Suini uccisi e peste africana: ora bisogna mettere al sicuro i santuari

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Foto di repertorio

Suini uccisi e peste africana: ora bisogna mettere al sicuro i santuari, perchè non si ripetano i fatti accaduti nella struttura di Cuori Liberi a Zinasco. Una vicenda, quella dell’abbattimento degli animali, preceduta da scene di violenza non giustificabile, che hanno fatto il giro del mondo. Suscitando commenti e sentimenti controversi, fra quanti hanno ritenuto inevitabile l’abbattimento dei suini e chi lo ha ritenuto un abuso. Quello che è certo è che più di qualcosa non ha funzionato e alla fine, come sempre, a trovarsi in mezzo sono stati gli animali. Diventati innocenti oggetti o soggetti, a seconda del pensiero di chi li guarda, di una contesa che li ha sopraffatti.

Non scrivo quasi mai sotto la pressione della cronaca: preferisco aver il tempo di riflettere e di ordinare i pensieri. Così ho avuto modo di leggere i pareri di veterinari che giustificavano queste uccisioni per arginare la diffusione della PSA. Ma anche moltissime dichiarazioni diverse, sino a arrivare alla naturale contrarietà degli attivisti. Sicuramente il 20 settembre verrà ricordato come un giorno terribile per i suini dei santuari, che deve portare a fare delle riflessioni sulla normativa e sulla biosicurezza.

I suini uccisi erano animali da compagnia, non inseriti in un circuito di allevamento per carne, ma sempre suini che potevano ammalarsi (come è successo) e infettare. Se l’uccisione seguita all’irruzione sia davvero servita a arginare l’avanzata della PSE fatemi dire a chiare lettere che il mio pensiero è NO, non è servita. Non voglio entrare nel merito di tecnicismi, ma solo basare la mia opinione su quello che i filmati hanno mostrato. Un’azione lontanissima dalla biosicurezza che forse ha contribuito più a propagare il virus che non a fermarlo. Quindi una prova di forza inutile, violenta e insensata.

Suini uccisi e peste africana: quando un’azione di polizia sanitaria ottiene il risultato contrario

Non era necessario uno stratega militare per comprendere quanto quell’irruzione sarebbe stata controproducente rispetto allo scopo dichiarato. Un’autorità sensata avrebbe offerto un tavolo di trattativa, avendo la consapevolezza che i custodi degli animali non sarebbero restati, giustamente, a braccia conserte a attendere l’abbattimento dei loro suini. Invece è stato attuato il muro contro muro. Gesto sconsiderato, di chi rappresentando la sanità della nazione, sembrava più volersi vendicare per un torto piuttosto che esercitare un’azione di prevenzione. Facendosi accompagnare da poliziotti che di biosicurezza sanno certamente poco, ai quali la situazione è sfuggita di mano: secondo errore è stato creare una piccolissima ripetizione del G8 di Genova.

Il risultato potrebbe far sembraree che lo Stato abbia trionfato, perdendo però battaglia e guerra e facendo una pessima figura: se il problema era il virus ora starà sicuramente ringraziando. Mai avuti così tanti aiuti per agevolare la diffusione di un patogeno che richiederebbe, per essere contrastato, misure di sicurezza come tute monouso e comportamenti attenti, non scontri di piazza senza prevenzione né protezione! Non voglio solo esprimere tristezza per la mancata empatia, ma sgomento per un’operazione compiuta seguendo alla lettera l’esatto contrario di ogni politica di contrasto a una patologia virale.

Gli animali dovevano essere comunque, in un modo o nell’altro, abbattuti? Forse, ma se anche così fosse certo non usando strategie così mal congeniate. Ora qualcuno, magari un magistrato che tanto sarà investito obbligatoriamente di questa vicenda. potrebbe investigare anche sulla mancanza di buone pratiche e su un uso/abuso della forza, in un contesto sbagliato sotto ogni punto di vista. Un uso della forza che mi lascia sgomento, non solo da persona che si occupa di diritti animali, ma da cittadino che vorrebbe guardare alle forze di polizia sempre e comunque con stima e fiducia. Certamente non con paura!

