Coesistenza impossibile con i lupi: la Svizzera parte con massicci abbattimenti

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Coesistenza impossibile con i lupi: la Svizzera parte con massicci abbattimenti del predatore, che potranno riguardare interi branchi. L’UFAM (Ufficio federale dell’ambiente) ha autorizzato la rimozione totale di ben 12 branchi, come misura preventiva per evitare future predazioni. Una strategia quella Svizzera che vuole massimizzare i risultati, evitando che l’alterazione degli equilibri dei branchi possa far crescere le predazioni. Con una logica distruttiva che può ritenersi efficace, fatto tutto da dimostrare, solo sul piano della difesa degli allevamenti.

Regolazione preventiva dei branchi di lupi: l’UFAM approva la maggior parte delle richieste dei Cantoni

Le decisioni assunte dalla Confederazione Elvetica costituiscono un gran brutto precedente, sia nelle politiche di conservazione del lupo che nella negazione di ogni possibile coesistenza. Una visione antropocentrica che pone le attività umane al centro e il lupo ai margini, quasi non avesse un valore per la regolazione naturale delle popolazioni selvatiche. Disponendo l’abbattimento non solo di interi branchi ma anche di un numero consistente di giovani esemplari.

La coesistenza impossibile con i lupi in Svizzera sarà di esempio per altre nazioni

Calcolando che le stime di consistenza parlano della presenza di 30 branchi di lupi in tutta la Svizzera appare chiara l’invasività del provvedimento. Che prevede la riduzione di di più di un terzo dei branchi, con ulteriore prelievo di giovani esemplari. Contro questo provvedimento sono scese in campo ben 158 organizzazioni di tutela del lupo, appartenenti a 37 paesi, che chiedono al Comitato Permanente della Convenzione di Berna e alla stessa Svizzera di rivedere il provvedimento. Per l’Italia ha firmato anche l’organizzazione “Io non ho paura del lupo“.

Tratto dalla lettera inviata al Comitato Permanente della Convenzione di Berna

Da molto tempo viene detto che l’abbattimento dei lupi non è la strada per evitare le predazioni sugli animali d’allevamento. L’unico metodo efficace è rapresentato dai mezzi di protezione, come i recinti elettrici, e dalla presenza di pastori e cani da guardiania. Gli abbattimenti servono come misura tampone per soddisfare le richieste degli allevatori, pur non essendo suffragate da risultati scientificamente apprezzabili. Scelte gestionali irresponsabili, messe in atto nella direzione opposta rispetto a quella di una coesistenza irrinunciabile.

Uno sterminio di questo genere, se venisse attuato, aprirebbe una via anche in Italia

Sicuramente il governo italiano, il più filovenatorio della storia della Repubblica, non si lascerebbe certo scappare l’occasione di un’attenuazione del livello di protezione del lupo. Con tutte le conseguenze immaginabili in un paese come il nostro dove la gestione faunistica è sempre approssimativa e lasciata in mano ai cacciatori. Con l’attuale ministro Lollobrigida che ha sempre dichiarato, non si capisce in virtù di quali competenze, che lupi e orsi nel nostro paese sono “troppi”. Uno dei concetti meno scientifici sentiti sull’argomento, per giunta detto da chi ha responsabilità di governo e dovrebbe parlare con maggior cautela.

Ora non resta che vedere come e se deciderà di intervenire il segretariato della Convenzione di Berna, che aveva già posto dei veti sul declassamento dello status di protezione del lupo. In un momento in cui l’attenzione di tutta l’Europa continentale dovrebbe essere rivolta verso un piano complessivo di rigenerazione degli equilibri naturali. Che non si potranno mai raggiungere abbattendo i predatori.

