I canili non combattono il randagismo, proprio come i manicomi non cancellano la follia. Luoghi accomunati spesso da un alto tasso di sofferenza e da una scarsa possibilità di trovare una via di fuga. Specie per tutti quei soggetti problematici, complessi, piegati da condizioni di vita inaccettabili e irrimediabilmente segnati nell’anima. Questo non vuol dire che tutte le strutture di ricovero siano luoghi di sofferenza senza soluzione o che i rifugi non servano a trovar casa ai cani più equilibrati, ma sfortunati. Soltanto non bisogna vedere i canili come la soluzione di un’emergenza, che purtroppo non è ancora universalmente considerata tale.
Sono oramai decenni che il randagismo sembra un fenomeno invincibile, che assorbe fiumi di denaro che molto spesso finiscono nelle mani sbagliate. Finanziando una sotto criminalità e talvolta quella organizzata, senza però cambiare la realtà dei fatti, specie nel centro Sud Italia, dove sono tanti gli interessi che ruotano intorno al fenomeno. Con nuovi canili in costruzione, annunciati come successi mentre rappresentano il segno tangibile della sconfitta, e con quelli esistenti pieni a raso. Purtroppo come le strade e le campagne del sud Italia, in una giostra di nascite e catture che sembra non finire mai.
Guardando il fenomeno randagismo con occhio tecnico, senza quei coinvolgimenti emotivi che talvolta complicano e non risolvono, sembra davvero impossibile che non si riesca a invertire la rotta. Dal dopoguerra ad oggi sono state provate due strategie di contenimento: una basata sull’abbattimento massiccio di centinaia di migliaia di animali ogni anno, l’altra su cattura e custodia. Creando molte volte detenzioni che durano per tutta la vita e spesso anche oltre, truffando in questo modo i Comuni che si trovano a pagare anche per cani fintamente longevi, in realtà morti da tempo.
I canili non combattono il randagismo, ma sottraggono risorse importanti alla tutela degli animali
Volendo contrastare davvero il randagismo bisognerebbe in primo luogo aumentare il tasso di rispetto della legalità. In un paese che ha troppe norme, molte delle quali completamente disattese anche grazie alla mancata azione di quanti avrebbero l’obbligo di farle applicare. Inutile fare l’anagrafe canina se poi l’apparato di controllo non si impegna per ottenere l’iscrizione di tutti gli animali di proprietà. Stesso discorso per i veterinari che non segnalano i loro clienti, quando hanno cani sprovvisti di microchip, continuando a accettare che sia il proprietario a poter scegliere. Con buona pace del buon senso, della tutela degli animali e del rispetto delle leggi.
Un gran parte della sconfitta origina proprio dal fatto di tollerare che la parte peggiore della società si comporti senza rispettare le regole. Appare infatti chiaro che i cittadini responsabili si preoccupano di identificare e iscrivere i loro animali, per correttezza e per avere la possibilità di ritrovarli se si perdono. Mentre si tollera chi considera i propri animali uno strumento, una “cosa” che non deve causare responsabilità, rifiutando l’iscrizione. Per sintesi questo significa che in anagrafe sono iscritti gli animali dei cittadini responsabili, che rispettano gli obblighi, mentre mancano proprio gli animali spesso mal gestiti, quelli che alimentano abbandoni e randagismo.
L’illegalità, a ogni livello, se tollerata da decenni, crea un serbatoio infinito di problemi, che sono poi ribaltati con disinvoltura sull’intera collettività. Tradotti in costi di centinaia di milioni spesi ogni anno per custodire i cani, spesso in pessimi canili, da dove potrebbero non uscire mai. Imprigionati in box di pochi metri quadri, in strutture pensate con una logica sanitaria, senza alcuna considerazione per il benessere degli animali ospitati. Strutture talvolta gestite anche da associazioni, per le quali la quotidiana sofferenza sembra sfumata, diviene invisibile nella convinzione che l’amore sia il viatico per ogni male dello spirito.