Facile dire che gli animalisti sono emotivi e non capiscono l’emergenza! Ma dall’altra parte della barricata il corto circuito è evidente

La speranza è che ora, per la giustizia in cui tutti vogliamo credere, ognuno trovi il suo giudice a Berlino. Perché se così non fosse, se questa vicenda venisse sepolta con volontà di oblio, sarebbe veramente vergognoso. Lo Stato ha dei doveri e chi ha gestito la piazza dello scontro di fronte a “Cuori Liberi” deve essere oggetto di serie valutazioni. Il 20 settembre sono stati abbattuti i maiali ma, purtroppo anche il buonsenso ne è uscito pieno di lacerazioni e ferite.

Ora bisogna lavorare per un cambiamento della norma, che dia maggiori garanzie agli animali dei santuari. Fissando regolamenti seri per la biosicurezza, visto che detengono animali di specie uguale a quelli d’allevamento per usi alimentari. Non potendo dimenticare quindi che anche queste strutture, pur di recente normate in modo diverso e non più considerate allevamenti, detengono suini, bovini, caprini, etc. . Realtà che sono sempre e comunque soggette alla vigilanza del Servizio Sanitario Nazionale, che forse già poteva e doveva dare prescrizioni.

Come uomini possiamo ringraziare che la PSE non sia una zoonosi, e quindi non ci contagi. Continuando però su questa strada pericolosa, fatta di allevamenti intensivi dove gli animali sono tenuti in condizioni di sofferenza, qualcosa accadrà. Lo sta dicendo da tempo l’Organizzazione Mondiale di Sanità, lo dicono i dati e i pericoli rappresentati dall’influenza aviaria. Purtroppo la recente epidemia di Covid non è stata sufficiente a farci capire davvero il senso di One Health: una sola sanità una sola salute, un solo pianeta.

Criminalizzare le proteste non cambia la realtà: l’emergenza ambientale cresce ogni giorno

Criminalizzare proteste cambia realtà

Criminalizzare le proteste non cambia la realtà: l’emergenza ambientale cresce ogni giorno, mentre si fa ancora troppo poco per il cambiamento. Possono non piacere i blocchi stradali e molte azioni messe in atto da Ultima Generazione, ma certo non sono queste persone a essere un problema. Certo se questi attivisti fossero davvero ecoterroristi (per qualcun altro eco-imbecilli), come sono stati definiti da qualche illuminato politico, allora le cose cambierebbero. Ma per chi ha vissuto gli anni veri del terrorismo, con tutti gli strascichi che hanno comportato, questa definizione è davvero priva di significato.

Le proteste pacifiche sono azioni di disobbedienza civile che devono essere riconosciute come portatrici di un valore. Specie quando cercano di accendere i riflettori non su un problema ma su un dramma del quale si parla molto, facendo in realtà troppo poco. I cambiamenti climatici sono una certezza, i danni economici che porteranno sono ampiamente previsti dal mondo della finanza etica, ma anmche dalle Nazioni Unite, e le migrazioni in atto sono la punta dell’iceberg. Ma la confusione dell’informazione porta a omologare questi attivisti a dei black block, come se spaccassero e vandalizzassero tutto quello che trovano sul cammino.

In un mondo digitale chi scende sul terreno del reale sarebbe già da apprezzare solo per questo. Per la volontà dell’esserci, di metterci la faccia, di esporsi a dei rischi e di subire processi e denunce. In un paese come il nostro che sembra aver perso il senso del valore della libertà, spesso troppo occupato a subire l’informazione, senza avere voglia di indagare le ragioni dei fenomeni. I cambiamenti climatici sono diventati un’emergenza in Europa, ma si trasformano in drammi nei paesi più poveri del mondo. Mentre l’economia e la politica ci rassicurano che stiamo efficacemente combattendo le cause delle mutazioni del clima e ionvece stiamo andando a sbattere su una nave senza pilota.

Criminalizzare le proteste non cambia la realtà e Ultima Generazione non fa eco-terrorismo

Quando i blocchi stradali li fanno gli operai che difendono il posto di lavoro sono azioni illegittime ma scusabili, perché devono mantenere la famiglia. Ma se si tratta degli attivisti, siano di Ultima Generazione che di quanti difendono i diritti di tutti gli esseri viventi, allora le cose cambiano. Stranamente il lavoro è un diritto, ma voler avere un futuro sembrerebbe di no! Così queste proteste diventano inutili, fatte da ragazzini (e non è vero) che vogliono avere visibilità. Mentre il loro esserci, con sistemi di pacifica disubbidienza civile, ci aiuta a ricordarci che ogni giorno perdiamo biodiversità. Eppure la disobbedienza civile ce l’ha insegnata il Mahatma Gandhi, anche con il suo motto “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

