Angelo non avrà giustizia, non quella che sarebbe giusto auspicare nei confronti degli autori di un gesto tanto crudele quanto vigliacco commesso verso un cane senza colpe, se non quella di essere diventato il centro dell’attenzione di un branco umano.
Ma il fatto di non avere giustizia non sarà dovuto al fatto che i ragazzi responsabili di quest’episodio siano di un paese dell’entroterra calabrese, non sarà per l’omertà di una comunità che li difende pur, almeno in parte, comprendendo l’errore: sarà colpa di una legge che ancora non riconosce il maltrattamento di animali per quello che effettivamente rappresenta, un crimine grave che annuncia la possibile commissione di altri reati violenti e antisociali.
Il recente servizio fatto dall’inviata Nina della trasmissione Le Iene sui ragazzi di Sangineto ha riportato sotto i riflettori un caso che non si è ancora chiuso, soffiando sul fuoco di un’indignazione mai sopita provocata da un episodio di violenza senza possibilità di scusanti. La storia di Angelo, un cane bianco impiccato e seviziato fino alla morte, per noia, per stupidità, per crudeltà o per seguire il capo branco, per non fare la figura del vigliacco con i coetanei. Così il video finisce postato sui social, diventa virale, mobilita la rete in manifestazioni e flash mob per ricordare Angelo, per chiedere la punizione dei responsabili.
Bisogna dire che la rete dimostra di non essere meno violenta dei quattro ragazzi, così, come troppo spesso accade, la richiesta di una giusta punizione si trasforma in una tempesta di insulti, una raffica di minacce nei confronti dei quattro ragazzi, di racconti di cosa e come i vari commentatori, inutili eroi della tastiera, vorrebbero attuare per punire i responsabili: la violenza che deve essere punita con altra violenza, un mostro che ne ha generato un altro. Invocare mutilazioni e sevizie per gli autori è purtroppo dimostrazione di un cancro presente nella nostra società, troppo spesso alimentato anche da persone insospettabili non si capisce se per ottenere like o per seguire l’idea di dar vita a un’ordalia, una prova divina, che possa dimostrare, inequivocabilmente, la responsabilità degli autori.
Quasi nessuno racconta invece del perché Angelo non avrà giustizia, pochi indagano sulle realtà ambientali che sono alla base di questi gesti e sulle dinamiche di branco che si creano, perché anche gli uomini hanno i loro branchi e le loro regole: così può accadere che un maschio Alfa porti altri membri a commettere un reato oppure a non avere il coraggio di sottrarsi a comportamenti ripugnanti. Questo non darà giustizia a Angelo e, invece, dovrebbe diventare uno strumento per capire l’importanza di saper utilizzare episodi gravi come questi per sorvegliare la violenza, proprio come si fa con i vulcani: non sappiamo quando riprenderanno a eruttare, ma sappiamo che prima o poi lo faranno, spesso con un potere distruttivo incontenibile.
Il cane Angelo non avrà giustizia perché l’articolo 544 bis del Codice Penale recita “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni” e questo significa che se i responsabili sono incensurati o pregiudicati per piccoli reati non faranno un solo giorno di carcere e avranno, probabilmente, la pena sospesa. Quello che è peggio è che non riceveranno alcuna sanzione accessoria, come l’interdizione dal tenere animali, semplicemente perché non è prevista dalla legge, una norma spuntata che lascia troppi varchi ai responsabili, esponendo animali e società a una reiterazione dei comportamenti.
Gli autori di questi gesti, contrariamente a quanto pensano i forcaioli, non devono essere puniti con la legge del taglione ma vanno messi in condizione di non nuocere e tenuti sotto controllo, per evitare la reiterazione di reati violenti anche mediante misure di prevenzione che non necessariamente comportino il carcere. Lo scopo della giustizia deve sempre essere duplice: punire chi commette reati e recuperare chi li ha commessi, anche quelli più odiosi, per impedire che altri possano restare vittime della loro violenza, come invece accade con troppa frequenza.
Per questo occorre cambiare la legge in modo radicale, riconoscendo il maltrattamento di animali come un crimine violento e sanzionandolo in modo adeguato, anche con misure diverse dal carcere: sospensione delle licenze, come per esempio la patente, sottoposizione alla libertà vigilata e interdizione dall’avere animali.
Diversamente ogni giorno ci sarà un Angelo e ogni giorno ci troveremo con i responsabili impuniti e le cause della violenza non affrontate.
#unitiperangelo