Passare dalla gestione sanitaria del canile a una maggiormente rispettosa del benessere animale
I canili sono strutture autorizzate secondo criteri eminentemente sanitari, la cui rigida applicazione lascia poco spazio al reale benessere degli ospiti e anche al loro percorso di normalizzazione. Senza strutture modulate sulle esigenze dei cani, sulla loro socialità, sulla necessità di costruire gruppi e non gestire singole esistenze, molti cani resteranno rinchiusi a vita. In canili aderenti a prescrizioni di leggi datate, dove la prevenzione sanitaria ha sormontato ogni altra esigenza. Dove gli animali rischiano di diventare numeri, specie quando chi gestisce ha una connotazione esclusivamente commerciale e i cani ospitati arrivano a essere anche migliaia.
Occorre agire per impedire che i canili si riempiano e questo si può ottenere solo con il rispetto delle norme e con la giusta attenzione verso i diritti degli animali. Rivedendo le disposizioni sul commercio, vietando le esposizioni nei negozi, facendo campagne di informazione che partano dalle scuole, controllando in modo rigoroso le nascite, contrastando le adozioni d’impulso e le staffette che scaricano animali senza criterio. Bene dare speranza ai randagi del Sud, ma solo seguendo buone pratiche che assicurino benessere, smettendo di tollerare trasferimenti che finiscono solo per spostare il problema, da Sud a Nord, senza pensare al futuro dei cani.
Staffette che abbracciano tutte le declinazioni del comportamento umano
Lontani dagli occhi di chi li ha spediti, in buona o cattiva fede, abbandonandoli a un destino davvero buio. Un comportamento da scafisti, che non si vorrebbe vedere, né con le persone, né con gli animali. Per non parlare di adozioni sbagliate, fatte senza controllo trasferendo cani problematici presentati come ideali da inserire in famiglia. Comportamenti che rappresentano la parte peggiore di questo mondo, fatta di soldi chiesti in nero, di veicoli spesso non a norma di legge, di promiscuità e possibile trasmissione di malattie.
Sul versante opposto c’è chi invece opera con giudizio, con attenzione nei confronti degli animali, trasportandone pochi con i giusti spazi, fatturando il lavoro fatto e pretendendo da chi spedisce la corretta documentazione. Trasportando animali sani, vaccinati e identificati, verso un destino migliore, verso una vita da condividere con una famiglia. Un lavoro fatto con coscienza e trasparenza, che aiuta davvero a incrociare positivamente vite.
Il consiglio resta sempre comunque quello di adottare animali presso strutture, parlando con gli educatori, conoscendo i cani o i gatti. Un’adozione è per sempre e deve essere frutto di una scelta ponderata, fatta consapevolmente, conoscendo un pochino almeno chi si decide di accogliere in famiglia, seguendo i consigli di chi quel cane lo conosce davvero, non ve lo racconta sui social.
Papa Francesco e circo con animali: ancora una volta l’apparenza inganna e sul discorso del circo il Papa sembra rimasto fermo al secolo scorso. La compassione universale che tante volte ha dimostrato, l’attenzione verso l’ambiente e in minima parte verso gli animali non è sufficiente a tenerlo lontano dal circo.Se su molti argomenti, considerando la sua figura, ha avuto incredibili aperture sui diritti degli animali inciampa spesso, balbetta nel concetto, non evolve. Una visione antropocentrica che culmina, non certo per la prima volta, nello spettacolo di un circo con gli animali offerto ai poveri e ai senza fissa dimora della capitale.
L’obiettivo era certo lodevole: come non essere dalla parte di chi aiuta gli ultimi, gli invisibili e i meno difesi offrendogli un sorriso. Peccato che la strada percorsa per raggiungere l’obiettivo abbia trasformato, ancora un volta, il valore dei diritti degli animali facendoli diventare da reali a invisibili. In fondo due aspetti dello stesso male rappresentato dall’incapacità di troppi di voler capire sino in fondo la sofferenza. Non tutto quello che sembra un momento di giocoso e gioioso spettacolo corrisponde alla realtà. Proprio come la finzione della fotografia, tanto plausibile da richiedere una spiegazione.
La storia del circo ha un trascorso ottocentesco di esposizione delle deformità, di creazione e esaltazione di figure mostruose, talvolta false come il Papa della foto, talvolta vere nel loro mancato rispetto della dignità umana. Papa Francesco, attraversando il suo complesso magistero, si è mai soffermato su empatia, rispetto, compassione ma verso gli animali non umani?Si è accorto, per esempio, che tanti profughi in fuga dalla “martoriata Ucraina” avevano al seguito i loro animali? In una situazione drammatica, di sofferenza palpabile, spessa come una coltre di morte, le persone non lasciavano i loro animali. Non è cosa sulla quale riflettere?