Nelson Mandela, indimenticato primo presidente del Sud Africa post segregazione razziale, fu premiato nel 1993 con il Nobel per la pace. Un giusto riconoscimento, dato a un uomo che aveva messo in atto azioni, anche violente, per lottare contro la segregazione dei neri. Per usare un paradosso ha lottato con mezzi estremi per un mondo che non voleva vedere più in bianco e nero, come ricorda questo brano tratto da un articolo di Daniele Scalea:

Perché è vero che Mandela è stato l’uomo della resistenza non violenta, della pacificazione, della “nazione arcobaleno”, dell’amnistia, della filantropia. Ma è stato anche e non solo quel Mandela. C’è pure un’altra faccia di Mandela, quella del militante, del cospiratore, che non è opposta ma complementare alla prima. Che non è il rovescio “cattivo” della faccia “buona”. È altresì il Mandela che non si vuole ricordare perché, alla nostra società assuefatta alla violenza ignobile e insensata che viene compulsivamente narrata o descritta dai TG ai film, dalla musica ai videogiochi – a questa società tanto caratterizzata dalla violenza fine a se stessa, riesce invece difficile accettare e riconoscere l’esistenza di una violenza “nobile”, una violenza motivata dal senso di giustizia e tendente al giusto.

Huffington Post del 7 febbraio 2014

Il rispetto delle leggi è un valore assoluto, ma bisogna anche valutare le motivazioni delle trasgressioni

Non condividere il principio che il fine giustifica i mezzi non può significare voler essere ciechi. Abbiamo bisogno di innescare reali cambiamenti e se fossimo davvero attenti non avremmo necessità di avere queste proteste per averne consapevolezza. Invece insistiamo nel divorare la terra a morsi per non turbare economia e finanza, continuando a distruggere l’ambiente che avremmo dovuto da tempo imparare a proteggere. Un terzo della superficie di mari e oceani andrebbe tutelata e liberata dalle attività umane, mentre noi continuiamo a comportarci come i tarli inconsapevoli, sull’unico tavolo che ci ospita.

Se si vuole togliere di mezzo gli attivisti che difendono l’ambiente il sistema è facile: leviamogli la terra sotto i piedi della protesta, cominciando a fare cose per davvero e smettendo di raccontarle soltanto. Alla politica, ma non soltanto, manca il senso dell’urgenza che non sfugge invece, e per fortuna, a un’altra grande parte del paese, che certo non è composta da eco-terroristi. Chi si occupa e si preoccupa di difendere ambiente e biodiversità nell’Antropocene non è un profeta di sventure, una fastidiosa Cassandra. E’ soltanto una persona che racconta facili previsioni, non per vaticinio ma per senso della realtà, del tempo presente che stiamo vivendo.

Ragionamenti da fare ora, perché quello che tanto preoccupa l’Europa non diventi davvero un’invasione: non più migranti economici e richiedenti asilo, ma torme di migranti climatici disperati e affamati. E non ci sarà più tempo per il futuro, neanche prossimo, perché la realtà potrà essere descritta solo utilizzando il presente indicativo. E non sarà un bel racconto!

Abbattimento o captivazione permanente: questo è il dilemma spesso eluso

abbattimento captivazione permanente

Abbattimento o captivazione permanente: questo è il dilemma che spesso ci si rifiuta di affrontare. Un tema spinoso che frequentemente non viene dibattuto, quale parlano mal volentieri gli addetti ai lavori in ogni schieramento. Un punto sul quale, invece, sarebbe opportuno pronunciarsi, dopo un ampio dibattito tecnico, non emotivo. Se è vero che decidere per chi non è in grado di farlo è sempre molto difficile, è altrettanto vero che non fissare regole può diventare un paravento dietro al quale nascondere la sofferenza. Garantire la vita anche a costo di negare il benessere è una scelta che mi risulta difficile da condividere.

Vale per tutti gli animali destinati a trascorrere una vita dietro le sbarre e per questo credo sia importante, ma anche doveroso, fare una riflessione. Senza preconcetti, basati sulla ponderata valutazione laica di pro e contro fatta da una pluralità di esperti. Se è vero che la cattività, nel caso degli orsi, allontana dalla violenza di uno sparo è altrettanto vero che mette al riparo le nostre coscienze e sensibilità, ma non le loro vite. La sofferenza del giorno per giorno, con gradienti vari e diversi, è la stessa che condanna a morire di noia gli animali di uno zoo. Quella che resta visibile nei sentieri scavati dalle zampe sul terreno dei recinti, sempre gli stessi, percorsi in modo ripetuto, quasi ossessivo.

