Scrive l’ufficio stampa del PNALM che l’episodio di bracconaggio è avvenuto in “una località nota per essere praticamente lo spartiacque tra la Valle del Giovenco, la Valle Subeacquana e la Valle Peligna. Un corridoio naturale tra il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco Regionale del Sirente – Velino. Questo aspetto accresce l’importanza dell’area, esterna ai confini delle due aree protette ma in parte inclusa nell’area contigua del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; un elemento, questo, molto importante dal momento che assicura il diritto agli allevatori della zona all’indennizzo dei danni provocati da lupo e orso”.
L’uso del veleno è vietato da molto tempo e gli accertamenti, condotti dall’Istituto Zooprofilattico di Abruzzo e Molise, per stabilire il tipo di tossico sono ancora in corso. A giudicare dalle immagini sembra però che sia stata usata la micidiale stricnina, un pericoloso veleno usato nel passato, prima dell’avvento della normativa sulla caccia del 1977 (legge 968/77), per l’eliminazione degli animali ritenuti nocivi. Una categoria, quest’ultima, che ricomprendeva tutti i predatori: dalle volpi ai lupi, dalle faine agli orsi. Sino a quando la fauna è diventata (tutta) un patrimonio indisponibile dello Stato, qualificazione che non l’ha però salvata dagli atti di bracconaggio.
Strage con il veleno in Abruzzo: i lupi sono la specie target e gli altri animali sono i danni collaterali
I bocconi avvelenati, nonostante gli indennizzi, erano sicuramente destinati ai lupi ritenuti responsabili di predare gli animali al pascolo. Ma nella sua perfezione l’evoluzione non ha considerato i gesti criminali di noi sapiens, per cui ha messo in atto strategie sanitarie, grazie agli animali necrofagi, senza considerare la stupidità umana. Per questo sono morti i corvi, che spesso segnalano ai lupi ma anche agli avvoltoi la presenza di animali morti, proprio per ottenere un aiuto nelle azioni di “pulizia” dei cadaveri. I corvi non hanno becchi o denti per aprirli e quindi chiedono l’aiuto di altre specie che questi mezzi li possiedono.
Segnalando la presenza di cadaveri i corvi sanno che arriveranno dei competitori, ma con la saggezza evolutiva hanno imparato che è meglio accontentarsi che volere troppo. Agevolando così l’arrivo di chi, “aprendo” i cadaveri gli metterà a disposizione branbdelli di cibo, che in questo caso erano però intrisi di morte. Così un unico boccone avvelenato è in grado di ammazzare più animali, proprio come avviene con i rapaci che predano i topi mezzi moribondi a causa dei topicidi. Il veleno, sempre il veleno, compie danni enormi alla fauna, eppure non si riesce ancora a contrastare in modo efficace il suo illecito e indiscriminato utilizzo.
Se il bracconaggio aumenta la ragione non è certo nella crescita numerica dei predatori ma in quella del senso di impunità
Mai come in questo periodo, nella storia repubblicana, un governo è stato così vicino al mondo venatorio e a quello degli allevatori: due realtà che hanno quantomeno una certa contiguità con il bracconaggio. I cacciatori per una mentalità arcaica e scientificamente marcia che fa identificare ogni predatore come un nemico, i secondi perchè, dopo essersi abituati per decenni all’assenza del lupo, fanno fatica a accettare che il superpredatore sia tornato. E anche in questo caso i numeri c’entrano poco perché, nonostante le dichiarazioni governative, i lupi non sono troppi e, comunque, fossero anche solo dieci prederebbero lo stesso gli animali lasciati incustoditi.