Papa Francesco e circo con animali: infliggere sofferenza per divertimento dovrebbe essere una colpa grave
Ha destato stupore che il cardinale Konrad Kraiewski, fidato elemosiniere del Papa, si sia prestato a fare un numero da circo: gettarsi per terra ai piedi di un elefante che lo ha evitato nel suo incedere. Da laico irredimibile potrei dire che quanto accaduto dovrebbe far propendere sul fatto che i pachidermi siano creature di Dio: se fossero stati governati dal demonio probabilmente il cardinale avrebbe rischiato grosso. A quanto si narra il maligno non perde occasione per vendicarsi su chi lo combatte.
Spogliandosi della visione antropocentrica e guardando all’enciclica “Laudato Sì” Papa Francesco parla dimostra un’attenzione importante verso la tutela dell’ambiente. Una scelta oramai obbligata che dovrebbe evitare di mettere mettere sempre e solo l’uomo al centro, con un diritto di dominio che, in realtà, non possiede. Sempre più si comprende l’importanza del principio “un pianeta, una salute”, che sotto il profilo pratico, per essere attuato, richiede la perdita del primato umano sulla natura. Con un concetto che deve essere attraversato dall’armonia, non da un’ingiustificata supremazia.
Proprio per la sua dignità unica e per essere dotato di intelligenza, l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con le sue leggi interne, poiché « il Signore ha fondato la terra con sapienza » (Pr 3,19). Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in sé stesse e noi potessimo disporne a piacimento. Così i Vescovi della Germania hanno spiegato che per le altre creature « si potrebbe parlare della priorità dell’essere rispetto all’essere utili ».
L’enciclica Laudato Sì parla di armonia ma mantenerla passa da un cambio culturale
Il Papa sembra dimenticare che lo sfruttamento di un essere senziente per puro divertimento, obbligandolo ad avere comportamenti innaturali, rappresenta una crudeltà. Molto più laicamente è stato proprio il Trattato di Lisbona a riconoscere che gli animali sono esseri senzienti, prima dell’enciclica papale. Entrambe gli scritti hanno in sé una colpa: avere fatto grandi enunciazioni che non sono state tradotte in azioni concrete. Iniziative come la promozione del circo con animali sono antagoniste non solo verso i diritti degli animali, ma contro la crescita di una diversa coscienza basata sul rispetto.
La Chiesa cattolica, realtà importante per la diffusione dei suoi fedeli, avrebbe il dovere di mettere al centro di ogni azione il rispetto verso l’intero creato. Unico sentimento capace di abbattere muri e di creare ponti. Per questo ferisce l’indifferenza nei confronti della sofferenza, la mancata comprensione del fatto che un elefante non dovrebbe trovarsi sotto uno chapiteaux di un circo. Un affronto commesso non solo nei confronti delle persone che provano empatia verso gli animali, ma contro ogni sforzo che cerca di far prevalere il rispetto alla sopraffazione, la condivisione invece dell’esclusione.
Un brutto messaggio quello che è passato: aiutare i dimenticati e gli ultimi attraverso l’indifferenza verso la sofferenza di altri dimenticati, di altri ultimi. Inaccettabile nei fatti, incomprensibile leggendo l’enciclica Laudato Sì dove si riporta un passaggio sul pensiero di San Francesco, in cui è scritto che anche le creature più piccole sono da considerarsi come fratelli e sorelle. Tempo di cambiare visione sui diritti degli animali, perché talvolta i pastori di anime dimenticano quanto sia ampio il gregge che vien loro affidato, a torto o a ragione a seconda del proprio credo.
Danno ambientale e sofferenza animale sembrano essere secondari per il ministro Francesco Lollobrigida, anzi quasi del tutto inesistenti. Rispetto ai pericoli derivanti dagli alimenti sintetici, a dire del titolare del nuovo dicastero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Che dopo l’infelice uscita sui predatori, come orsi e lupi, ha rinfocolato le polemiche con un’altra dichiarazione a effetto. Affermando che non ci sarà il via libera a nessun cibo sintetico, fino a che ci sarà questo governo.