Uccisa da una fucilata la lupa Ventura: per gli inquirenti si tratta di legittima difesa

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Foto LIFE WOLFALPS EU

Uccisa da una fucilata la lupa Ventura, ma per gli inquirenti si tratta di un caso di legittima difesa. I fatti risalgono ai primi giorni di ottobre, quando la lupa viene rinvenuta morta. In circostanze che hanno versioni discordanti, secondo quanto appare sui siti di informazione. La cosa che desta più stupore, comunque, non solo soltanto le motivazioni ma anche le tempistiche. Che hanno portato il caso a essere archiviato come un episodio di legittima difesa, a pochissime settimane dai fatti che hanno portato alla morte della lupa.

Senza nulla togliere agli inquirenti e senza entrare in fatti che al momento non si conoscono nei dettagli, certo la velocità di risoluzione di quest’indagine diventerà un caso di scuola. Il fatto sembra essere accaduto nella notte fra il 3 e il 4 di ottobre e, in meno di un mese, il Procuratore di Savona ha chiesto l’archiviazione, letto il rapporto dei Carabinieri Forestali. Richiesta subito approvata da parte del GIP, che ha disposto il non luogo a procedere. Lo sparatore ha dichiarato di aver ucciso la lupa richiamato dalle urla della moglie, che stava portando a passeggio il cane. Ma ha anche dichiarato altre cose che vedremo.

Così, un colpo secco, spezza la vita di Ventura che secondo gli accertamenti aveva posto in essere un atteggiamento predatorio nei confronti del cane. Il cacciatore viene difeso dalle associazioni venatorie, che raccontano, stranamente, che lo sparatore dapprima aveva occultato il cadavere e poi aveva avuto un ripensamento. In questa vicenda sono davvero tanti i tasselli che non risultano essere al loro posto.

Uccisa da una fucilata la lupa Ventura, ma leggendo le cronache la confusione regna sovrana

Se voleste comprendere cosa sia davvero successo e in che arco temporale sia realmente accaduta l’uccisione della lupa sappiate che più cercheretete e meno capirete. Le date si spostano, il tempo si dilata, i fatti sembrano soggetti all’effetto Fata Morgana, creando miraggi. Unica certezza è che Ventura, lupa munita di radiocollare il 9 febbraio 2023 da tecnici del WAC, è stata abbattuta. Insieme a quella che in una manciata di settimane il caso sia stato dichiarato chiuso, con una velocità inusuale per chi conosce le tempistiche giudiziarie dello stivale. Può essere stata davvero legittima difesa? Potrebbe essere, però certo alcuni particolari fanno pensar male.

Le cronache locali hanno riportato una presunta confidenza dell’animale, che non trova alcun riscontro nei dati ottenuti col monitoraggio: sul totale dei dati raccolti (1194 fix), solo il 4% (43 fix) risultano essere in prossimità di aree antropizzate, e si tratta sempre di passaggi in ore notturne o crepuscolari.

Nella zona di Sassello, i tecnici di Regione Liguria stanno monitorando la situazione, per capire se ci sono effettivamente altri lupi che frequentano la zona urbana o che mostrano comportamenti anomali.

Tratto dal sito LIFE WOLFALPS EU

Ventura era confidente e si avvicinava davvero alle abitazioni? Se viveva in un branco stabile, in grado di cacciare, perché attaccava un cane, escludendo quasi certamente che il motivo fosse la fame? I dati del radiocollare saranno in grado di ricostruire la storia di Ventura. Da quel che si legge fra le righe di un articolo pubblicato su LIFE WOLFALPS EU qualche dubbio sembrano nutrirlo anche i tecnici. Gli unici come sempre pieni di certezze sono i cacciatori, che cavalcano la legittima difesa come se non ci fossero dubbi di sorta. Specie dopo l’archiviazione lampo.