Scelta sicuramente difficile come tutti i pensieri che le gravitano intorno, che non può essere elusa semplicemente al grido di “lasciamoli liberi”. Certo questa sarebbe la soluzione migliore, ma quando si arriva a un punto nel quale bisogna scegliere fra vita e morte, lì non ci sono terze vie. Non esiste più, nemmeno per noi, la possibilità di non esprimerci, di non scegliere, in nome dell’etica o della convenienza. Un bivio di fronte al quale bisogna decidere che strada imboccare, nell’interesse degli animali.

Abbattimento o captivazione permanente: scelte che mettono di fronte a un bivio etico

Del resto che la cattività rappresenti molto spesso una prigionia dai risvolti crudeli viene detto a chiare lettere quando, ad esempio, si parla di zoo e delfinari. Ma non in modo netto quando i detenuti sono rinchiusi a vita in altri luoghi, come santuari per orsi, solo per restare sul tema, o anche canili. Il baratto etico che sta alla base di questa differenza di valutazioni è la giustificazione dell’aver salva la vita, ma non è la “motivazione” della detenzione a cambiare o attenuare la sofferenza. La differenza cambia quando vi è una piena e consapevole analisi del benessere garantito dalle condizioni di detenzione. Che non può essere valutato solo sulla base dello spazio a disposizione o su criteri estetici.

Per fare una valutazione complessiva occore tenere presente l’etologia della specie e la sua origine: un conto è un animale selvatico che proviene da anni di cattività o da riproduzioni in cattività e altro è un soggetto di cattura. Bisogna valutare le caratteristiche della struttura e le condizioni di vita offerte, il tempo che si può dedicare alle interazioni o alla creazione di continui diversivi. In cattività la noia uccide, prova un animale nello spirito, lo riduce a un simulacro dell’animale che sarebbe stato se avesse vissuto libero.

Esistono sistemi per realizzare misurazioni e valutazioni scientifiche sul livello di stress che genera la cattività, esaminando per esempio i livelli del cortisolo.

La definizione di “benessere animale” e le modalità di determinazione di tale parametro sono ancora ampiamente dibattute. C’è, però, una generale concordanza sul fatto che una condizione di malessere dia origine a variazioni fisiologiche e comportamentali che possono essere rilevate e misurate. Tra i parametri endocrini, il più studiato è, senza dubbio, il cortisolo, in quanto connesso con l’attivazione dell’asse ipotalamico-pituitario-surrenale in condizioni di stress e quindi ritenuto indicatore ideale di benessere, benché debba essere utilizzato con cautela in quanto un aumento dei livelli di questo ormone non si verifica con ogni tipo di stressor.

Viggiani, Roberta (2008) La determinazione del cortisolo nel pelo per la valutazione del benessere animale, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

Il focus deve essere il benessere garantibile e non la sola esistenza in vita

Sarebbe tempo di fare ragionamenti a tutto campo, mettendo al centro i bisogni e il benessere degli animali, non l’accondiscendenza verso la componente emotiva. Questo, se pensiamo che anche un pesce rosso nella boccia possa essere sofferente e maltrattato, deve essere il primo punto dal quale far nascere una riflessione. L’argomento è spinoso, ma ritornando agli orsi qualcuno potrebbe mai pensare che la detenzione di M49 a Casteller sia compatibile con il suo benessere?

La questione è complessa e certo l’articolo non ha la pretesa di indicare la via, ma solo di stimolare una vera e complessiva riflessione che faccia aprire un dibattito a tutto tondo. La difesa della vita oltre ogni altra considerazione non può essere vista come una motivazione sufficiente a far detenere a vita animali nelle strutture. La difesa della vita non può diventare una motivazione che giustifichi la detenzione in qualsiasi condizione, non può far chiudere gli occhi davanti alla sofferenza.

Su questi temi un dibattito serio sarebbe auspicabile e urgente, coraggioso e necessario. Un dovere ineludibile, specie nel momento che sono sempre gli uomini a decidere cosa tocchi in sorte agli animali.