In verità non se ne può più di sentire stupidaggini travestite da concetto scientifico e chi sostiene che i lupi sono troppi dovrebbe tornare a scuola. A differenza degli uomini infatti, che ultimamente non paiono essere benvenuti nemmeno loro, gli animali presenti in natura hanno numeri in rapporto con la “portanza ambientale” del territorio. Tutte le altre considerazioni sono basate su un’ignoranza abissale, usata in modo strumentale per ingenerare paura nelle persone e per dare ai bracconieri una patente di impunità, che la legge non garantisce ma la politica vorrebbe. Per tornaconto elettorale, verso categorie da sempre molto riconoscenti, per completa assenza di conoscenze in materia anche da chi guida ministeri importanti, come l’ambiente.
Il bracconaggio rialza la testa quando la politica non difende l’ambiente
In questo preciso momento il bracconaggio rialza la testa proprio perché sente che il vento è cambiato. Aumenta la percezione che uccidere i predatori sia un reato che verrà sempre meno perseguito, considerando che sono proprio i rappresentanti dello Stato e delle Regioni a sponsorizzare il ricorso agli abbattimenti. I predatori rappresentano un fastidio che turba le attività di allevatori e cacciatori, senza scusanti perché per certa politica gli equilibri naturali non sono un valore. Se continuerà così le paure si tradurranno in azioni, la possibile impunità in certezze e i danni conseguenti a questa politica scellerata in tragedie.
Purtroppo non è più tempo per poter restare neutrali, perchè i danni di questa visione del mondo li pagheranno tutti.
Nutrie e istrici: identificati i pericolosi responsabili delle inondazioni, secondo l’ultima barzelletta nostrana, assecondata anche da alcuni presunti tecnici. Gli animali sarebbero colpevoli di scavare le loro tane negli argini dei fiuni, causandone lo smottamento sotto la pressione dell’acqua. Chi avesse pensato che dietro i disastri che periodicamente devastano il nostro paese ci fossero motivazioni dovute all’incuria nella gestione del territorio e i cambiamenti climatici quindi sbaglia? Ancora una volta i veri responsabili sono gli animali e non gli esseri umani?
Quindi la frana che quindici anni fa ha devastato le aree del comprensorio di Sarno saranno state causate dalle tane scavate dai selvatici sulle pendici delle colline. Lo stesso si potrebbe ipotizzare per la rovinosa frana che pochi mesi fa ha colpito l’isola di Ischia per non parlare dei numerosi eventi calamitosi, costati la vita a decine di persone? Decisamente no, i responsabili di questi disastri non sono gli animali ma l’incuria e il fatto che divoriamo territorio senza preoccuparci delle conseguenze. Costruendo sugli argini dei fiumi, canalizzando, asfaltando, disboscando e eliminando la vegetazione di ripa, che con le radici consolida gli argini.
Siamo noi umani i responsabili di morti e devastazioni, di frane e dissesti e dei cambiamenti climatici indotti dall’Antropocene. Noi sempre sordi ai richiami che il territorio ci lancia, ma sempre pronti a scaricare responsabilità e colpe su altri, che in genere non possono obiettare. Colpevoli di un ritardo epocale nel mettere in sicurezza i territori, contando più sul valore effimero della speranza che nulla accada rispetto alla certezza di aver ben operato per evitarlo.
Non sono nutrie e istrici i pericolosi responsabili del dissesto idrogeologico italiano, ma decenni di incuria e sfruttamento intensivo
Dati che devono far riflettere. Cercando di non nascondere colpe e responsabilità poltiche ma, soprattutto, agendo in modo rapido e concreto. Per interrompere questa catena annunciata di disastri. Per non distruggere ulteriormente il nostro territorio, già duramente provato. Smettendo di cementificare e asfaltare ovunque, privilegiando il recupero al consumo di suolo.
Sembra che in questi tempi complessi, caratterizzati da grandi mutamenti climatici, solo pochi abbiano compreso l’importanza di guardare il pianeta come un unico ambiente. Dove uomini e animali devono poter convivere per poter mantenere gli equilibri che hanno consentito alla nostra specie di scendere dagli alberi, non certo per distruggere tutto. La progressiva scomparsa della cultura contadina ci ha trasferito in un’epoca arrogante, senza rispetto né attenzione verso l’equilibrio.