Poi si scopre che di sintetico c’è solo la brutta sintesi fatta dal ministro, che decisamente confonde il significato del termine, calcolando che il riferimento è al latte (umano) che si sta riproducendo in laboratorio. Ma la coltivazione delle cellule non ha proprio nulla di sintetico, come spiega la Treccani venendo come sempre in soccorso della nostra lingua italiana. Bellissima ma dannatamente vituperata.
Sintetico: In chimica, di sostanza ottenuta per sintesi, non proveniente dall’elaborazione di organismi animali o vegetali (talora sinon. di artificiale): gomma s., resine s.; materiali s., ecc. Fibre s., in senso lato, tutte quelle preparate dall’uomo e, in senso più stretto, solo quelle ottenute con processi di polimerizzazione o di policondensazione di sostanze semplici, provenienti da materie prime quali frazioni petrolifere, gas naturale, carbon fossile, mentre si dicono artificiali quelle ottenute dalla trasformazione di prodotti polimerici naturali (cellulosa, proteine, ecc.).
Fonte: Dizionario Treccani
Danno ambientale e sofferenza animale non sono né sintetici, né artificiali e rappresentano un pericolo per la salute
Nella difesa dell’agricoltura a tutto tondo, che rappresenta un bacino importante di consensi per l’attuale governo, il ministro pare aver dimenticato, oltre alle emissioni climalteranti degli allevamenti, anche tutto il resto. Dal consumo eccessivo di acqua alla deforestazione, dalla trasformazione di proteine vegetali in alimenti per gli animali d’allevamento, sottraendole all’alimentazione degli esseri umani. E se le preoccupazioni sono per i potenziali danni alla salute umana conviene che non dimentichi pesticidi, erbicidi, fertilizzanti e tutto il campionario di sostanze, sintetiche e pericolose, che finiscono nei nostri piatti.
Difficile vedere in questa difesa corporativa a tutto tondo qualcosa che vada nella giusta direzione, che dovrebbe avere il duplice obiettivo di non inquinare e di dare cibo a 8 miliardi di esseri umani. Se il mondo occidentale continuerà ad affamare il resto del pianeta, senza preoccuparsi davvero del clima, lo costringerà a intraprendere, più prima che poi, la più grande e spaventosa ondata migratoria della storia umana. Un fatto che preoccupa da tempo le Nazioni Unite, ma che non scalfisce la fiducia incrollabile nell’agricoltura italiana di Lollobrigida.
La tutela ambientale e la riduzione della nostra impronta ecologica sembrano venire dopo alle questioni economiche
Nascondere la rilevanza del problema ambientale, che appare sempre molto sfumato nei discorsi governativi, non rassicura affatto. Se la questione economica è fondamentale nel breve termine quella ambientale sarà mortale nel medio termine. Senza possibilità di ritorno, una volta che si supereranno le Colonne d’Ercole costituite da un innalzamento eccessivo della temperatura. Lasciando così molti italiani increduli nel dover valutare importanza e competenza, pericoli e convenienza.
La priorità di questo paese non è la rottamazione delle cartelle esattoriali o l’innalzamento al tetto del contante. La priorità è quella di smetterla di baloccarsi con i tatticismi politici e di imboccare la via della tutela ecologica. Senza provvedimenti assurdi come il cercare di trovare consenso grazie alle autarchiche trivellazioni. Che probabilmente potranno produrre risultati solo quando l’estrazione del gas sarà del tutto inutile e inopportuna. Come non è certamente una priorità il ponte sullo Stretto, che andrebbe a insistere su un’area ad elevata sismicità e di grande importanza ecologica. Senza portare vantaggi ai siciliani, che si dovranno sempre confrontare con le scarse infrastrutture.
Ministro Lollobrigida dia una speranza a questo paese, cerchi di impegnarsi per rendere l’agricoltura sempre più sostenibile, incentivando il consumo delle proteine vegetali e non la loro conversione, sfavorevole, in proteine animali. Riduca il carico degli inquinanti, vieti l’uso degli antibiotici distribuiti a pioggia in zootecnia, contribuisca a valorizzare scelte forse impopolari ma sicuramente indispensabili. Diversamente il problema non sarà quello di fermare lo sbarco dei migranti, ma la responsabilità morale e politica di non aver saputo impedire le motivazioni che li fanno salire sui barconi.
