
Il diritto alla felicità per tutti gli esseri viventi dovrebbe essere scritto nella costituzione di ogni nazione civile. La felicità non può essere considerata come uno stato comprimibile, al quale sia possibile rinunciare o che qualcuno ti possa togliere. La felicità non sta nel possedere, ma nel trovarsi in armonia con il circostante.
L’altro giorno ho letto un dato che mi è entrato nella mente in modo dirompente, tanto semplice quanto fragoroso. Le società con il maggior numero di abitanti felici sono più tolleranti, accudenti e attente verso i bisogni degli esseri viventi. E qui qualcuno potrebbe dire che è la scoperta dell’acqua calda. ma credo non sia proprio così.
In verità credo che la felicità, come il rancore, l’invidia e l’intolleranza siano sentimenti o modelli contagiosi, in modo positivo o in modo così negativo da poter raggiungere l’assoluto. La felicità permette di ragionare senza preconcetti, gabbie mentali e soprattutto senza paure. Quelle che la nostra società, anche senza accorgersene, sta allevando. Con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Una società composta da individui arrabbiati e spaventati è più semplice da governare, basta aumentare le paure e inventare falsi rimedi. Così con il tempo ci hanno insegnato che non è importante dare valore a quello che si ha, a come si stia emotivamente, ma bisogna, invece, aver sempre presente la spada di Damocle rappresentata da di ciò che si può perdere. Così tutto o molto di quello che ci estraneo diventa ostile, fonte di paure o di futura sofferenza.
La felicità è uno stato che non dipende da beni materiali
Non importa cosa ho, ma è invece molto importante come mi sento. La mia relazione con il circostante diventa la chiave di volta e gli altri rappresentano uno strumento del benessere e non un ostacolo. Se la felicità fosse il bene prioritario al quale fossimo stati educati, da sempre, le nostre scelte sarebbero più responsabili, etiche e giuste. Nei confronti degli uomini e in quelli degli animali.
Con la consapevolezza che anche gli animali possono essere felici, sentirsi in armonia nel loro ambiente. E’ la differenza che corre fra l’essere in salute e poter vivere in uno stato di benessere. Possiamo stare benissimo fisicamente ma non essere felici, essere a pezzi, sentirci sofferenti. Per contro possiamo avere qualche malanno, qualche affanno ma essere potenzialmente o realmente felici. Apprezzando le nostre reti di relazioni, aperte sul mondo.
Dovremmo forse smettere di chiederci l’un l’altro se stiamo bene e cominciare invece a chiedere agli altri se sono felici. Chiederci, per esempio, se il nostro cane è felice e cosa potremmo fare per migliorare il suo stato. Impareremmo a preoccuparci, e non solo a occuparci, del vero benessere anche degli altri viventi. L’attenzione verso chi ci è prossimo diventa una chiave per aprire e lasciar fluire buone attenzioni, benessere emotivo.
Il tasso di Felicità Interna Lorda (FIL) da usare al posto del PIL
Un esempio fondamentale dell’utilità a conoscere il proprio FIL è dato dal Bhutan, piccolo stato montuoso dell’Asia. Questo stato già da anni adotta come indicatore per calcolare il benessere della popolazione il FIL. I criteri presi in considerazione sono la qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali. Secondo alcuni dati questo paese è uno dei più poveri dell’Asia, con un PIL pro capite di 2088 dollari (dato del 2010).
Tuttavia, secondo un sondaggio, è anche la nazione più felice del continente e l’ottava del mondo. Gli ideatori di questo indice non mirano ad una “retrocessione”, cioè non vogliono passare per anti-tecnologici o anti-materialisti, ma il loro programma punta a migliorare l’istruzione, la protezione dell’ecosistema e a permettere lo sviluppo delle comunità locali.
da Wikipedia nella pagina sul FIL, il coefficiente di felicità interna lorda
Il benessere, per uomini e animali non può non comprendere il fatto di essere felici
Forse guardando le cose sotto questa angolazione, che mette la felicità come stato prioritario al quale tendere, il nostro egoismo umano inizierebbe un poco a sgretolarsi, a non trovare terreno fertile sul quale vivere e essere allevato. Sino a condurci all’atrofia dei sentimenti che non coinvolgano la nostra stretta cerchia di affetti, che certo non può essere solo umana.
Anni fa se si controllava quello che veniva definito il “benessere animale” i parametri erano quelli legati alle necessità fisiche che consentono la nostra esistenza in vita: cibo, acqua, cure e ambiente decoroso. Ma nulla veniva ricondotto a altri criteri, alla possibilità di sentirsi davvero in equilibrio nell’ambiente nel quale siamo inseriti.
Per questo probabilmente le società a maggior tasso di felicità sono rimaste confinate a pochi esempi, non ritenendo questo un diritto prioritario ma secondario. Il possedere e il consumare erano più importanti dell’armonia. E pur di possedere avevamo il diritto di restringere il campo dei diritti altrui, animali compresi.
Oggi, visto lo stato della nostra società, considerato il tasso di aggressività raggiunto, sarebbe davvero importante creare il “Ministero per la felicità dei viventi”. La nostra vita è un soffio ed è veramente un peccato attraversare questo breve momento senza cercare di essere felici, di dare felicità. Non ci sono ricette, non ci sono certezze ma solo la consapevolezza che sia un tentativo da compiere.
Un tentativo per cercare di vivere in una società migliore, dove diffondere le paure non possa essere visto come uno strumento di governo, ma diventi un crimine contro la collettività. Abbiamo bisogno di riprendere in mano non solo le nostre vite ma dobbiamo sentire il dovere di impegnarci, anche ritrovando la voglia di lottare per essere felici.