La caccia è un’attività messa in atto da una minoranza di persone che oltre a creare problemi ambientali e di sofferenza per gli animali, riduce drasticamente la fruizione del territorio da parte della stragrande parte di popolazione che vorrebbe poter camminare liberamente in campagna, senza dover sopportare i rischi derivanti dall’attività venatoria.Purtroppo per un retaggio dell’epoca fascista l’articolo 842 del Codice Civile consente a tutte le persone munite di licenza di caccia di poter mettere in atto comportamenti che, se praticati da “non cacciatori”, potrebbero portare ad una denuncia per violazione della proprietà privata, ma così non è per i cacciatori che possono scorrere in armi nelle campagne e in montagna, con il solo limite di non farlo nelle aree che sono, per vari motivi, interdette alla caccia. Questo tipo di autorizzazione “sui generis” rende di fatto i cacciatori individui che per un tempo determinato, la stagione venatoria, sono autorizzati per legge ad essere posti su un gradino più in alto dei normali cittadini, a fronte del pagamento di una concessione che li autorizza nei fatti ad essere arroganti, ad utilizzare il territorio in modo da inibire, limitare od azzerare i nostri diritti di liberi fruitori della natura.
La fauna italiana è per legge tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale, ma dove finisce la tutela delle comunità se poi una minoranza viene autorizzata a mettere in atto quello che la maggioranza dei componenti della comunità non vorrebbe? Forse sarebbe quantomeno opportuno ribaltare il concetto, anche se sarebbe auspicabile arrivare a un divieto generalizzato, prevedendo di poter esercitare l’attività venatoria solo dove è permesso, generalizzando il concetto di divieto e creando zone limitate in cui sia possibile praticare la caccia. Questo non solo permetterebbe a tutti di poter usufruire liberamente del territorio senza rischiare di beccarsi un pallettone o di sentirsi fischiare sopra la testa una rosata di pallini, ma anche alla fauna di non essere costantemente messa a dura prova dai cacciatori, molti dei quali sono inclini a non rispettare a alcuna regola, sparando a tutto quanto si muove.
Secondo l’associazione “Vittime della caccia” nella scorsa stagione venatoria ci sono stati 69 feriti e 13 morti nell’ambito dell’esercizio della caccia e ben 80 feriti e 25 morti in attività dove era comunque presente un’arma da caccia. Ben 12 morti erano persone estranee all’attività venatoria, una piccola strage silenziosa che dovrebbe far riflettere il parlamento sull’opportunità di cambiare una legislazione anacronistica, ma su questo pesa enormemente la potenzialità del mondo venatorio e dei settori a questo collegato, capaci di spostare un’enorme mole di voti elettorali, cosa di cui non è capace il movimento anti caccia. Sarà anche per questo motivo che in Italia ci troviamo con una normativa che punisce i reati più gravi commessi contro il nostro patrimonio faunistico in modo ridicolo, con una contravvenzione oblazionabile che il più delle volte comporta l’estinzione del reato e la permanenza della licenza in mano al cacciabracconiere.

Un rapace in volo già ferito o compromesso dall’attività di bracconaggio, trattandosi di una specie protetta
L’Italia continua a ricevere notifiche di procedure d’infrazione e sanzioni per le modalità con cui il nostro paese gestisce l’attività venatoria, per una presenza eccessiva di deroghe ad attività che non dovrebbero essere consentite, come l’annosa procedura che sanziona la cattura di uccelli da richiamo, recentemente ribadita dall’Europa ed altrettanto recentemente aggirata dal nostro parlamento, privo su questo argomento di qualsiasi pudore. Nulla però effettivamente si sposta perchè il peso del mondo venatorio è talmente grande, organizzato ed importante da vanificare, di fatto, l’attività delle organizzazioni protezionistiche che dovrebbero meglio organizzarsi per poter competere contro una componente tanto agguerrita.
Le campagne da marzo vengono ripopolate di fagiani, lepri e starne che dovrebbero rendere il territorio in grado di sostenere l’impatto della caccia: nella realtà dietro la parola ripopolamenti si nasconde, neanche troppo, la ricca attività di dispersione sul territorio di animali che non si riprodurranno nella stragrande maggioranza dei casi e serviranno solo per poter soddisfare la necessità di animali “pronta caccia”, da mettere a disposizione delle doppiette nostrane. Scarsa gestione del territorio, nessuno studio reale sulle dinamiche di popolazione, contrasto illegale ai predatori, immissione di animali alloctoni ad esclusivo uso venatorio (fagiano, colino della Virginia, minilepre, cinghiale balcanico, chukar) sono quello che caratterizza la caccia, senza dover contare le tonnellate di piombo che ogni hanno i cacciatori scaricano nell’ambiente, inquinando territorio, acqua e falde acquifere (stime parlano di 25.000 tonnellate di piombo disperse ogni stagione venatoria sul nostro territorio), ma questo sembra interessare poco il nostro ministero dell’ambiente.
Nel frattempo la caccia cosiddetta “di selezione” è già aperta in molte regioni italiane e dalla terza domenica di settembre scoppierà di nuovo una piccola guerra, dove meno di un milione di cacciatori in armi terranno in scacco il territorio di 56 milioni di italiani: esattamente la vera essenza di quanto dovrebbe prevedere l’esercizio della democrazia.