Chi ha ucciso la lupa Ventura per “legittima difesa” ha spostato il corpo e solo la mattina dopo ha avvisato i Carabinieri

Il fatto importante, omesso da molte cronache, è quello che rivela il fatto che lo sparatore fosse talmente spaventato dal rischio corso da caricare il lupo morto in auto. E di trasportarlo dalla Liguria al Piemonte, proprio come si legge in un articolo pubblicato su Big Hunter, da cui è tratta questa citazione:

“Tizio è un cittadino sassellese che tutti conoscono e vive in una cascina in mezzo alla campagna. Due  mesi fa, intorno alla mezzanotte, è stato richiamato dalle grida della moglie che si trovava sotto casa e teneva in braccio il loro cane perché aveva davanti un lupo; tizio imbracció il fucile e abbatté il predatore. Preso dal panico trasportó il lupo altrove ma tornato a casa passó insonne la notte e la mattina seguente, decise di andare dai Carabinieri a denunciare l’accaduto.”

La domanda sorge spontanea: sarà stata la coscienza o la notte avrà fatto pensare allo sparatore che il radiocollare avesse registrato tutto? Permettendo ai tecnici di ripercorrere a ritroso il percorso di Ventura dal luogo dove era stata trasportata a quello dove era stata abbattuta. Scienza contro coscienza? Un comportamento grave, che se avessere riguardato un essere umano avrebbe comportato serie conseguenze, anche in caso di legittima difesa. Meritevole forse di maggiori approfondimenti che portano a rendere questa velocissima archiviazione sempre più incredibile. Non è per dubitare della magistratura ma il livello di stupore resta certamente alto.

Troppe cose restano in sospeso nella morte della lupa e una fra tutte è capire chi è il responsabile del fatto

Un ulteriore tassello di dubbio in questo turbine di notizie diverse, inconferenti, è che manca ogni notizia sullo sparatore. Un fatto di questo genere attirasempre curiosi e giornalisti, stimola ricerche, alimenta polemiche talvolota di pessimo gusto. Eppure nonostante sia avvenuto in una piccola frazione isolata non si trovano nemmeno le iniziali del responsabile. Certo non per metterlo alla gogna, ma come mai tanta segretezza? Insomma una vicenda dai contorni non definiti, con percorsi che andrebbero chiariti. Per non alimentare inutili paure, ma anche azioni emulative nell’illusione che basti raccontare di una presunta aggressione per rendere lecito l’abbattimento di un lupo.

Con un clima d’odio come quello che stiamo vivendo in questo periodo i predatori sono sempre nel mirino, e non soltanto per metafora. Sarebbe tempo di ristabilire confini, di creare e veicolare informazione realistica. La conoscenza è l’unica arma in grado di contrastare l’ignoranza e i pregiudizi. Non solo verso i lupi, ma nei confronti di tutto quello che temiamo perché in effetti non conosciamo.

Ucciso il cervo Bambotto da un cacciatore, ma la responsabilità è (anche) di quanti lo hanno reso confidente

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Foto tratta dal web

Ucciso il cervo Bambotto da un cacciatore, ma la responsabilità è (anche) di quanti lo hanno reso confidente, facendolo diventare la mascotte del paese. Questa storia racconta di buone intenzioni finite male, di un cacciatore che spara a un cervo che era stato adottato dal borgo di Pecol, fino a farlo diventare un animale confidente. Grazie al condizionamento alimentare e al fatto che Bambotto era stato allevato in paese da quando era solo un cerbiatto. Una storia apparentemente da fiaba, ma nella realtà una dimostrazione di quanto non bastino intenzioni buone per fare cose giuste.

Gli animali selvatici devono provare timore verso l’uomo e non c’è nulla di magico nel riuscire a farli avvicinare. Il cibo, il richiamo alimentare, e la perdita di ogni tipo di soggezione verso l’uomo sono un traguardo molto semplice da raggiungere. Mentre il percorso inverso diventa difficile e solo poche volte il miracolo si compie. Sicuramente un cervo incute meno timore di un orso o di un lupo, ma chi conosce questi erbivori sa perfettamente che danni possono fare con i loro maestosi palchi. Tanto che i cervi, al pari di altri ungulati, sono ritenuti animali pericolosi per l’incolumità pubblica e non possono essere detenuti liberamente dai privati.