Circo e animali, proteste a Brescia delle associazioni contro il Circo di Maya Orfei che porta in città lo spettacolo Madagascar, esibendo oltre cento animali. Fra i motivi delle proteste anche il luogo di attendamento del complesso circense, che si è insediato su una spianata di cemento. Con gli animali costretti a passare dagli spazi angusti dei carrozzoni da trasporto a recinti esterni allestiti sul cemento del piazzale. Uno spazio non adatto a consentire un seppur minimo benessere alle numerose specie che il circo si vanta di ospitare. Per correttezza, però, bisogna dire che gli spazi dove attendarsi non li scelgono i circensi ma i Comuni e in questo caso la città di Brescia.
L’unica legge che regolamenta la materia degli spettacoli circensi risale al 1968 e non è mai stata svecchiata, lasciando che le scarse regole diventassero una via di fuga per amministrazioni e circhi. I Comuni hanno per legge l’obbligo di indicare un luogo dove i circhi, se in regola con le norme sulla sicurezza degli spettacoli, possono attendarsi e Brescia, da sempre, mette a disposizione questo spazio, che è una distesa di cemento, come accade in quasi tutte le città. La responsabilità delle amministrazioni comunali è quella di dare le autorizzazioni obbligatorie, valutando il circo nel suo complesso. Verificando con attenzione tutti gli aspetti, dalla sicurezza degli spettatori alle condizioni di vita degli animali.
Circo e animali, le proteste di Brescia devono essere rivolte al Comune che ha consentito l’attendamento
Quasi sempre quando vengono fatti i controlli preventivi della commissione provinciale di vigilanza, composta fra gli altri anche da personale del servizio veterinario pubblico, tutto sembra essere in regola. In base a valutazioni fatte senza tenere conto delle esigenze degli animali, potendo i Comuni dare ai circhi prescrizioni vincolanti. Se i circensi sono responsabili di usare ancora gli animali negli spettacoli i Comuni hanno la responsabilità dei controlli fatti secondo il metodo “così fan tutti”. Con verifiche eseguite puntualmente, applicando alla lettera le poche norme, sarebbero ben pochi i circhi in grado di ottenere il nulla osta.
Esistono diverse norme che i Comuni possono utilizzare, anche se sono sprovvisti di un regolamento sulla tutela degli animali. A cominciare dalle regole che il Sindaco può imporre, come autorità di pubblica sicurezza, nel momento in cui vi è presenza di animali pericolosi. Pretendendo, per esempio, che i recinti che ospitano gli animali all’esterno, obbligatori secondo le prescrizioni della Commissione Scientifica CITES, abbiano una doppia cinta. Una precauzione che eviterebbe, come spesso accade, che gli animali evadano dai recinti per darsi alla fuga nelle strade cittadine.
La seconda possibilità che hanno è di subordinare la concessione del nulla osta allo spettacolo al puntuale rispetto delle direttive CITES, che prevedono una serie di criteri. I recinti esterni, ad esempio, devono essere dotati di arricchimenti ambientali, per consentire agli animali di non patire la noia. Inoltre devono avere vasche idonee per consentire il bagno a tutte le specie con consuetudini acquatiche, come tigri e ippopotami. Un ippopotamo che sia tenuto in condizioni che non gli consentano di potersi immergere a piacimento deve essere considerato in una situazione di maltrattamento. Per queste specie galleggiare sull’acqua significa scaricare il peso dalle zampe e questo è un bisogno irrinunciabile.
Gli zoo viaggianti non devono essere autorizzati per le visite del pubblico
I servizi veterinari e la polizia locale hanno degli obblighi che sono relativi anche all’accertamento del benessere animale. Che devono e possono verificare nel corso delle verifiche preventive, vincolando il parere favorevole della commissione al rispetto effettivo delle, poche, norme. Peraltro ci sono sentenze della Cassazione che hanno riconosciuto limiti nell’esclusione dall’applicazione della legge 189/2004, che tutela gli animali dai maltrattamenti. Una sorta di salvacondotto limitato, possibile solo sino a che vengono rispettate le leggi speciali in materia. Considerando che la legge di riferimento per i circhi è solo la 337/1968, che nulla stabilisce in materia di benessere animale, la tutela dai maltrattamenti resta quindi pienamente operativa.