Senza rispetto restiamo prigionieri in gabbie pericolose

senza rispetto restiamo prigionieri

Senza rispetto restiamo prigionieri in gabbie dove i valori positivi come l’empatia sono visti come forme di debolezza. Una sorta di resa verso i buoni sentimenti, che non permettebbe la scalata dell’individuo verso il successo. Un concetto tanto malato quanto pericoloso, che sta permeando la nostra collettività, come purtroppo le cronache ci restituiscono ogni giorno. Le conzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzdanne verso ogni tipo di violenza si sprecano, riempiono le pagine dei media, spesso con termini che riportano al comportamento degli animali, che però non hanno mai comportamenti di aggressività gratuita.

Tutto parte da un vuoto di valori causato da una voragine educativa, dal mancato insegnamento di valori fondamentali come rispetto, compassione, equità. Da social che straripano di esempi negativi, dove il successo non è meritato, ma spesso soltanto aggressivamente strappato e dove i valori sono diventati possesso, fama e denaro. Quando non si riconoscono le colpe di aver creato un sistema educativo inefficace si passa, sempre, a invocare strumenti eccezionali e spesso violenti nei confronti dei responsabili. Senza soffermarsi a riflettere sul fatto che sono gli esempi a creare comunità diverse e non (soltanto) le azioni repressive.

Ogni volta che un fatto grave viene commesso ai danni di soggetti fragili, siano uomini o animali, viene sempre invocato un inasprimento delle pene. Ma non sono le sanzioni a impedire la violenza, sia perché vengono applicate quando il fatto è già accaduto, sia perché le pene già ci sono ma non hanno il valore di deterrenza auspicato in una società che spesso non conosce norme e regole.

Senza rispetto restiamo prigionieri dei cattivi esempi che diamo ogni giorno

Sono i valori che contribuiscono a creare una società evoluta e civile e questi partono dal riconoscimento dei diritti. Riconosciuti a tutti gli esseri viventi e in particolar modo a tutti quei soggetti che non riescono a difendersi da soli. Forse per capire il problema dobbiamo proprio partire dal mancato riconoscimento dei diritti e in questo campo la nostra società da tempo sta fallendo. Ipocritamente spesso, neghiamo il diritto all’eutanasia di uomini sofferenti, ma consentendo che il Mediterraneo diventi, ogni giorno, una tomba liquida per migliaia di esseri umani.

Protestiamo contro l’abbandono degli animali domestici, ma continuiamo a trasportare animali vivi con ogni condizione metereologica per ragioni esclusivamente economiche. Sappiamo che la crudeltà verso gli animali rappresenti un comportamento predittivo di futuri atti violenti sugli uomini, ma preferiamo ignorare il dato. Conosciamo la sofferenza degli esseri viventi imprigionati, ma poco facciamo per evitare strutture sovraffollate e inumane per uomini e animali. Sapendo, per esempio, che le recidive di comportamenti criminali negli uomini dipendono anche da carceri che non rieducano, da violenze che dimostrano che l’unica legge è quella del più forte.

In questa schizofrenia comportamentale, fra abusi e violenze, stupri e illegalità, l’unica invocazione sembra essere l’inasprimento delle pene. Dimenticando che servono più scuole, migliore educazione, dimostrazioni, specie in politica, di valori etici non condizionati da tornaconti. Stiamo ritornando alla società forcaiola del vecchio West, anziché cercare di dirigerci verso la creazione di una società che rispetta le regole, insegna valori e, soprattutto, si comporta conseguentemente a quanto promette.

La vera rivoluzione culturale ci sarà quando ogni componente farà la sua parte

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” predicava l’apostolo della non violenza, il Mahatma Ghandi. Che è stato capace di ottenere cambiamenti epocali grazie a un esempio, positivo, vero. Che ancora oggi tutti ricordano ma pochi seguono, con tutte le difficoltà che questo comporta, racchiuso nella nostra natura umana, tanto meravigliosa quanto contraddittoria. Mai come in questo periodo ci sarebbe bisogno di esempi, di schiere di persone di buona volontà che si adoperano per vedere il cambiamento. Per far risalire i valori dell’etica nella politica e quelli della gentilezza nella vita, anche in quella di tutti i giorni.

Considerando che i danni fisici sono visibili, ma che quelli causati nelle anime restano invisibili ai più, ma comunque troppo spesso insanabili per chi li ha subiti. Senza poter dimenticare che in questo tempo social spesso le tastiere fan più danni della spada e le parole non solo feriscono, ma diventano un perticoloso incitamento alla violenza e all’odio. Ci salveremo solo se lo faremo tutti insieme, difendendo i diritti e dando il giusto riconoscimento a doveri e valori!