Ucciso il cervo Bambotto da un cacciatore perché era una preda facile, non aveva paura e non dava peso alla presenza umana

Ora gli abitanti della frazione di Pecol, nel bellunese, lo piangono come un amico, una sorta di cane di quartiere che entrava nelle case. Dalle quali in questa stagione, a causa dei grandi palchi, faceva fatica poi a uscire restando incastrato con le sue corna. Una storia tenera, che tocca il cuore, ma che poteva avere vari tipi di epilogo, sempre potenzialmente tragici. Come l’uccisione del cervo da parte di un cacciatore, ma anche come il ferimento o l’uccisione di una persona.

«Era diventato (Bambotto ndr) bellissimo e maestoso – aggiunge Donatella- e credo che siano davvero pochi quelli che non lo conoscano. Lo potevi incrociare per strada mentre raggiungeva tutte le frazioni limitrofe e si fermava a mangiare ovunque da chi lo amava come noi. Spesso mi entrava in casa e poi era un impresa farlo uscire perché i suoi palchi erano immensi. Ho trascorso anni stupendi e mi teneva tanta compagnia perché se decideva di restare si addormentava su per le scale o davanti alla porta di ingresso mi seguiva ovunque docilmente». 

Tratto dall’intervista al Corriere del Veneto di Donatella Zendoli

Se da un lato è comprensibile l’affetto di chi lo ha accudito e benvoluto in questi anni, dall’altro deve essere chiaro che aver reso il cervo confidente è stato un grosso errore. Un discorso che non riguarda solo un cervo, ma che deve essere considerato per ogni animale selvatico. Dalle volpi ai cervi, dalle cornacchie agli orsi. Sono abitanti del pianeta con i quali dobbiamo certamente convivere, rispettando il fatto che i nostri mondi possono essere molto vicini, ma mai sovrapposti. Per rispetto e per una coesistenza intelligente.

Molti amanti degli animali non accettano di non poter dare cibo ai selvatici, di non dover cercare un rapporto con loro

Bisogna smettere di usare come bandiera i buoni sentimenti, la magia del rapporto fra l’animale selvatico e l’uomo, le leggende che ci portiamo dietro fino dalle scuole. Impariamo a dividere i bisogni del nostro ego dalle necessità imposte dal rispetto verso gli animali. Smettiamola di ammantare di positività racconti che parlano di addomesticamento e condizionamento. Cerchiamo di essere obiettivi e di non farci sopravanzare dai buoni sentimenti. Unico vero aiuto che possiamo dare agli animali è rispettarli nel loro ambiente, cercando di avere comportamenti educati e civili.

L’aiuto a un animale selvatico in difficoltà, orfano o ferito, non deve essere considerato un’attività alla portata di tutti. Esistono centri di recupero per la fauna selvatica (CRAS) che si occupano di questo e, almeno la gran parte, lo fanno con grande attenzione e professionalità. Occorre rivolgersi a questi centri se si trova un piccolo senza la madre, senza cercare di improvvisare con capacità che non si possiedono. L’amore per gli animali non deve sconfinare nella patologia, non possiamo considerarli come fossero una parte della società umana, salvo che si tratti di animali domestici con i quali viviamo.

Queste storie, solo apparentemente degne di una favola, sono sicuramente frutto di un atto d’amore, ma raccontano di un rapporto prondamente sbagliato e diseducativo. Per questo è importante dirlo con ruvida chiarezza e anche a costo di perdere simpatizzanti: lasciate che siano i professionisti a occuparsi dei selvatici in difficoltà. Non alimentate MAI gli animali selvatici.

Orsi del Trentino, la selezione “innaturale” fra investimenti e morti sospette

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Orsi del Trentino, la selezione “innaturale” causata da investimenti e morti sospette ha assunto da tempo contorni preoccupanti, per numero di orsi rinvenuti cadaveri. Sono ben sette i plantigradi trovati morti nel solo 2023, un numero molto elevato che alimenta non pochi dubbi. Corroborati da poche certezze, anche a causa dello stato di conservazione dei cadaveri rinvenuti che non sempre forniscono dati precisi sulle cause di morte Da più parti si adombra l’ipotesi di atti di bracconaggio, che considerando il clima creato dalla giunta di Maurizio Fugatti risulta più che probabile.