I Comuni devono poi espressamente vietare l’esibizione degli animali negli zoo itineranti perché l’attività espositiva non rientra in quella circense, salvo che non sia intestata a diversa personalità giuridica. Ma se così fosse le autorizzazioni devono essere separate e distinte e gli animali della mostra faunistica non dovrebbero essere quelli usati negli spettacoli. Analogo discorso e verifica devono essere compiute sulle modalità di detenzione degli animali pericolosi, che richiedono un’espressa autorizzazione rilasciata da una Prefettura. Nell’autorizzazione dovrebbero essere allegate anche le planimetrie delle strutture di detenzione autorizzate. Queste licenze, obbligatorie, non vengono quasi mai verificate.
Il mondo del circo è complesso ma troppo spesso i controlli vengono realizzati seguendo la logica che al circo tutto, o quasi, sia permesso, ma non è così. In attesa che si arrivi a una dismissione degli animali nei circhi, un percorso lento ma oramai ineluttabile, i cittadini hanno il diritto di pretendere controlli efficaci. Capaci di garantire l’incolumità di animali e spettatori e condizioni di vita che rispettino almeno le prescrizioni stabilite dalla Commissione CITES, proprio per garantire un benessere minimo.
Morta Kohana, un’orca prigioniera del Loro Parque a Tenerife, uno dei tanti parchi tematici del mondo che tengono imprigionati animali per profitto. Con la morte del grande cetaceo, che aveva solo vent’anni, salgono a tre le orche morte prematuramente nel parco negli ultimi 18 mesi, suscitando le proteste delle associazioni. Da anni esiste un movimento di opinione che si oppone alla detenzione dei cetacei nei parchi acquatici, ritenendo che la cattività di questi animali rappresenti un maltrattamento inaccettabile. Tanto da costringere i grandi tour operator a smettere di promuovere gli spettacoli con animali in genere, escludendoli dai pacchetti di viaggio.
Kohana proveniva dal famigerato Sea Wold di Orlando (USA), dove era stata separata dal suo gruppo familiare per essere venduta al Loro Parque. Questi grandi cetacei vengono sfruttati nelle esibizioni, che continuano a attirare un pubblico decisamente poco attento ai diritti degli animali. Trascorrendo la loro vita fra la noia di vasche disadorne e piccolissime e gli addestramenti necessari alla loro esibizione. Una realtà davvero mortificante per mammiferi intelligenti abituati a vivere in gruppi famigliari, denominati POD, con una gerarchia e sempre in costante movimento per procacciarsi il cibo. Una vita ben diversa da quella trascorsa dentro le piccolissime vasche dei parchi acquatici.
Le conoscenze etologiche raggiunte sui cetacei portano a concludere che queste strutture, anche se ancora legali, siano contrarie al concetto di benessere animale. Eppure fra i soggetti responsabili di questi maltrattamenti, oltre alla politica e ai proprietari degli impianti, ci sono proprio gli spettatori. Garantendo con il pagamento di costosi biglietti che la sofferenza diventi spettacolo, per giunta diseducativo, per grandi e bambini. Grazie all’illusione, del tutto estetica, che gli animali imprigionati siano tenuti bene e trascorrano una vita serena. Non esistono delfini che ridono o orche che baciamo gli addestratori, ma solo finzione e sofferenza.
La morte di Kohana, orca prigioniera di un parco acquatico dovrebbe far riflettere sulla sofferenza degli animali in cattività
Per capire meglio la sofferenza di Kohana, proviamo a cercare, sulla rete, qualche dato sulle orche, ad esempio sui loro rapporti e sulla capacità di elaborare strategie complesse. Una ricerca facile facile, per la quale non occorre essere degli esperti, ma solo banalmente dei curiosi. Una volta trovate con facilità queste informazioni la relazione da costruire è fra la vita libera e quella in una gabbia vuota, dove un’orca come Kohana potrà solo girare in cerchio sino alla prossima sessione di addestramento e negli spettacoli. Che paradossalmente sono gli unici momenti di attività che strappano questi animali a una noia mortale.