Orsi in Trentino: serve ragionamento, non basta il cuore per cambiare le cose

orsi Trentino serve ragionamento

Orsi in Trentino: serve ragionamento, non basta il cuore per cambiare le cose e farsi contare nelle piazze è sempre un errore strategico, se non si è in grado di riempirle. La polarizzazione delle scontro è diventata più funzionale alla strategia elettorale e governativa di Fugatti, che non alla tutela reale degli orsi. Usando schemi di comunicazione diversi nei contenuti, ma troppo simili nell’esporre le ragioni degli schieramenti, si cerca di infiammare le piazze, spesso con risultati molto deludenti. Per questo occorre saper coniugare cuore e cervello, seguendo una linea etica basata su una realtà meno emotiva e più tecnica.

Non basta gridare “orsi liberi” perché questo slogan non è aderente alla realtà. Un fatto che potrà non piacere ma che rappresenta una certezza per quanti si occupano di orsi, compresi i tecnici che sono stati da sempre contrari a questa politica delle catture. Gli orsi catturati e tenuti in cattività per un tempo medio/lungo non potranno essere mai rilasciati sul territorio libero. Per questo il punto dovrebbe essere quello di impedire che altri animali facciano la stessa fine, considerando gli errori commessi e evitando di ripeterli. Raffinando i ragionamenti e le argomentazioni: la semplificazione dei concetti aiuta i politici a governare, non le buone idee a camminare sulle proprie gambe.

Quanti stanno dalla parte degli orsi hanno necessità di essere credibili, di riuscire a attrarre e convincere grazie a solidi argomenti e non certo a sentimenti spesso debordanti. La comunicazione emotiva funziona poco oramai anche sui social e, per uscire dalle stanze dell’eco che riempiamo solo di chi già è schierato, occorrono altre modalità di comunicazione. Accompagnate da minor aggressività verbale, perché se l’insulto pare gratificare chi lo pronuncia è dequalificante per chi legge. Mancano argomenti e allora volano insulti, qyuesta è la conclusione di molti lettori.

Orsi in Trentino, serve ragionamento per raccontare alla pubblica opinione cosa non è stato fatto da chi si lamenta

Per spiegare il fallimento della politica del Trentino nella gestione degli orsi, reintrodotti per scelta politica e questo non va dimenticato, occorre mettere in fila gli errori. In modo da illustrare le ragioni che hanno portato alla situazione attuale.

Gli errori della politica, dall’inizio del progetto a oggi:

  • Mancata informazione e formazione: i trentini non hanno ricevuto le corrette informazioni per consentire alle persone di condividere il territorio con gli orsi;
  • Diffusione di informazioni prive di contenuto scientifico: gli orsi non sono troppi perché la loro diffusione è legata alle risorse del territorio e non possono essere “politicamente” in sovrannumero;
  • Mancata messa in sicurezza dei rifiuti: non aver ancora adottato i cassonetti dei rifiuti alimentari a prova d’orso abitua i plantigradi a cercare cibo dove non dovrebbero. Questa abituazione è causa di una colpa grave delle amministrazioni pubbliche;
  • Omessa chiusura temporanea di alcuni sentieri durante la primavera, come avviene in Abruzzo, per evitare possibili incidenti e proteggere uomini e animali;
  • Mancato rispetto del divieto di foraggiamento e uso di esche olfattive: occorre controllare che non sia sparso cibo in zone vicine all’abitato e far rispettare anche ai fotografi e alle agenzie escursionistiche, il divieto di utilizzare esche olfative per attirare i plantigradi;
  • Mancato rispetto della buona pratica di tenere i cani al gunzaglio durante le escursioni e diffondere l’uso del campanellino sullo zaino per chi fa escursioni in solitaria, sanzionando chi non rispetta i divieti già vigenti;
  • Utilizzo di strategie di comunicazione basate sulla paura, per convincere la popolazione di essere in pericolo a causa dei predatori e assenza di comunicazione comparativa, per relativizzare la paura verso i grandi carnivori.