Secondo l’opinione di una parte di tecnici la responsabilità di queste attività illegali “fai da te” sarebbe causata dalla mancata gestione degli orsi. Senza la quale i residenti sarebbero portati a mettere in atto azioni illecite di uccisione degli orsi, quasi fosse una sorta di bracconaggio di necessità. Un’idea incondivisibile in una provincia che nulla ha fatto per cercare di creare un diverso clima, stimolando la coesistenza. Mentre è indiscutibile che sia stata fatta una campagna d’odio, associando la presenza di orsi a un pericolo amplificato per la popolazione. Un comportamento irresponsabile, ma di facile presa, utile soprattutto in vicinanza delle scadenze elettorali.

Un’amministrazione pubblica che stimola con continue comunicazioni irresponsabili la commissione di reati è davvero un pessimo esempio educativo. Non si tratta infatti di mettere in campo azioni di tutela, ma soltanto il voler trovare giustificazioni verso un’inerzia inaccettabile nelle campagne informative. Raccontando che gli orsi presenti sul territorio sono “troppi”, misurati secondo un termometro che ha come scala il gradimento degli elettori. Un leit motiv molto seguito anche dall’attuale governo.

Orsi del Trentino, la selezione “innaturale” stimolata dalla PAT e lo studio di ISPRA sulle rimozioni

Al di là di ogni questione etica sul diritto di contenere gli animali selvatici in modo cruento resta un punto non eludibile: la correttezza del ragionamento. Viene narrata come buona cosa, anzi come azione doverosa, il voler decidere di abbattere gli orsi perché ritenuti pericolosi, secondo un sentir comune stimolato ad arte, capace di originare azioni criminose. Se ogni anno si rimuoveranno un certo numero di animali questo farà si che i cittadini smettano di cercare scorciatoie illegali. Un ragionamento non solo è privo di significato, ma che non viene mai applicato per questioni più serie. Prevenire il crimine conviene solo se altre da noi sono le vittime.

Qualche esempio? Aprendo corridoi per agevolare l’immigrazione legale eviteremmo che si favorisse quella clandestina. Limitando concretamente la velocità dei veicoli potremmo ridurre il numero di morti fra pedoni e ciclisti e, conseguentemente, i reati connessi. Grazie a una più equa distribuzione della ricchezza si eviterebbero tantissimi crimini e pericoli per la società. Tutti principi di cautela giusti e ragionevoli ma inapplicati, specie quando la parte limitata/danneggiata dai provvedimenti rappresenta un elettore.

ISPRA ha appena pubblicato uno studio dal quale risulta che si possano abbattere sino a 8 orsi all’anno senza danni per la popolazione. Esattamente 6 maschi di varie età e 2 femmine in età fertile. Seguendo parametri di non semplice comprensione, ma del resto si sa che gli studi molte volte siano fatti per non essere comprensibili ai più. Concludendo poi che allo stato via sia solo un orso “rimovibilie” (MJ5) in quanto classificato come problematico, ai sensi del PACOBACE. Senza far menzione, almeno apparentemente, dell’incidenza della mortalità “innaturale” dovuta a incidenti e bracconaggio.

Fare scelte intelligenti, come la creazione dei corridoi ecologici, serve a migliorare la coesistenza

La verità è che gli orsi del Trentino non troveranno mai pace sino a quando non cambierà amministrazione, cultura, valorizzazione e informazione sul patrimonio naturale. Inutile illudersi che basti l’abbattimento di qualche orso per risolvere. Sarebbe come sostenere che l’uccisione del 10% della popolazione dei calabroni trentini ridurrebbe in modo significativo la probabilità di morti nella popolazione per shock anafilattico. Quindi a poco servono anche gli equilibrismi messi in atto da ISPRA, nel sottile meccanismo, molto politico e poco tecnico, del dire e del non dire.

