Sui canili le mani della ndrangheta calabrese
Sui canili le mani della ndrangheta calabrese come dimostra un’indagine della Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria.
Come detto più volte la criminalità organizzata ha interessi economici rilevanti sulla gestione del randagismo, il fenomeno che non si vuole combattere.
Così sono state disposte 11 misure cautelari, alcune in carcere, e il sequestro di strutture adibite alla custodia dei cani randagi, i cui costi devono essere pagati dai Comuni del territorio.
L’inchiesta ha dimostrato, come si dice da anni, che gli occhi della ‘ndrangheta, una delle mafie più pericolose presenti nel nostro paese, si erano da tempo puntati sul business della gestione del randagismo. Le centinaia di migliaia di cani custoditi presso strutture per lo più private generano infatti un fiume di denaro.
La questione più importante di questo affare è che questo fiume non accenna a ridurre la sua portata, continuando a scaricare nuovi cani sul territorio che a loro volta, trasformandosi in ospiti forzati dei canili, generano risorse economiche importanti. Tanto cospicue da interessare la criminalità organizzata.
Così questa mattina la Polizia di Reggio Calabria, secondo quanto stanno battendo le agenzie di stampa, sta eseguendo arresti, perquisizioni e sequestri nei confronti di esponenti della ‘ndrangheta ritenuti responsabili di tentata estorsione, illecita concorrenza, minaccia e violenza, turbativa d’asta, intestazione di beni e truffa. Il tutto con l’aggravante del metodo mafioso.
Ora che uno dei tanti vasi di Pandora che riguardano il randagismo è stato scoperchiato, dopo indagini durate anni, potrebbero esserci anche importanti sviluppi, circa la ramificazione di attività criminali finalizzate a intercettare i fondi pubblici per il contenimento del randagismo. (leggi qui)
Gli italiani forse non si rendono conto di quanto la mancata gestione del fenomeno randagismo impatti pesantemente non soltanto sul mancato benessere degli animali, ma anche sulle casse di tutte le amministrazioni comunali e sulle Regioni italiane, in particolare quelle del Sud che sono letteralmente piagate da questo fenomeno.
Ora si capisce in modo chiaro come contrastare il randagismo sia un modo, uno dei tanti modi, per contrastare anche la criminalità organizzata, per tagliare uno dei tanti emissari che portano denaro nelle casse delle varie organizzazioni mafiose e non soltanto. Nell’indagine risultano coinvolti anche esponenti di associazioni nazionali e veterinari delle aziende sanitarie locali (leggi qui)
Non resta che aspettare gli sviluppi di questa inchiesta che potrebbe far cadere altre tessere di quell’infinito domino di clientele e favori che si intrecciano dietro il business del cane randagio. E allora se ne vedranno davvero delle belle.