
Guerra, agricoltura, allevamenti e ambiente: tutti gli ingredienti di una miscela esplosiva pronta a detonare sull’intera umanità. I conflitti non sono soltanto crudeli e disumani, ma sono capaci di innescare reazioni a catena difficilmente prevedibili. I danni che deriveranno da questo conflitto europeo sono ancora incerti, anche se gli scenari stanno delineando che nulla sarà più come prima. L’Europa dovrà rivedere politiche economiche, energetiche e agricole e questo andrà a incidere in modo pesante sull’economia dei cittadini e sulle misure per contrastare il cambiamento climatico.
Dopo le prime scene apocalittiche di una guerra che si pensava non dovesse accadere, si è subito capito che questi missili avrebbero cambiato per sempre le scelte e i mercati. Mettendo a nudo che le nostre politiche, ma non solo le nostre, basate sulla certezza che non ci sarebbe mai stato un conflitto ai nostri confini. Da decenni l’Europa non è più autonoma né sotto il profilo alimentare, né sotto quello energetico. Senza grano e mais proveniente dall’Ucraina non abbiamo, ad esempio, risorse sufficienti per gli uomini e per gli animali. E senza il gas russo rischiamo di dover tornare all’uso del carbone. Un danno sotto il profilo ambientale di non poco conto, considerando che questa situazione non riguarderà solo l’Italia.
In questo momento la PAC (politica agricola comunitaria) ha infatti deciso di sbloccare a livello europeo 4 milioni di ettari di terreni agricoli che erano lasciati a riposo. Quindi campi non sottoposti a coltivazione per evitare eccessi nella produzione. Questa scelta aveva portato a lasciare incolti nel nostro paese circa 200.000 ettari, che ora saranno nuovamente utilizzati per produrre grano, mais, girasoli e quant’altro. Accrescendo così l’estensione dei terreni inevitabilmente sottratti alla naturalizzazione. Per coltivare cereali in buona parte destinati all’alimentazione degli animali da allevamento.
Guerra, agricoltura, allevamenti e ambiente: quattro parole che giocate sullo stesso tavolo daranno vita a un cambiamento delle priorità
Per dirla con le parole di Papa Francesco i politici sono quelli che decidono, i poveri sono quelli che muoiono, in silenzio come hanno quasi sempre fatto. Le crisi economiche e ambientali sono sempre pagate prima di tutto dai poveri, che hanno minori mezzi per affrontarne le conseguenze. Passando dall’essere disperati, senza casa né futuro, a diventare corpi senza possibilità di avere nutrimento. Come accadrà presto in Africa, dove il grano dell’Ucraina è una risorsa irrinunciabile, proprio in un continente stremato da siccità e devastato da altre guerre. Eppure nessuno ha alzato una voce autorevole per dire che le proteine vanno usate per sfamare le persone, non per l’alimentazione degli animali negli allevamenti intensivi.
Una realtà, questa guerra, che rischia già da sola di creare fenomeni migratori senza precedenti, capaci di strangolare il vecchio mondo e non soltanto quello. Se al rischio alimentare, già agitato a gran voce dalle Nazioni Unite, si aggiungerà un pesante rallentamento nella lotta ai cambiamenti climatici si sarà dato vita alla tempesta perfetta. Ogni centimetro di innalzamento di mari e oceani sarà causa di un effetto domino gravissimo. Le due pressioni unite daranno luogo a grandissime migrazioni, al cui confronto l’attuale dramma dei profughi ucraini costituirà, con i suoi quattro milioni di sfollati, solo un antipasto.
Questa guerra insensata e vergognosa, come tutte le guerre e più di altre, ci ha messo di fronte alla fragilità di un sistema economico basato su scelte errate. Decisioni solo apparentemente solide e ragionevoli. Basate sul profitto e non sulla lungimiranza, tant’è che solo ora che si vorrebbero cambiare ci si accorge dei tempi necessari per farlo. In momenti eccezionali come questi ci vorrebbero, a livello planetario, uomini adeguati allo scenario. Invece ci troviamo guidati da mestieranti, dei quali forse non ci si fida ma che per essere cambiati hanno bisogno di tempi. Un paradosso, forse, ma tanto reale da non far nemmeno sorridere.
Cambiare alimentazione è una scelta: se vogliamo ridurre emissioni, usare meglio le proteine bisogna chiudere gli allevamenti intensivi
Decisione non semplice, ma sempre più inevitabile, non per accontentare gli animalisti e gli ecologisti ma per poter continuare a dare un senso alla parola futuro. Senza poter pensare nemmeno per un attimo di ritardare decisioni che vadano nella giusta direzione per il contrasto ai cambiamenti climatici. Dobbiamo abolire le guerre, come dice Francesco, per evitare l’autodistruzione, ma occorre anche che sia garantita l’equità climatica, la suddivisione delle ricchezze, l’accesso all’acqua pulita. Condizioni senza le quali la povertà dilagherà come un ciclone, terremotando la fragile architettura sociale.
Ora è il tempo in cui occorre stare attenti a non restare affascinati dalle sirene di certa informazione. Che racconta dell’importanza degli allevamenti per produrre concimi (quelli chimici hanno avuto un’impennata dei costi) o biogas. Produzioni che sono sempre state giudicate residuali, ma che ora vengono agitate come il rimedio. La scelta di proseguire su questa strada si rivelerebbe in breve pericolosa e inutile. Ora è il tempo di fare scelte coraggiose, a tutto campo, che siano diverse da quella globalizzazione che in pochi decenni sta distruggendo il pianeta.