ucciso cervo Bambotto cacciatore
Foto tratta dal web

Ucciso il cervo Bambotto da un cacciatore, ma la responsabilità è (anche) di quanti lo hanno reso confidente, facendolo diventare la mascotte del paese. Questa storia racconta di buone intenzioni finite male, di un cacciatore che spara a un cervo che era stato adottato dal borgo di Pecol, fino a farlo diventare un animale confidente. Grazie al condizionamento alimentare e al fatto che Bambotto era stato allevato in paese da quando era solo un cerbiatto. Una storia apparentemente da fiaba, ma nella realtà una dimostrazione di quanto non bastino intenzioni buone per fare cose giuste.

Gli animali selvatici devono provare timore verso l’uomo e non c’è nulla di magico nel riuscire a farli avvicinare. Il cibo, il richiamo alimentare, e la perdita di ogni tipo di soggezione verso l’uomo sono un traguardo molto semplice da raggiungere. Mentre il percorso inverso diventa difficile e solo poche volte il miracolo si compie. Sicuramente un cervo incute meno timore di un orso o di un lupo, ma chi conosce questi erbivori sa perfettamente che danni possono fare con i loro maestosi palchi. Tanto che i cervi, al pari di altri ungulati, sono ritenuti animali pericolosi per l’incolumità pubblica e non possono essere detenuti liberamente dai privati.

Ucciso il cervo Bambotto da un cacciatore perché era una preda facile, non aveva paura e non dava peso alla presenza umana

Ora gli abitanti della frazione di Pecol, nel bellunese, lo piangono come un amico, una sorta di cane di quartiere che entrava nelle case. Dalle quali in questa stagione, a causa dei grandi palchi, faceva fatica poi a uscire restando incastrato con le sue corna. Una storia tenera, che tocca il cuore, ma che poteva avere vari tipi di epilogo, sempre potenzialmente tragici. Come l’uccisione del cervo da parte di un cacciatore, ma anche come il ferimento o l’uccisione di una persona.

«Era diventato (Bambotto ndr) bellissimo e maestoso – aggiunge Donatella- e credo che siano davvero pochi quelli che non lo conoscano. Lo potevi incrociare per strada mentre raggiungeva tutte le frazioni limitrofe e si fermava a mangiare ovunque da chi lo amava come noi. Spesso mi entrava in casa e poi era un impresa farlo uscire perché i suoi palchi erano immensi. Ho trascorso anni stupendi e mi teneva tanta compagnia perché se decideva di restare si addormentava su per le scale o davanti alla porta di ingresso mi seguiva ovunque docilmente». 

Tratto dall’intervista al Corriere del Veneto di Donatella Zendoli

Se da un lato è comprensibile l’affetto di chi lo ha accudito e benvoluto in questi anni, dall’altro deve essere chiaro che aver reso il cervo confidente è stato un grosso errore. Un discorso che non riguarda solo un cervo, ma che deve essere considerato per ogni animale selvatico. Dalle volpi ai cervi, dalle cornacchie agli orsi. Sono abitanti del pianeta con i quali dobbiamo certamente convivere, rispettando il fatto che i nostri mondi possono essere molto vicini, ma mai sovrapposti. Per rispetto e per una coesistenza intelligente.

Molti amanti degli animali non accettano di non poter dare cibo ai selvatici, di non dover cercare un rapporto con loro

Bisogna smettere di usare come bandiera i buoni sentimenti, la magia del rapporto fra l’animale selvatico e l’uomo, le leggende che ci portiamo dietro fino dalle scuole. Impariamo a dividere i bisogni del nostro ego dalle necessità imposte dal rispetto verso gli animali. Smettiamola di ammantare di positività racconti che parlano di addomesticamento e condizionamento. Cerchiamo di essere obiettivi e di non farci sopravanzare dai buoni sentimenti. Unico vero aiuto che possiamo dare agli animali è rispettarli nel loro ambiente, cercando di avere comportamenti educati e civili.

L’aiuto a un animale selvatico in difficoltà, orfano o ferito, non deve essere considerato un’attività alla portata di tutti. Esistono centri di recupero per la fauna selvatica (CRAS) che si occupano di questo e, almeno la gran parte, lo fanno con grande attenzione e professionalità. Occorre rivolgersi a questi centri se si trova un piccolo senza la madre, senza cercare di improvvisare con capacità che non si possiedono. L’amore per gli animali non deve sconfinare nella patologia, non possiamo considerarli come fossero una parte della società umana, salvo che si tratti di animali domestici con i quali viviamo.

Queste storie, solo apparentemente degne di una favola, sono sicuramente frutto di un atto d’amore, ma raccontano di un rapporto prondamente sbagliato e diseducativo. Per questo è importante dirlo con ruvida chiarezza e anche a costo di perdere simpatizzanti: lasciate che siano i professionisti a occuparsi dei selvatici in difficoltà. Non alimentate MAI gli animali selvatici.

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