Orsi del Trentino, deportazione di massa possibile secondo il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto, secondo quanto comunicato dopo una riunione congiunta con PAT e ISPRA. Un’ipotesi quella della deportazione che si potrebbe definire fantasiosa, visto che non si capisce come, ma soprattutto dove, potrebbero essere traslocati gli orsi in esubero. Passa quindi un concetto di gestione del progetto basato sui numeri dei plantigradi e non sulla pacifica convivenza.
Orsi del Trentino a rischio di deportazione oppure utili strumenti per creare disinformazione?
Escludendo che possa essere la sola incompetenza a gestire il flusso di informazioni che stanno circolando in questi giorni sul tema orsi, speculando su una disgrazia probabilmente evitabile, cosa resta? La volontà di utilizzare un momento di tensione, creato dall’incidente, per potersi sottrarre alle responsabilità politiche di un fallimento, che non è certo imputabile agli orsi. Sono anni che la giunta guidata da Maurizio Fugatti non muove un dito per agevolare la convivenza pacifica fra uomini e orsi. Stimolando nei trentini la diffidenza verso gli orsi, senza creare le condizioni per vivere il territorio in sicurezza, comprendendo l’importanza dell’orso.
Il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ha incontrato questa mattina il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti. (…) Il presidente Fugatti ha evidenziato al Ministro la necessità di portare il progetto di reintroduzione dell’orso in Trentino, risalente al 1999, al suo obiettivo originario. Il ministro ha confermato la piena collaborazione del Ministero dell’Ambiente e ha raccomandato al presidente Fugatti la massima condivisione con Ispra delle procedure che porteranno all’individuazione dei soggetti ritenuti potenzialmente pericolosi per l’uomo, già responsabili di atteggiamenti aggressivi, nei confronti dei quali il presidente della Provincia ha la facoltà di adottare misure di abbattimento.
Tratto dal comunicato stampa della Provincia Autonoma di Trento
Dalla riunione emergono le due linee principali: abbattimenti e trasloco degli orsi in esubero verso una destinazione tanto sconosciuta quanto di improbabile realizzazione. Il fatto sorprendente, seppur non nuovo, è che il ministero dell’ambiente sia schierato inopinatamente dalla parte dell’amministrazione trentina. Andando contro a ogni logica di tutela ambientale che vede nell’insegnamento alla convivenza il principale strumento di protezione. Ministro che quando parla di ipotesi come quella di traslocare gli orsi dovrebbe indicare, per serietà politica, anche dove pensa di poterli trasferire. La storia di questi orsi è iniziata con una favola per svoltare in tragedia e ora qualcuno sembra volerla far finire in farsa.
Per un pugno di orsi: una pessima trama quella sulla gestione trentina dei plantigradi reintrodotti alla fine degli anni ’90, grazie a un LIFE finanziato dalla Comunità Europea. Con la tragica morte di Andrea Papi, non del tutto chiarita ma certo drammatica nell’esito, si è aggiunto un ulteriore tassello a un mosaico composto con tessere messe a caso, senza armonia, senza aver chiaro il disegno da realizzare. I progetti di reintroduzione vengono dichiarati falliti quando non raggiungono l’obiettivo numerico di incremento della popolazione, ma così non è stato in questo caso.
Per un pugno di orsi: una pessima trama costruita grazie a una sequenza di errori umani
Con la sua irrealizzabile intenzione di usare il nucleo di orsi reintrodotti come partenza per ripopolare le Alpi orientali, si è posata la prima pietra del fallimento. Posata in terra trentina, su un reticolo di meleti, malghe, vigneti, stazioni sciistiche, strutture turistiche i infrastrutture senza muovere un solo pelo per stimolare la convivenza con il grande carnivoro. Un progetto di questo genere, sicuramente bello e ambizioso, può funzionare soltanto se è sostenuto dalla comunità che lo ospita. E così non è stato, anche grazie a comportamenti scellerati delle amministrazioni, di ogni colore politico, che hanno sempre sbagliato tutto.