La convivenza con gli animali selvatici è una necessità per l’uomo

Occorre, inoltre, fare comunicazione positiva nei confronti delle persone, evitando di criminalizzare tutti gli abitanti del Trentino. Ci sono persone che vogliono vivere in una provincia attenta alla conservazione dell’ambiente e alla convivenza con gli animali. Accusare tutti i trentini di essere dei mostri non agevola certamente il rapporto, che spesso viene visto come il comportamento ostile di un cittadino, mai entrato in un bosco. Per essere credibili, da qui nasce l’attenzione e la propensione all’ascolto, occorre esporre idee che siano più articolate e complesse degli slogan.

Per questo parlare per slogan non solo è inutile, ma risulta controproducente. Tutti noi siamo portati a sentire con attenzione solo le opinioni esposte da persone che le argomentano, senza semplificare tutto e senza ridurre il rapporto uomo/orso a un cartoon. La convivenza impone delle regole e delle limitazioni, che in fondo non sono molto diverse nemmeno nei rapporti umani. La nostra vita è scandita da regole e divieti, nati per agevolare la convivenza. Dai semafori alle isole pedonali, dai limiti di velocità alla raccolta differenziata per evitare conflitti le società impongono regole. Anche per la convivenza con gli animali selvatici servono ragionamenti e regole.

L’incidente occorso a Andrea Papi è stato terribile per tutti, un episodio che avremmo voluto che non accadesse mai. Ma partire da un incidente per chiedere l’abbattimento degli orsi è un errore frutto di una valutazione grossolana. Che può essere comprensibile per i suoi famigliari, che risulta poco realistica, se valutiamo quali siano le cause di morte per incidente anche solo in Trentino. Se passasse questo ragionamento bisognerebbe chiudere strade e autostrade, vietando piste da sci e escursioni in montagna.

La montagna uccide eppure questa sfida è considerata accettabile

Ogni giorno ognuno corre un pericolo, che si materializza solo quando il danno avviene. Ma che non cambia le nostre vite, considerando che nel solo 2022 ci sono state ben 504 vittime solo in montagna (dati del Corpo nazionale Soccorso Alpino e Speleologico). Siamo così sicuri che tutto il problema dei residenti in qualsiasi lembo del paese siano davvero gli animali selvatici? Quali sono le ragioni che portano a minimizzare i danni e le morti causate dall’Ilva di Taranto, solo per fare un esempio, ma a enfatizzare il rischio orsi?

Eppure i trentini dovrebbero temere più la strage compiuta ogni anno dai pesticidi, con nove milioni di morti premature ogni anno nel mondo, che non gli orsi. Per questo è importante fare divulgazione e informazione.

Gli effetti dei pesticidi sulla salute umana. Nove milioni di morti premature ogni anno, circa 385 milioni di casi di avvelenamento acuto non intenzionale da pesticidi in tutto il mondo e circa 11.000 decessi. Questi i numeri di una pandemia nascosta generata per la massimizzazione dei profitti dell’industria dell’agricoltura intensiva. Lavoratori agricoli, donne in gravidanza e bambini sono i soggetti più a rischio di esposizione ai pesticidi sia in maniera acuta, sia cronica con effetti a breve e a lungo termine. I bambini sono particolarmente vulnerabili all’esposizione ai pesticidi a causa della loro fisiologia, del comportamento e dell’esposizione prenatale. Sui feti e neonati la tossicità dei pesticidi risulta amplificata rispetto agli adulti.

Tratto da Repubblica – La pandemia silenziosa dei pesticidi

La difficile convivenza con gli orsi in Trentino è come la punta dell’iceberg

difficile convivenza orsi Trentino

La difficile convivenza con gli orsi in Trentino è come la punta dell’iceberg, che rivela una parte del problema, nascondendo la volontà di dominare la natura. Per meglio comprendere la questione bisogna sgombrare il piano della comunicazione dalla narrazione spesso troppo emotiva, viziata da alcuni falsi miti. Un lungo elenco di affermazioni che si può sintetizzare nell’affermazione, priva di senso, relativa all’eccessivo numero di orsi, ma anche di lupi. Come se l’enunciazione di questo concetto potesse dimostrare la volontà di convivere con i grandi carnivori, purché il loro numero non sia superiore a X. E sotto X si nasconde l’intero iceberg.