Dall’analisi critica e dalla integrazione dei modelli e delle simulazioni condotte, è quindi possibile concludere che, al fine di non incidere in maniera negativa (i.e., non determinare un’inversione di trend) sulla traiettoria della popolazione, è possibile ipotizzare la rimozione di un
numero massimo di 2 femmine riproduttive all’anno, nell’ambito di un prelievo complessivo di massimo 8 capi (e.g., in totale, 4 subadulti equamente distribuiti tra maschi e femmine, 2 maschi adulti e 2 femmine riproduttive). (…)

L’eventuale scelta di operare prelievi sopra tale soglia, con l’obiettivo quindi di determinare un trend negativo della popolazione anche intervenendo su individui non problematici, richiede a parere di ISPRA valutazioni di carattere non strettamente biologico e onservazionistico che non si ritiene diaffrontare in questa sede.

ISPRA – LA POPOLAZIONE DI ORSI DEL TRENTINO: ANALISI DEMOGRAFICA A SUPPORTO DELLA VALUTAZIONE DELLE POSSIBILI OPZIONI GESTIONALI – MAGGIO 2023

In Trentino occorrono corridoi ecologici che consentano alla fauna di spostarsi, attraversando in sicurezza il reticolo delle infrastrutture che ostacolano la loro libera circolazione. Serve una politica di informazione dei residenti che sottragga al mito della pericolosità per gli uomini la categoria dei predatori. Che pubblicizzi tabelle sulle percentuali corrette di rischio morte per gli uomini, includendo anche quelle sostanze chimiche usate con tanta generosità sui meleti e nei vigneti del Trentino Alto Adige. Perché alla fine il vero pericolo per gli uomini non sono i predatori, ma soltanto quello di restare sudditi dell’ignoranza, grazie alla paura indotta dalla leggenda di avere sempre il nemico alle porte.

Uccisi da bracconieri lince e avvoltoio: facevano parte di importanti programmi di reintroduzione

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Uccisi da bracconieri una lince e un avvoltoio capovaccaio, che erano parte di programmi di reintroduzione. Gli episodi sono avvenuti a distanza di poche settimane nella regione della Carinzia, in Austria, e nei cieli del Canale di Sicilia. Una dimostrazione di quanto anche l’arrogante stupidità dei bracconieri sia trasnazionale e di come sia difficile fare conservazione. Lince e capovaccaio hanno sagome inconfondibili, quindi chi ha premuto il grilletto del fucile non ha fatto un errore, ma ha compiuto un gesto intenzionale, deliberato.

La lince battezzata Sofia è stata uccisa da una fucilata ai primi di ottobre, aveva solo 6 anni e era stata rilasciata il 16 marzo scorso a Tarvisio, in Friuli Venezia Giulia. Era stata catturata nel Giura svizzero solo pochi mesi prima. La sua reintroduzione era stata effettuata nell’ambito del progetto ULyCA (Urgent Lynx Conservation Action), che ha l’obiettivo di ripopolare le Alpi con questo felino. Sara invece, questo il nome dell’esemplare femmina di capovaccaio, è stata presa a fucilate il 19 settembre, nei pressi dell’isola di Marettimo in Sicilia. Era stata liberata dal CERM (Centro Rapaci Minacciati di Semproniano) nel lontano 2015

Uccisi da bracconieri una lince e un avvoltoio, dalla stessa umana arrogante stupidità

Insieme a Sara negli anni sono caduti, proprio in quel tratto di mare infestato da bracconieri, altri avvoltoi che facevano parte del progetto. Oltre a numerosissimi altri rapaci e migratori. A causa di un bracconaggio che non si riesce a debellare, anche se per fortuna risulta essere molto diminuito rispetto agli anni ’90. Purtroppo nemmeno i quasi duemila chilometri che dividono il Canale di Sicilia dall’Austria cambiano la sorte di animali importanti per la conservazione della specie.