Per nascondere incapacità e fallimenti nella gestione di un’attività di questa portata la politica ha deciso che bisognava dichiarare guerra all’orso. Iniziando a parlare di abbattimenti, di pericoli per la comunità, di necessità di ridurre il numero dei predatori. Esattamente il comportamento opposto a quello che avrebbe dovuto tenere un amministratore attento e responsabile.Ancora una volta un uso da manuale della teoria del nemico alle porte, dove è la paura che garantisce il consenso popolare e non la buona amministrazione.
Ma chi sono i responsabili dei problemi di convivenza sorti con l’incremento del numero degli orsi? Gli orsi, del tutto incolpevoli di scelte adottate senza un pensiero complessivo, oppure gli uomini che non hanno mai formato i trentini per spiegar loro come comportarsi e l’importanza del progetto? La politica ha reintrodotto gli orsi e non ha insegnato alla gente di come dover conviverci, di come avrebbe potuto evitare i pericoli. Se ci fosse stata maggiore informazione forse Andrea Papi sarebbe tornato a casa dopo la corsa, se solo avesse legato prima di salire in montagna un campanello alla caviglia.
Criminalizzare e abbattere gli orsi non risolve i problemi della convivenza con i predatori
In Italia esistono due popolazioni di orsi: quella trentina e quella abruzzese, con la sottospecie marsicana. Se è vero che è diverso il territorio e maggiore può essere lo spazio é altrettanto vero, e non è un caso, che tutti gli incidenti importanti fra uomini e orsi sono accaduti in Trentino. Una provincia che non era più abituata a dover convivere con il plantigrado e che non è stata formata su come ci si debba comportare. Una responsabilità oggettiva che forse potrebbe avere anche una rilevanza penale, dal momento che vengono omesse quelle prescrizioni/informazioni atte a garantire l’incolumità pubblica e non vengono apposti cartelli di pericolo.
In Abruzzo, durante la stagione riproduttiva, giusto per capire le differenze, vi sono aree interdette al transito per garantire sicurezza di orsi e persone. Una cautela indispensabile per prevenire incidenti. Con una popolazione e i turisti che vengono costantemente informati sulla presenza di orsi e lupi e sui corretti comportamenti da tenere. In Trentino, invece, non si fa prevenzione e si cerca di risolvere il problema abbattendo o incarcerando gli orsi, senza fare nulla di veramente risolutivo. Arrivando a parlare di dimezzare la popolazione dei plantigradi, come se il pericolo dipendesse dai numeri soltanto e non dai nostri comportamenti.
I trentini hanno molti problemi di cui preoccuparsi e in cima certo non ci sono gli orsi
In Italia ogni anno più di una decina di persone muore per le punture dei calabroni e sembra che siano quasi cinque milioni gli italiani che hanno avuto un conflitto, spesso doloroso, con gli imenotteri. Ma nessuno parla di fare una guerra che porti al loro sterminio e neanche al loro contenimento. Sempre a proposito di pericoli vale la pena di leggere questo articolo pubblicato dall’Adige dal titolo Pesticidi, abbiamo un problema: «In Val di Non aumento di tumori, autismo e Parkinson», la ricerca shock dei Medici per l’Ambiente. Da studi ufficiali si può rilevare come il problema principale per la sicurezza questa volta non siano gli orsi, tanto utili a alimentare invece come capri espiatori per ogni male, Animali utilissimi quindi, ma per riuscire a nascondere lo sporco sotto il tappeto.
Resta comunque un grande dispiacere per quanto accaduto a Andrea Papi e alla disperazione di quanti gli hanno voluto bene. Non ci sono parole per lenire un dolore così grande, in particolare quando la morte ruba ai suoi affetti un ragazzo tanto giovane, con tutta una vita di fronte a lui.