I problemi di convivenza non sono dati dai numeri, ma dai comportamenti e far credere il contrario è come nascondere il problema. Se in Trentino ci fosse una popolazione di 50 orsi qualcuno si sentirebbe di garantire che non ci sarebbe la possibilità di incidenti con gli umani? Ma se anche i lupi fossero la metà qualche scienziato potrebbe affermare che sparirebbero le predazioni sugli animali domestici? La risposta è evidentemente negativa, perchè non è una questione di risorse, sovrabbondanti in natura per entrambe le specie, ma di gestione, di regole, di volontà. Eliminare uno, due, dieci orsi soltanto perché questo tranquillizzerebbe la comunità non è la chiave di volta per risolvere il problema.

Continuando a coltivare il falso mito che sia la gestione umana a creare i presupposti della convivenza, si sottrae al discorso la responsabilità dei nostri comportamenti. Si altera il ragionamento spostando sul numero e sulla densità, il problema, ma questa è una scorciatoia per saltare alla conclusione di un ragionamento complesso. Che deve includere la nostra presenza sul territorio, il comportamento un po’ arrogante che ci porta a credere, fin da piccoli, che l’uomo sia il titolare di ogni diritto. Capace di piegare la natura ai suoi bisogni, unico dominatore di un mondo asservito ai nostri bisogni.

La difficile convivenza con gli orsi in Trentino e con i lupi nell’intero stivale rivela la nostra incapacità di creare equilibrio

Molti studiosi cercano di far comprendere il concetto, peraltro non così difficile, che la vita sul pianeta sia fatta di relazioni e di interazioni. Un concetto dal quale non possiamo sottrarci, nemmeno usando tutta la demagogia di questo mondo. Però la polarizzazione del conflitto spesso serve proprio a chi questo ragionamento non lo vuole proprio sentire. Aiutando i politici a assumere il ruolo di paladini di un equilibrio che quasi sempre non hanno idea di come ricreare. Il punto, infatti, non è la gestione ma la divisione, il rispetto degli ambienti, la comprensione del fatto che una parte del territorio appartiene al mondo naturale.

Il punto ora pare la divisione fra quanti vogliono abbattere o imprigionare gli orsi e quanti sostengono che non devono essere toccati. Che descritta così ricorda gli scontri fra tifoserie. Ma non bisogna cadere in questo tranello, che permette di liquidare il problema classificandolo come scelta irrazionalmente emotiva. La chiave di ogni ragionamento sta nel fatto che, tranne l’uomo, gli animali si trovano in equilibrio con l’ambiente che li ospita. Senza questo equilibrio tutto è perduto, sul medio periodo e noi siamo parte di quel tutto.

Certo ci sono le esigenze produttive, esistono le ragioni economiche ma esiste come interesse umano prevalente il poter vivere sul pianeta. Affrontando il problema in modo concreto, urgente e certamente con un grosso prezzo da pagare, non hai predatori, non agli animali ma al ciclo della vita e all’equilibrio. Per questo da tempo il grido d’allarme degli scienziati afferma, inascoltato, che sia necessario proteggere integralmente un terzo di terre emerse e oceani.

Proteggere un terzo di terre emerse e oceani è una necessità, non certamente un capriccio

Guardate con attenzione questo video, non è prodotto da un’associaziuone ambientalista ma dalle Nazioni Unite. Non è un capriccio di pochi, ma è una necessità oramai diventata innegabile.

Abbiamo bisogno di lasciare che almeno un terzo del pianeta sia considerato anbiente naturale intangibile e non possiamo pensare di proteggere il territorio peggiore. Occorre capire che dobbiamo ripiegare, riconsiderare e pensare in modo diverso: non sono orsi e lupi a casa nostra ma siamo noi che abbiamo invaso i loro territori. Un concetto che noi uomini facciamo fatica ad accettare anche quando si tratta dei diritti dei nostri simili. I risultati di questo potere egoistico e straripante è sotto gli occhi di tutti. Pochi però vogliono capire ragioni e cause, ma se scavassero non troverebbero equità e pace, ma denaro e potere.

Per questo, anche per questo, diventa urgente comprendere, analizzare e cercare di capire. Non fermandosi ai titoli ma cercando i contenuti, provando a capire anche quello che non ci piace, come la gravità e l’urgenza di cambiare modelli di vita. Il problema non è l’orso che sbrana un cinghiale o un tenero capriolo, il problema siamo noi che sbraniamo il pianeta e i nostri simili. Serve sottrarre, non aggiungere: meno allevamenti, meno energie fossili, meno arroganza, meno pregiudizi. L’unico ingrediente da aggiungere senza limiti è il rispetto.

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