Aggiungiamo che le vasche dei cetacei sono piccole, disadorne e prive di diversivi, non per un capriccio ma per cercare di evitare le malattie, che potrebbero esaurire il rendimento che questi animali garantiscono ai loro carcerieri. I cetacei, l’ordine al quale appartengono delfini e orche, stenelle e tursiopi, oltre a molte altre specie che popolano i mari del mondo, possono prendere malattie gravi o ferirsi in cattività. Per questo vengono fatti vivere in prigioni vuote, con acqua trattata chimicamente. Ma le orche sono superpredatori e, al pari dei lupi, sono in costante movimento percorrendo miglia e miglia. Potranno mai vivere bene in una vasca di un parco acquatico?
Rispettare gli animali significa chiedersi se pagare il biglietto per vederli tenuti prigionieri sia moralmente accettabile
La risposta al quesito posto nel titolo è che non esiste una sola ragione che possa portare a giustificare l’ingresso in un parco con animali prigionieri. Fra le tante forme di maltrattamento che noi sapiens infliggiamo agli altri animali le più odiose sono proprio quelle ludiche. Far arricchire chi sfrutta gli animali guadagnando grazie al nostro divertimento è un comportamento eticamente inaccettabile: facendoci diventare i responsabili morali di quella sofferenza, che senza visitatori paganti non avrebbe luogo. Ogni biglietto venduto si trasforma infatti in un mattoncino per costruire e mantenere quella prigione.
Per questo i turisti non devono cedere al fascino apparente e alla spensieratezza che trasmettono parchi acquatici e zoo, sempre più attenti a coreografie che diano al visitatore l’illusione di trovarsi in un ambiente naturale. Sparite le vecchie gabbie sono state inventati nuovi sistemi di contenzione, capaci di eliminare illusoriamente quell’effetto di separazione che esiste fra visitatore e animale. Creando recinti apparentemente ampi, che spesso non possono essere completamente sfruttati dagli animali e che sono inferiori ai loro bisogni. Per diventare un luogo di divertimento apparente una prigione necessità di qualche trucco scenico, che nasconda noia e privazioni, lasciando gli ospiti ben visibili.
Si stanno spendendo molte parole sulla difesa dei diritti animali, ma sono davvero poche le azioni concrete messe in atto per trasformare concetti ridondanti in realtà che garantiscano davvero il loro benessere. Ogni Stato dovrebbe fare la sua parte, con leggi adeguate e controlli accurati, ma chi ha in mano le leve del potere in questo caso sono i cittadini. Esercitando la possibilità, ma anche il dovere, di mettere in campo scelte etiche, basate su empatia e rispetto. Non su quell’amore cieco per gli animali che talvolta produce effetti quasi peggiori dell’odio. Facendo chiudere queste strutture, togliendogli l’ossigeno che le tiene in vita: il nostro denaro e la nostra superficialità.
Animali e diritti: telecamere nei macelli obbligatorie in Spagna, che sarà così il primo paese dell’Unione Europea a dotarsi di questo strumento di controllo. Sono diversi anni che in tutta Europa e anche in Italia viene chiesta questa misura di sorveglianza nei macelli. Senza riuscire a ottenere che le molte promesse fatte dalla politica si traducessero in realtà. Il provvedimento varato dal governo spagnolo prevede, finalmente, che le telecamere siano obbligatorie per tutti i macelli, anche i più piccoli e persino in quelli mobili.
Le telecamere dovranno essere installate in ogni luogo ove vi sia presenza di animali vivi, sia per evitare maltrattamenti aggiuntivi che per monitorare i tempi di attesa. Per norma europea gli animali devono essere macellati nel minor tempo possibile. Evitando che una lunga permanenza nelle strutture dei macelli possa essere causa di ulteriori sofferenze. Questo provvedimento costituisce un passo avanti, anche se sottrae sofferenza ma non può risolvere i molti problemi dell’allevamento.
Il traguardo resta sempre quello di poterci liberare dalla dipendenza dalle proteine animali, anche grazie all’arrivo sul mercato della carne coltivata. Un passaggio quest’ultimo che sarà davvero epocale, nel momento che sarà possibile arrivare alla completa sostituzione della carne derivante dall’uccisione di animali. Nel frattempo ogni azione che porti a una riduzione delle sofferenze degli animali negli allevamenti e in tutte le fasi della produzione deve essere comunque accolta con grande soddisfazione. Come la drastica diminuzione dei consumi, per qualsiasi ragione avvenga.