Trasporto animali vivi, una sofferenza inutile inflitta solo per profitto che sarebbe facilmente evitabile consentendo il solo trasporto delle carni. Una scelta che contribuirebbe a ridurre i maltrattamenti inflitti agli animali allevati per scopi alimentari, eliminando l’ultimo carico di maltrattamenti costituito dal trasporto. Con animali costretti a viaggiare, stipati su camion, vagoni ferroviari o navi, per essere trasferiti per finire all’ingrasso o al macello.
Protagonista dell’ennesima impuntatura dell’animalsovranismo è stata l’Onorevole Maria Teresa Bellucci, Vice ministra del lavoro e delle Politiche sociali. Intervenuta in aula in vece del ministro Lollobrigida, per rispondere a un’interrogazione dell’onorevole Susanna Cherchi, del M5S, che chiedeva un ripensamento sulle scelte annunciate a favore del trasporto di animali vivi. Che vanno in direzione opposta a quella auspicata dall’Europa per aumentare le tutele, raccontando per l’ennesima volta come l’Italia sia più avanti di altri paesi europei, in una narrazione trita e ritrita quanto falsa.
Il trasporto degli animali vivi è una vergogna, proprio per essere giustificato solo dal profitto, senza alcuna altra motivazione sostenibile
L’idea è che spesso questo governo tratti temi che non conosce a sufficienza, affermando come tutto sia sotto controllo in un settore dove i controlli sono davvero pochi. Scarsi negli allevamenti dovee spesso sono anche poco efficaci, e quasi assenti sulle strade dove il controllo dei mezzi di trasporto con animali viene considerata un’attività complessa e fastidiosa. Messa in atto più per poter fornire dati per le statistiche che non per arginare comportamrenti inaccettabili. Nonostante la buona volontà della Polizia Stradale.
Il vice ministro Bellucci, nel rispondere all’interrogazione, si è vantata che l’Italia da tempo vieta il trasporto di animali vivi quando le temperature superano i 30 C°. Senza dire però quanti sono stati i controlli effettuati nei giorni di fermo e quanti in proprzione rispetto ai movimenti registrati. Un dato non difficile da reperire stante che ogni trasferimento di animali vivi deve essere aiutorizzato con un modello rilasciato dal Servizio Veterinario pubblico. Omettendo anche di dire che quando le temperature esterne superano i 25 C° all’interno dei camion in caso di rallentamenti o soste, possono raggiungere senza difficoltà livelli molto, molto più alti, trasformando i camion in un inferno.
Questo video è tratto dal canale You Tube di Animal Equality ed è interessante ascoltare le dichiarazioni rese all’aula. Raccontando quello che prevede la norma e le diverse forme di attuazione dei controlli, ma senza entrare nel dettaglio delll’effettivo rispetto della normativa. Dimenticandosi parlare di benessere rappresenta l’ennesima alterazione semantica, cercando di addomesticare il significato reale di benessere animale mentre sarebbe più corretto ed opportuno parlare di riduzione del maltrattamento.
Sovranità alimentare e carne coltivata vietata per legge: interessi di pochi coltivati dalla politica a scapito di ambiente e diritti degli animali. Una battaglia economica, basata sulla volontà di avere consenso da categorie sempre molto riconoscenti nei confronti di chi li difende. Raccontando all’opinione pubblica che questa scelta radicale è stata presa per tutelare la salute dei consumatori, alterando dolosamente concetti e procedimenti. Senza contare il danno causato all’ambiente e agli animali, con pesanti ricadute sul futuro di un paese con sempre meno risorse idriche.
