Muore lo zoo e rinasce bioparco, come se bastasse cambiare la denominazione per trasformare un’esposizione di animali in un’oasi di benessere, ricerca e conservazione. Purtroppo non è così pero.
Oramai tutte le strutture italiane, con la sola eccezione degli zoo safari perché la contraddizione sarebbe stata davvero evidente, hanno modificato la loro denominazione, cercando di scrollarsi quella patina di vecchia esposizione, dove gli animali erano in cattività per far divertire il pubblico.
Gli zoo in effetti vanno in controtendenza rispetto ai circhi, dove la cattività e la sofferenza appare decisamente molto più evidente,meno sottile, esibita proprio come lo sono gli animali sotto lo chapiteaux. Il circo è costretto a far vedere le strette gabbie e la segregazione, non potendo avere strutture diverse proprio per la sua natura di attrazione itinerante. Un serraglio in perenne movimento con i suoi prigionieri al seguito.
Gli zoo, anzi i moderni bioparchi, possono invece in parte rifarsi il maquillage, dando ai visitatori l’illusione che gli animali siano nel loro ambiente naturale, sfruttando l’immaginazione che molti hanno guardando spazi che, seppur ristretti, cercano di replicare la savana o la jungla. Riuscendoci spesso per i visitatori, ma fallendo miseramente, quasi sempre, con gli animali.
Gli zoo non sono tutti uguali, ma sono in effetti imprese non santuari
Gli zoo, continuiamo a chiamarli per quello che in realtà fanno, sono imprese commerciali e si comportano come tali, seguendo le stesse logiche di qualsiasi altra attività imprenditoriale. Alcuni lo fanno in modo più esasperato, altri sono più attenti al benessere degli animali, pur con i limiti che derivano dalla cattività e con l’impossibilità di riprodurre realmente ambienti che consentano una vita simile a quella condotta in natura.
Si potrebbe fare un parallelo con la prigione per gli umani e con le strutture carcerarie, mettendo a confronto quelle del nord Europa con quelle italiane, che sono un disastro per sovraffollamento e condizioni di vita. Certo qualunque detenuto italiano vorrebbe essere mandato a scontare la pena in un carcere svedese o norvegese, dove i detenuti dispongono di ampie celle individuali, palestre, sale informatiche, possibilità di lavoro, biblioteche e quant’altro.
Ma pur nell’evidente miglioria sempre un carcere resterebbe, sempre di privazione della libertà si tratta, anche se il grado di sofferenza che è implicito nel concetto stesso di prigionia sarebbe decisamente attenuato. Ma non scomparso, lontano dal diventare impercettibile.
Dovrebbero essere vietati gli zoosafari con ingresso del pubblico in auto
La stesso pensiero, apparentemente inverso, si potrebbe adattare agli animali ospiti delle strutture espositive, dove quelli degli zoo safari stanno molto peggio di quelli dei bioparchi, nonostante abbiano grandi spazi a loro disposizione. Infatti quella che per i visitatori sembra la riproduzione di un pezzo di savana, dove vivono liberi i leoni, nella realtà è tale soltanto guardata con gli occhi umani. Non è lo spazio o non solo quello che determina la qualità della vita.
Gli animali ospiti dei recinti degli zoo safari hanno giornalmente il loro territorio invaso, senza possibilità di fuga e spesso nemmeno di nascondiglio, assediati da visitatori vocianti e dai gas di scarico delle auto, che essendo pesanti, stazionano proprio all’altezza del naso di tigri e leoni. Tutte le sere poi devono far ritorno in gabbia, dove trascorrono la notte al chiuso, per ragioni di sicurezza. Nulla di naturale insomma nella loro vita.
Non va meglio agli ospiti degli zoo tradizionali, che hanno sostituito molte gabbie con recinti per non dare l’impressione della segregazione. Certo sono spazi allestiti con cura, dove gli animali sembrano parte di un documentario, ma questo è solo quanto vogliono percepire gli occhi dei visitatori, con la suggestione creata da chi segue la comunicazione per queste strutture.
Per questo prima di entrare in uno zoo un visitatore dovrebbe chiedersi se quell’impresa alla quale si accinge a versare dei soldi sia davvero rispettosa del benessere animale, con buona pace di quanto fin troppo spesso scrivono i giornali in festose notizie che raccontano di nuovi arrivi e di nuove nascite, di specie salvate e di animali felici. Proprio come doveva sembrare Alex, il leone del fortunato cartoon Madagascar.
In conclusione lo zoo non è l’ultimo baluardo per la conservazione delle specie in pericolo, ma è soltanto un’impresa che destina una parte variabile dei propri utili, generalmente molto piccola, a progetti più o meno reali che si occupano di conservazione. Ma non bisogna dimenticare che l’apice della conservazione è la difesa in situ di animali e ambiente, non una collezione vivente di DNA, conservata nel chiuso degli zoo.