Giustizia non fatta per Angelo, ma non è colpa del giudice
Giustizia non fatta per Angelo, il cane oggetto di sevizie compiute da quattro ragazzi a Sangineto, per noia. Un caso che ha fatto indignare moltissimi e che ha avuto oggi il suo epilogo: 16 mesi di carcere per i responsabili, che non faranno nemmeno un giorno però.
Sentenza prevedibile come era prevedibile l’indignazione degli amanti degli animali, che avrebbero voluto una pena effettiva, reale come lo sono stati i maltrattamenti, davvero terribili, a cui il povero randagio è stato sottoposto. Ma il giudice non ha potuto fare altro che applicare la legge.
I quattro persecutori del cane hanno deciso di farsi giudicare con il rito abbreviato, potendo in questo modo usufruire dello sconto di un terzo della pena che è previsto dalla norma per qualsiasi reato. Un modo, diciamolo, con il quale lo Stato ha ammesso la sua incapacità di amministrare la giustizia in tempi veloci concedendo un consistente sconto di pena a chi accetta di semplificare il processo, accorciando il numero di udienze.
Ma anche se avessero scelto di non farsi giudicare con il rito abbreviato avrebbero potuto essere condannati al massimo a 24 mesi di carcere, sempre sotto la soglia per la quale una persona incensurata, o quasi, possa finire davvero in carcere. Il giudice, il dottor Alfredo Cosenza del Tribunale di Paola, ha anche subordinato la sospensione della pena, che non poteva non essere concessa, allo svolgimento di sei mesi di lavori socialmente utili in un canile.
Qualcuno potrebbe su quest’ultima disposizione storcere il naso: ma come quattro balordi seviziano un cane e poi li mandano a lavorare in un canile? Su questo è giusto invece dire che studi americani, dati alla mano, hanno dimostrato che persone che si sono rese responsabili di maltrattamenti hanno preso piena consapevolezza del loro gesto proprio dopo aver lavorato in strutture con animali. Alcune volte la violenza contro i diversi scatta proprio a causa dell’ignoranza, della mancata consapevolezza.
Questa condanna però dimostra in modo inequivocabile quanto in Italia la violenza in generale e quella nei confronti degli animali in particolare sia troppo spesso sottovalutata. I responsabili hanno dimostrato di avere un comportamento antisociale e lo hanno fatto seviziando il cane Angelo ma anche con gli atteggiamenti avuti nei confronti della troupe della trasmissione Le Iene (guarda qui). Non è importante che finiscano in carcere, però sarebbe della massima importanza controllare il loro percorso riabilitativo.
La violenza contro gli animali parla di rottura del cerchio dell’empatia, di immaturità, di capacità di essere immuni alla sofferenza altrui e del pericolo del salto di specie. In un contesto sociale che a giudicare dai servizi televisivi quasi giustifica il loro aberrante modo di comportarsi. Per questo andrebbero sottoposti a un periodo di libertà vigilata che, purtroppo, non è previsto dalla legge per il reato di maltrattamento di animali.
La società ha diritto di essere difesa al meglio possibile dalla violenza, specie quando questa è prevedibile, è già emersa, ha lasciato tracce profonde. I quattro di Sangineto, che saranno per un periodo sotto ancora maggior pressione mediatica, dovrebbero essere monitorati in modo da poter essere sicuri che abbiano compreso l’errore, siano maturati ma soprattutto siano innocui per animali e uomini. Per questo ritengo che la giustizia non fatta per Angelo debba essere un monito, per cambiare l’impianto normativo.
Inutile auspicare in tutti i casi di violenza sugli animali il carcere: esistono pene diverse, più utili e nel contempo ugualmente afflittive per i soggetti alle quali vengono condannati. Talvolta si pensa che il carcere sia l’unico modo, il più rassicurante forse, ma spesso anche il meno utile per affrontare un problema con intelligenza.