Probabilmente le motivazioni di quelle fucilate sono diverse, anche se non modificano il risultato avendo ucciso animali che non meritavano questa sorte. La lince è vittima, come tutti i predatori, di pregiudizi che la vogliono in competizione con l’uomo e in particolar modo con cacciatori e allevatori. Il capovaccaio, invece, è una vittima dell’ignoranza, che porta ancora a credere che uccidere i rapaci protegga dai tradimenti coniugali, o di qualche altro stupido pregiudizio. Chi ha premuto il grilletto probabilmente nemmeno sapeva che il capovaccaio, come tutti gli avvoltoi, è un necrofago. Animali che nutrendosi quasi esclusivamente di cadaveri, contribuiscono a evitare la diffusione di malattie. Spazzini alati importantissimi per la biodiversità.

Tutelare i predatori è fondamentale per il mantenimento degli equilibri faunistici

Gli animali selvatici meno amati e più perseguitati sono molto spesso quelli più utili alla biodiversità. Predatori apicali e necrofagi hanno un’importanza fondamentale per il mantenimento degli equilibri fra specie e per la buona salute degli ambienti naturali. Un concetto troppo spesso dimenticato o del tutto sconosciuto ai tantissimi che si lamentano della loro presenza. Orsi, lupi e ora anche le poche linci presenti sul territorio sono costantemente indicati, da molti media e dal mondo agricolo e venatorio, come dei pericoli per la collettività. Creando allarmismi ingiustificati e dando luogo a vere e proprie campagne d’odio, che ora in Italia hanno come principale bersaglio i lupi.

Nel nostro paese il bracconaggio rappresenta una presenza pericolosa e costante sul territorio, che solo raramente viene vista con tutte le sue devastanti conseguenze. Un fenomeno presente, purtroppo, anche in altri Stati europei, nonostante la presenza di normative meno filo venatorie delle nostre. Il bracconaggio è un’attività che non trova alcuna giustificazione -un tempo, almeno, si bracconava per fame o per soldi- e che è fondata su crudeltà e ignoranza. Un crimine contro il quale servono leggi con maggior potere deterrente e la creazione di una nuova cultura della coesistenza, basata sulla miglior conoscenza del mondo naturale.

Abbattimento o captivazione permanente: questo è il dilemma spesso eluso

abbattimento captivazione permanente

Abbattimento o captivazione permanente: questo è il dilemma che spesso ci si rifiuta di affrontare. Un tema spinoso che frequentemente non viene dibattuto, quale parlano mal volentieri gli addetti ai lavori in ogni schieramento. Un punto sul quale, invece, sarebbe opportuno pronunciarsi, dopo un ampio dibattito tecnico, non emotivo. Se è vero che decidere per chi non è in grado di farlo è sempre molto difficile, è altrettanto vero che non fissare regole può diventare un paravento. Dietro al quale nascondere la sofferenza. Garantire la vita anche a costo di negare il benessere è una scelta che mi risulta difficile da condividere.

Vale per tutti gli animali destinati a trascorrere una vita dietro le sbarre e per questo credo sia importante, ma anche doveroso, fare una riflessione. Senza preconcetti, basati sulla ponderata valutazione laica di pro e contro fatta da una pluralità di esperti. Se è vero che la cattività, nel caso degli orsi, allontana dalla violenza di uno sparo è altrettanto vero che mette al riparo le nostre coscienze e sensibilità, ma non le loro vite. La sofferenza del giorno per giorno, con gradienti vari e diversi, è la stessa che condanna a morire di noia gli animali di uno zoo. Quella che resta visibile nei sentieri scavati dalle zampe sul terreno dei recinti, sempre gli stessi, percorsi in modo ripetuto, quasi ossessivo.