Animali e diritti: con le telecamere nei macelli la Spagna compie un balzo in avanti, ma restano corride e feste religiose
Contraddizioni che appaiono per noi inconcepibili, per la violenza che è insita in manifestazioni come quelle del Toro de la Vega o nelle corride. L’Italia pur essendo ancora molto indietro nell’assicurare una tutela degli animali, spesso anche a causa di inerzie politiche e scarsi controlli, ha infatti da tempo previsto come reato moltissime forme di violenza agite nei confronti degli animali. Certo restano ancora consentite manifestazioni equestri come il Palio di Siena, sempre più contestato, o i circhi, ma la violenza gratuita sugli animali, seppur poco perseguita, è legalmente vietata.
Altro tasto dolente sono le attività come allevamenti, trasporti di animali vivi e macelli dove si dovrebbe fare molto di più, ma quando ci sono in ballo interessi economici le cose cambiano. Nonostante gravissimi fatti di cronaca, basati su inchieste che continuano a svelare reati e maltrattamenti compiuti a danno degli animali. Queste situazioni non sono considerate lecite, semplicemente vengono troppo spesso coperte con omissioni o favoreggiamenti. Situazione ben diversa è quella che accade in Spagna durante le feste religiose dove torturare gli animali è un comportamento considerato normale, giustificabile.
La politica italiana promette di migliorare le condizioni di vita degli animali e di far crescere i loro diritti: solo promesse elettorali?
Probabilmente le promesse, come sempre accade, hanno un elevato tasso di probabilità di restare tali. Animali e clima sono bandiere troppo spesso agitate per raccogliere voti, contando sul fatto che molti amanti degli animali siano, purtroppo, più emotivi che riflessivi. Credendo spesso a chi le promette più grosse, dimenticandosi poi di lavorare davvero per trasformare le promesse in risultati concreti. Così si spacciano disegni di legge come conquiste, ordini del giorno presentati nell’uno o nell’altro ramo del parlamento come vittorie storiche. E nulla cambia mai per davvero, perché in effetti gli animalisti hanno la memoria corta.
Una spiegazione più che plausibile di questo comportamento l’ha data Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica nel 2021, parlando di mancati provvedimenti sul clima. Illustrando in una lunga intervista a Repubblica, con concetti semplici, la pochezza della nostra classe politica.
Elettori e eletti sono quindi corresponsabili sui mancati provvedimenti?
Occorre davvero dividere in modo equanime le responsabilità fra politici e elettori? La risposta non può che essere affermativa, visto che sono proprio gli elettori che hanno fatto avanzare una classe politica spesso incolta, becera e populista. Proprio come accade per i bambini, i politici nel corso di questi decenni hanno continuato a alzare l’asticella delle promesse vuote e non hanno quasi mai dovuto pagarne la colpa. I bambini ai quali si consente troppo diventano maleducati mentre i politici diventano arroganti e fanfaroni. Dimostrando in più una parallela crescita del loro ego e della capacità di banalizzare questioni complesse. Il risultato è di fronte agli occhi di tutti, almeno di chi li tiene aperti.
Siamo noi cittadini che abbiamo consentito alla politica di esprimere il peggio, smettendo di esercitare il controllo sulla delega data. Pensando che se il paese va verso lo sfascio, culturale e economico, sia molto meglio barricarsi nel salotto di casa propria, magari agitandosi soltanto sui social. Una deriva che colpisce duro in Italia e che spesso ha contagiato non solo i partiti ma anche i corpi intermedi. Che sono passati dall’essere un utile stimolo a cercare di inseguire proprio chi dovrebbe essere in grado di rappresentare i cittadini.
Eppure è noto che una società migliore è creata dal livello culturale e dall’educazione civile dei suoi componenti. Per questo lo stimolo a questo processo di crescita, in tema di tutela ambientale e crescita dei diritti animali, dovrebbe essere il primo obiettivo di tutte le realtà sociali che si occupano di operare in questi settori. Invece l’impressione è che, anziché promuovere la crescita culturale che spesso non è compito popolare, sia privilegiata l’attività di raccogliere consensi, di guadagnare visibilità. Un po’ come ha recentemente dimostrato l’improbabile legame fra il WWF e il Jova Beach Party.
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