La decisione del governo di vietare determinati cibi parte da un’alterazione semantica: la carne coltivata non è un cibo sintetico ma è il frutto di una moltiplicazione cellulare. Che anziché avvenire in un essere vivente viene replicata in una fabbrica di proteine animali, senza sofferenza, crudeltà e morte. La definizione di “cibo sintetico” serve solo a cercare di conquistare consenso su un provvedimento assurdo, alterando la percezione nel pubblico meno informato. Sfruttando pregiudizi e disinformazione, due concetti molto cari agli allevatori e non soltanto e facendo leva sull’ipotetca tutela della salute.
Il ministro della sovranità alimentare, un termine orrendo che andrebbe sostituito con quello di equità alimentare, Francesco Lollobrigida si vanta di essere stato il primo in Europa a far passare questo divieto. Deciso nell’interesse della salute degli italiani, che però possono essere imbottiti di antibiotici usati negli allevamenti e dei pesticidi impiegati in agricoltura. Ma non devono consumare cellule animali coltivate in ambienti sterili, privi di contaminanti. Un’assurdità solo a sentirne parlare, una falsità rassicurante prodotta alterando la realtà.
Sovranità alimentare e carne coltivata: usare la paura suscitata dal cibo sintetico per ottenere consenso politico
Il ministro Lollobrigida, non pago di aver addomesticato malamente la semantica, si lancia anche nella difesa delle nostre tradizioni gastronomiche. Un patrimonio da salvaguardare a ogni costo. Ovviamente anche pagando il prezzo della sofferenza animale, ammesso che esista un patrimonio culturale che possa rimanere immutato nel tempo. Senza ricevere contaminazioni, influssi e innovazioni. Davvero è credibile che l’avvento della carne coltivata possa far estinguere la dieta mediterranea? Come se questo, poi, rendesse più importante la costata alla fiorentina del fatto di avere un futuro sul pianeta!
La carne coltivata, peraltro, non è ancora un prodotto disponibile in modo massivo e ci vorranno, purtroppo, anni per avere un’industrializzazione dei procedimenti che consenta di abbassare i costi. L’Italia quindi è davvero così avanti da esssere capace di vietare persino quello che ancora non è sul mercato. Senza nemmeno aspettare le decisioni degli enti regolatori europei, con un comportamento che non ha precedenti. Si può quindi tranquillamente affermare, senza tema di smentita, che fra le priorità nazionali il divieto di commercializzazione della carne sintetica sia un colpo di teatro!
Momento storico difficile, se ciò che è naturale, come il lupo, da fastidio e quello che è inquina e deforesta viene difeso
Oramai tutti sanno cosa sia l’Antropocene, quest’era geologica nella quale viviamo in cui l’uomo, in poco più di mezzo secolo è riuscito con le sue innovative tradizioni a smontare l’equilibrio planetario. Alterando il clima, generando una diseguaglianza planetaria inaccettabile, erodendo le risorse dei più deboli, distruggendo l’ambiente, Dando luogo alla più grande e devastante bomba ecologica, che quando deflagrerà per intero darà vita a fenomeni epocali, come carestie, inondazioni di terre emerse e migrazioni mai viste nella storia dell’uomo. In questo contesto decisamente non roseo, qualcuno può preoccuparsi davvero per la carne coltivata?
La salute degli italiani è in pericolo per la carne coltivata o per le farine di insetti, peraltro abbondantemente sdoganate dall’Europa, oppure altri sono i temi che aggrediscono il futuro? Continuare a stimolare la paura parlando di invasioni, di attacco alle tradizioni non risolverà i problemi, non aiuterà a percorrere la strada obbligata verso il cambiamento. Un percorso che passa proprio da un cambiamento delle nostre abitudini alimentari, che devono vedere decrescere fino a scomparire le proteine degli allevamenti.
Per questo è importante fare il possibile per aumentare la consapevolezza, facendo informazione per non farci anestetizzare da una narrazione falsa. Non fermiamoci ai titoli, non diamo per scontati contenuti, cerchiamo di essere attivi per contrastare quest’ombra buia che sembra ci stia sopravanzando.
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