Scelta sicuramente difficile come tutti i pensieri che le gravitano intorno, che non può essere elusa semplicemente al grido di “lasciamoli liberi”. Certo questa sarebbe la soluzione migliore, ma quando si arriva a un punto nel quale bisogna scegliere fra vita e morte, lì non ci sono terze vie. Non esiste più, nemmeno per noi, la possibilità di non esprimerci, di non scegliere, in nome dell’etica o della convenienza. Un bivio di fronte al quale bisogna decidere che strada imboccare, nell’interesse degli animali.

Abbattimento o captivazione permanente: scelte che mettono di fronte a un bivio etico

Del resto che la cattività rappresenti molto spesso una prigionia dai risvolti crudeli viene detto a chiare lettere quando, ad esempio, si parla di zoo e delfinari. Ma non in modo netto quando i detenuti sono rinchiusi a vita in altri luoghi, come santuari per orsi, solo per restare sul tema, o anche canili. Il baratto etico che sta alla base di questa differenza di valutazioni è la giustificazione dell’aver salva la vita, ma non è la “motivazione” della detenzione a cambiare o attenuare la sofferenza. La differenza cambia quando vi è una piena e consapevole analisi del benessere garantito dalle condizioni di detenzione. Che non può essere valutato solo sulla base dello spazio a disposizione o su criteri estetici.

Per fare una valutazione complessiva occore tenere presente l’etologia della specie e la sua origine: un conto è un animale selvatico che proviene da anni di cattività o da riproduzioni in cattività e altro è un soggetto di cattura. Bisogna valutare le caratteristiche della struttura e le condizioni di vita offerte, il tempo che si può dedicare alle interazioni o alla creazione di continui diversivi. In cattività la noia uccide, prova un animale nello spirito, lo riduce a un simulacro dell’animale che sarebbe stato se avesse vissuto libero.

Esistono sistemi per realizzare misurazioni e valutazioni scientifiche sul livello di stress che genera la cattività, esaminando per esempio i livelli del cortisolo.

La definizione di “benessere animale” e le modalità di determinazione di tale parametro sono ancora ampiamente dibattute. C’è, però, una generale concordanza sul fatto che una condizione di malessere dia origine a variazioni fisiologiche e comportamentali che possono essere rilevate e misurate. Tra i parametri endocrini, il più studiato è, senza dubbio, il cortisolo, in quanto connesso con l’attivazione dell’asse ipotalamico-pituitario-surrenale in condizioni di stress e quindi ritenuto indicatore ideale di benessere, benché debba essere utilizzato con cautela in quanto un aumento dei livelli di questo ormone non si verifica con ogni tipo di stressor.

Viggiani, Roberta (2008) La determinazione del cortisolo nel pelo per la valutazione del benessere animale, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

Il focus deve essere il benessere garantibile e non la sola esistenza in vita

Sarebbe tempo di fare ragionamenti a tutto campo, mettendo al centro i bisogni e il benessere degli animali, non l’accondiscendenza verso la componente emotiva. Questo, se pensiamo che anche un pesce rosso nella boccia possa essere sofferente e maltrattato, deve essere il primo punto dal quale far nascere una riflessione. L’argomento è spinoso, ma ritornando agli orsi qualcuno potrebbe mai pensare che la detenzione di M49 a Casteller sia compatibile con il suo benessere?

La questione è complessa e certo l’articolo non ha la pretesa di indicare la via, ma solo di stimolare una vera e complessiva riflessione che faccia aprire un dibattito a tutto tondo. La difesa della vita oltre ogni altra considerazione non può essere vista come una motivazione sufficiente a far detenere a vita animali nelle strutture. La difesa della vita non può diventare una motivazione che giustifichi la detenzione in qualsiasi condizione, non può far chiudere gli occhi davanti alla sofferenza.

Su questi temi un dibattito serio sarebbe auspicabile e urgente, coraggioso e necessario. Un dovere ineludibile, specie nel momento che sono sempre gli uomini a decidere cosa tocchi in sorte agli animali.

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