Referendum trivellazioni in mare, qualcuno vuole continuare a correre rischi e lo vuole fare facendo fallire il referendum del 17 aprile, impedendo agli italiani di decidere come vogliono tutelare il loro mare.
In Italia l’istituto del referendum è minato da due grandi criteri che di fatto lo rendono uno strumento meno efficace di quanto sarebbe auspicabile: è solo abrogativo e non propositivo e non può essere considerato valido se non si raggiunge il quorum del 50% + 1 degli elettori aventi diritto. In questo modo si impedisce non solo ai cittadini di poter proporre nuove normative ma spesso, quasi sempre, si vanifica quanto deciso dalla maggioranza degli elettori per non avere raggiunto il quorum dei votanti. Insomma uno strumento fintamente democratico, dove non vince chi partecipa al processo decisionale ma chi resta sul divano, con la complicità della politica che usa lo strumento dell’astensione per mantenere lo status quo.
Per il referendum del 17 aprile le cose non cambiano, il Governo ha scelto di non accorpare il referendum alle elezioni amministrative e questa scelta, seppur costosa e irragionevole, ha sempre accompagnato la decisione del governante del momento, di qualsiasi colore, non volendo mai mettere sul tavolo della campagna elettorale anche altri temi che potrebbero diventare divisivi.
Così il rischio concreto di questo referendum sarà quello di non raggiungere il quorum, impedendo di fatto ai cittadini di decidere se vogliono continuare ad estrarre petrolio nel Mar Mediterraneo, un mare chiuso nel suo complesso, un mare ancor più chiuso se ci riferiamo al mare Adriatico, uno stretto corridoio con un ricambio d’acqua molto scarso. Se una delle diverse piattaforme di estrazione presenti in mare dovesse avere un incidente che causi uno sversamento importante di idrocarburi ci troveremmo ad avere problemi di inquinamento davvero molto seri, con danni irreparabili all’ambiente e alla vita marina. Abbiamo già visto cosa significa e che danni può fare uno sversamento incontrollato di petrolio, ma sappiamo anche che ogni impianto di estrazione in mare ha delle perdite definite fisiologiche che si traducono in un continuo inquinamento delle acque circostanti alle piattaforme.
In un momento storico in cui il petrolio è in surplus, tanto da far rinunciare spontaneamente le compagnie petrolifere a mettere in atto nuove trivellazioni in quanto scarsamente remunerative, si vuole concedere alle piattaforme di estrazione esistenti di continuare l’attività senza scadenza, fino a quando i giacimenti saranno redditizi. Un rischio insensato da far correre al nostro mare, non giustificato nemmeno da una necessità di approvvigionamento, considerato che non è un problema del momento ma, secondo quanto dicono scienziati indipendenti, nemmeno del futuro.
Come ha dimostrato il temporalmente non lontano incidente nel Golfo del Messico, operato da una piattaforma della BP, l’attuale tecnologia è in grado di arrivare a trivellare anche a grandi profondità, ma non ha le capacità di procedere ad una chiusura immediata di una perdita causata da una rottura dell’impianto di estrazione sul fondo del mare. Se pensiamo a questo, ai danni provocati che hanno fato il giro del mondo, mostrando un ambiente distrutto e decine di migliaia di uccelli e mammiferi marini irrimediabilmente uccisi dalla marea nera, sicuramente non vogliamo che possa succedere in Adriatico.
Per questo è importante andare a votare il 17 aprile e votare SI, per consentire di raggiungere il quorum e per dire una volta per tutte basta alle trivellazioni in mare, per salvaguardare ambiente e fauna ma anche una risorsa fondamentale per l’economia turistica del paese, che vive anche di turismo grazie alle migliaia di chilometri di coste. Non andare a votare ora potrebbe voler dire sentirsi responsabili di un disastro domani.