In italia si fabbricano 500 milioni di polli all’anno secondo una recente inchiesta realizzata dall’associazione Essere Animali. Si fabbricano perché oramai gli allevamenti sono un’industria che sforna animali da mettere nel piatto.
Da 0 a 100 in 40 giorni netti: questo è il tempo che un pulcino appena nato impiega per passare dall’incubatoio all’allevamento e poi alle tavole degli italiani. Un prodotto a rapido accrescimento, allevato in spazi ridotti, a costi ridotti per finire, a prezzi bassi, sui banchi dei supermercati.
Provo a spostare il focus non sul punto se sia legittimo cibarsi di animali, se sia corretto che l’uomo allevi animali al solo scopo di procurarsi proteine, ma sulle sofferenze che vengono inflitte agli animali per un solo motivo: ottimizzare le rese, abbassare i costi e sfornare un prodotto con un prezzo appetibile per il consumatore.
Per fare questo gli ingredienti sono velocità, disinvoltura, farmaci, sofferenze, noia mortale, catene di montaggio e di smontaggio di animali vivi. Già, perché questo è quello che i consumatori non sanno o non vogliono sapere: il pollo che si mettono prima nel carrello e poi nel loro piatto non viene più da tantissimi anni dalla fattoria ma bensì dalla fabbrica. Una fabbrica di polli.
Le fabbriche dei polli e la sorte dei pulcini
Una realtà produttiva che alleva polli da carne e galline ovaiole gettando i maschi, i malformati, i feriti, gli inutili insomma, dentro un tritarifiuti, come fossero spazzatura, ma sono invece animali appena nati. Scarti per la produzione ma esseri viventi nella realtà, prodotti difettati ma capaci di provare dolore. Però sappiamo che la sofferenza costa molto meno, in termini di denaro, di quanto costi l’attenzione, nemica della velocità, del profitto e dell’abbassamento dei costi.
La morte rappresenta il termine di un’esistenza e l’uomo la vede sempre con grande paura, ma in fondo potrebbe temporalmente essere un momento breve rispetto alla sofferenza di una vita come quella di un pollo industriale, dove non esiste un solo attimo di vita che non sia connotato da paure, sofferenze, disagio, impossibilità di avere comportamenti naturali e, fatto da non sottovalutare, di tanta, tantissima noia. Una noia mortale.
Se almeno avessimo il buon cuore di non infliggere sofferenze evitabili, di non sacrificare la nostra umanità al profitto, la vita, oppure la non vita, di moltissimi animali potrebbe essere almeno un poco migliore. Certo l’ideale sarebbe non uccidere, non produrre, non allevare ma questa è una possibilità ancora lontana dall’essere opinione dei più, ma almeno ridurre i consumi, rifiutare i prodotti a più alta sofferenza. Queste sono scelte possibili, sacrifici piccoli con alti risvolti etici.