La difesa dei diritti animali deve uscire dal coro, fondersi con quella dei diritti dei fragili e parlare soprattutto a chi non si è forse mai posto il problema. Vi è necessità di allargare, contaminare, incuriosire e non solo cercare consensi da quanti son già convinti.
Sembra una banalità ma non credo sia così: in Italia l’animal advocacy, la difesa dei diritti degli animali, rischia di avere un grande consenso rinchiuso troppo spesso nello stesso recinto dove vivono i sostenitori delle nostre idee. Così si raccolgono molti apprezzamenti, che se da una parte soddisfano l’ego dei difensori dall’altra rischiano di dare vita a quella realtà ben definita dal termine anglosassone echo chambers, le stanze dell’eco.
La difesa dei diritti degli animali secondo il mio angolo di visione non può prescindere dalla difesa di tutte le categorie fragili che appartengono alle collettività umane e non, deve riuscire a allargare i confini di specie per avere un reale successo. Se così non fosse potremmo scoprire che molto del plauso che ricevono le campagne o i discorsi fatti nel nome degli animali sono applauditi solo dal nostro pubblico, sempre lo stesso o quasi.
Chi vuole fare comunicazione etica ha però un obiettivo molto più ambizioso: quello di mantenere alta l’attenzione coinvolgendo quanti stanno ai bordi o forse non si sono nemmeno mai avvicinati a discorsi che includano la difesa dei diritti, meno ancora di quelli degli animali.
Un buon esempio per visualizzare questo concetto è il tipo di posizione che viene assunta da quanti si soffermano a vedere gli spettacolini in strada: il semicerchio del pubblico è sempre molto più largo delle necessità spaziali dell’artista di turno e, di fatto, rappresenta una distanza dalla quale poter osservare senza essere coinvolti, curiosare con la facilità di potersi allontanare in un attimo.
Per contribuire all’avanzamento di qualsiasi progresso culturale che possa rappresentare una necessità non solo di condivisione ma anche di cambiamento dei comportamenti, di innalzamento della soglia delle attenzioni abbiamo bisogno di essere inclusivi, di abbracciare, di raccontare gettando spunti, senza pretendere di convincere. Dobbiamo poter parlare a orecchie sempre nuove, stimolandole a riflettere. Non è mai l’orrore che avvicina a un problema, ma il racconto di come, con comportamenti responsabili, sia possibile evitarlo.
Se vogliamo aumentare la platea di chi ascolta, ma soprattutto quella chi assimila i concetti, abbiamo necessità di modificare probabilmente il modo di porre il problema: non contro qualcuno ma per qualcosa. Le battaglie per eliminare gli animali dai circhi non devono sembrare contro i circhi o, peggio, contro i circensi ma sono soltanto a favore del diritto che hanno gli animali di non subire maltrattamenti per il nostro divertimento. Solo per fare un esempio.
Abbiamo bisogno di incrociarci e contaminarci con tutti quelli che in genere difendono i diritti degli esseri viventi, siano donne o bambini, anziani o migranti, abusati o animali: il nostro minimo comun denominatore dovrebbe essere infatti la volontà di avere un mondo più equo, con meno sofferenza e più diritti, fatto di comprensione e non di compressione dei bisogni degli altri.
Usciamo o perlomeno proviamo a uscire da uno stagno comunicativo che talvolta sembra mettere al primo posto i diritti animali, dando l’impressione di non volersi curare dei diritti infranti in generale, parlando sempre alla pancia delle stesse persone, ma molto meno alla loro testa. Dobbiamo avere la capacità di proporre argomenti che possano stimolare riflessioni che coinvolgano i cervelli ma anche i cuori.
Senza dimenticarsi mai che un cuore vero accelera il suo battito di fronte a ogni ingiustizia, a ogni sofferenza a cui è costretto a assistere.
Pienamente d’accordo!