli animali. In particolar modo quelli particolarmente protetti dalla legge che sono comunque un patrimonio della collettività.
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