Quando un cane muore davvero di caldo

Quando un cane muore davvero di caldo la colpa è sempre del padrone che non ha previsto l’evento, oppure non si è affatto preoccupato di evitarlo.

Ignoranza e crudele indifferenza spesso viaggiano insieme, nell’abitacolo dell’auto ma non solo. Troppo spesso i proprietari si “dimenticano” i loro animali in condizioni estreme, forse senza volerlo ma di fatto condannandoli a una morte atroce.

Come ogni estate iniziano a morire i primi animali a causa dei colpi di calore, lasciati chiusi negli abitacoli delle autovetture, magari con due dita di finestrino abbassato, per far passare l’aria pensa qualche sprovveduto, oppure su terrazzi senza ombra, che si arroventano con il passare del tempo diventando angoli di deserto in cui gli animali impazziscono. Così succede che saltino le ringhiere e si gettino in strada. Cercavano ombra hanno trovato invece la morte, con tutti i rischi connessi per gli ignari passanti.

Alcune volte però anche i cittadini volonterosi che vorrebbero aiutare gli animali in difficoltà si trovano presi in un gorgo fatto di ritardi, indifferenza e talvolta anche calcolo: non è sempre facile aiutare e ottenere un intervento delle forze di polizia. La competenza sembra come il dio Proteo: a ogni rinvio cambia d’aspetto, di forma, di operatività in uno scaricabarile talvolta estenuante.

Non è sempre così perché moltissimi interventi ci sono e sono tempestivi ma a distanza di più di dieci anni dalla legge 189/2004 ci sono ancora organi di polizia giudiziaria che non sanno, o fingono di non sapere, che maltrattare un animale è un delitto, che intervenire è un dovere e non una facoltà, che sequestrare l’animale maltrattato è un obbligo. Lo dice la legge, non è un’opinione.

Nei piccoli comuni di frequente questo tipo di interventi sono demandati alla Polizia Locale che spesso non interviene tempestivamente, non sempre fa quello che la legge impone e cerca di risolvere i problemi che riguardano gli animali per vie brevi. Ma perché si chiederanno molti? La ragione è talvolta tanto semplice da essere disarmante: la Polizia Locale riceve pressioni dagli amministratori comunali per non sequestrare gli animali, le cui spese di custodia finirebbero a gravare sul bilancio degli enti.

In Lombardia, per fare un esempio, la legge regionale stabilisce che le strutture convenzionate con i comuni siano obbligate a ricevere cani e gatti “consegnati per qualsiasi ragione dagli agenti della forza pubblica”. Così i comuni si faranno carico del costo di mantenimento giornaliero degli animali, peraltro sequestrati nell’esercizio dell’azione penale della quale è esclusivo titolare lo Stato. Un bisticcio che agevola i sequestri se son fatti dalla polizia giudiziaria dello Stato, che li complica talvolta se opera la Polizia Locale.

Ma anche lo Stato non vuole pagare le custodie degli animali in sequestro e le Procure non hanno mai fondi per farlo. Così ben venga la norma regionale, ma poi si ottiene che la Polizia Locale in alcuni casi non sequestri. Un circolo vizioso nel quale gli unici a rimetterci davvero, la pelle troppo spesso, sono gli animali.

Così, anche per questo, la norma che punisce i maltrattamenti resta ancora inapplicata: le mille trappole costituite da ignoranza della legge, pressioni politiche, interessi, carenze di fondi costringe il cittadino, ancora una volta, a invocare i suoi diritti quasi come se pretendesse un miracolo. Un po’ come cercare l’acqua nel deserto.

Per questo i cittadini devono conoscere le leggi se vogliono sperare di avere uno Stato che funzioni: l’ignoranza della norma alimenta l’elusione dei diritti, nega speranze ai cittadini e li trascina nel gorgo della sfiducia.

 

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