Trump svende l’Alaska, mettendo in atto l’ultimo colpo di coda prima di abbandonare la Casa Bianca. Sembra incredibile che dopo aver autorizzato la distruzione della foresta di Tongass, sempre in Alaska, voglia infliggere una nuova ferita all’ambiente. Probabilmente per compensare le industrie petrolifere che hanno sostenuto la campagna per la sua rielezione. Questa volta nel mirino presidenziale c’è un’altra importante area protetta dello stato: l‘Arctic National Wildlife Refuge.
L’area protetta è stata istituita nel 1960 in una zona nord orientale dell’Alaska. Vasta 78.000 chilometri quadrati ospita una grande varietà di vegetazione tipica della tundra artica e molte specie animali. Lupi, orsi, caribù, moltissime specie di rapaci inseriti in un ecosistema ben preservato. Sino alla sconvolgente decisione del presidente Trump, che a pochi giorni dal suo trasloco dalla Casa Bianca, ha deciso di mettere in vendita le autorizzazioni alle trivellazioni.
Questa decisione non è casuale in quanto va in direzione contraria alle dichiarazioni del nuovo presidente Biden. Che si era detto fortemente contrario a concedere autorizzazioni per attività petrolifere nell’Artico. Con questa mossa a sorpresa Donald Trump ha probabilmente inteso ripagare i lobbisti petroliferi per il sostegno. Sapendo che per il nuovo presidente sarà più difficile invalidare le scelte già rese operative.
Ma se Trump svende l’Alaska alle società delle energie fossili questo sarà un duro colpo per l’ecosistema artico
L’idea del presidente più aggressivo nei confronti dell’ambiente della storia americana è quello di mettere all’asta le concessioni. Che renderanno utilizzabili per le trivellazioni oltre 6.000 chilometri quadrati dell’area protetta, con tutto quello che questo comporterà in termini ambientali. Una vera aggressione considerando la necessità di creare le infrastrutture che consentano l’effettiva attivazione delle trivellazioni.
Le compagnie petrolifere e del gas, guidate da Energy Transfer Equity, Koch Industries e Chevron, danno circa l’80% delle loro donazioni politiche a candidati repubblicani e conservatori. Il più grande beneficiario di gran lunga è Donald Trump, che ha ricevuto direttamente più di 2 milioni di dollari da questo settore nell’ultimo anno, esclusi i soldi incanalati attraverso comitati di azione politica segreti .
Tratto dall’articolo di Jonathan Watts pubblicato il 17/11/2020 su The Guardian
Un presidente che non si preoccupa del futuro del suo paese e dell’intero pianeta in un periodo come questo dovrebbe andare sotto processo. Specie quando appare chiaro che le scelte operate sono soltanto per esclusivo interesse personale, non certo per quello dei cittadini americani. Che per fortuna hanno scelto di mandare a casa The Donald.
L’attacco all’Arctic National Wildlife Refuge compromette una zona importante come l’Artico, già sofferente per i cambiamenti climatici
Per gli ambientalisti locali questa apertura alle industrie delle energie fossili è il peggiore degli incubi possibili. Come raccontano in un video (in inglese)
Ora bisogna solo sperare che qualcosa si frapponga nei piani dell’oramai ex presidente USA, impedendo che un’area naturalistica importante venga data in concessione ai petrolieri. Per ricercare nuovi giacimenti di quelle energie fossili che il mondo dovrebbe abbandonare al più presto, spostandosi verso le fonti rinnovabili.
Trump ancora contro l’ambiente, a pochi giorni da quella che il mondo ambientalista spera sia la sua uscita di scena come presidente degli Stati Uniti. Con un’azione irresponsabile ma anche inopportuna, considerando che arriva a pochi giorni dalle elezioni presidenziali. Messa in atto nel suo esclusivo interesse per raccogliere consensi, in un momento in cui i sondaggi lo danno come perdente.
Sotto il profilo ambientale Donald Trump è stato uno dei peggiori, se non il peggiore, presidente degli Stati Uniti. Secretando dati sulla tutela ambientale, negando i cambiamenti climatici e cercando di monetizzare l’ambiente senza seguire alcuna regola di buona gestione e prudenza. Invece di valorizzarlo per renderlo una risorsa permanente per gli americani e il mondo, ma autorizzando a sfruttarlo con una visione di corto periodo.
L’ultimo atto presidenziale, sperando che sia davvero quello finale, è stato quello di consentire lo sfruttamento della foresta di Tongass, in Alaska. Un’importante area naturale, situata in uno Stato scarsamente popolato, che era stata protetta nel 2001, al tempo del presidente Clinton. Quando l’emergenza ambientale era più lontana dal venir identificata come “LA” priorità. Eppure oggi, a pochi giorni dalle elezioni americane le cose sono cambiate.
Le azioni del presidente Trump sono ancora contro l’ambiente, nonostante manchino pochi giorni alle elezioni
La foresta di Tongass era stata protetta in modo quasi integrale, riconoscendole un grande valore naturalistico e di mitigazione ambientale. Erano stati posti sotto tutela oltre 58.000 acri di territorio, vietando costruzione di strade e abbattimento di alberi. In un ambiente che ospita la maggior popolazione di aquile calve conosciuta al mondo, ma anche orsi, lupi e salmoni selvaggi. Un patrimonio indispensabile alle comunità locali, che hanno visto crescere in modo rilevante l’ecoturismo.
La superficie arborea di Tongass assorbe l’8% di C02 del valore complessivo assorbito da tutte le foreste nazionali degli Stati Uniti. Avendo la maggior superficie boscata di ogni singola foresta americana, tanto da essere definita il polmone verde degli USA. Almeno sino al 28 di ottobre quando il presidente ha firmato un provvedimento che toglieva la protezione su Tongass. Autorizzando disboscamenti e costruzione di nuove strade per agevolarli. Con la maggioranza dei pregiati alberi abbattuti che prenderà la strada dell’Oriente.
“Tongass è l’Amazzonia americana”, ha detto in una dichiarazione Adam Kolton, direttore esecutivo dell’Alaska Wilderness League. “Questa mossa voluta dal presidente per eliminare le protezioni e le strade della foresta nazionale più grande e biologicamente ricca della nostra nazione è una calamità per il nostro clima, per la fauna selvatica e per l’economia delle attività ricreative all’aperto del sud-est dell’Alaska”.
Il provvedimento del presidente Trump è stato pubblicato il 28 ottobre, a una manciata di giorni dalle elezioni presidenziali
Uno statista deve prendere posizioni importanti per il futuro del suo paese. Mentre Donald Trump ha dimostrato di perseguire maggiormente i suoi interessi piuttosto che quelli del popolo americano. Il rischio che lo sfruttamento della foresta di Tongass inizi immediatamente, per impedire le attività legali o politiche che possano ostacolarlo, è molto concreto. Sono troppi, infatti, gli interessi economici che saranno generati da questo provvedimento.
La distruzione di un’ecosistema avviene sempre in tempi molto, molto più rapidi di quelli necessari alla sua ricostruzione. L’abbattimento di alberi per costruire strade forestali per la vendita del legname pregiato riuscirà a alterare gli equilibri di Tongass. E questo potrebbe succedere in tempi davvero molto brevi, con il rischio che molte specie animali perdano per sempre luoghi vitali per la loro esistenza. Una eventualità che evidentemente poco preoccupa il presidente Trump, sicuramente più preoccupato dalle se sorti personali in caso di mancata rielezione.
L’unica speranza per l’intero pianeta è che questi leader, che negano i cambiamenti climatici e contribuiscono a distruggere i loro paesi escano di scena. Da Donald Trump a Jair Bolsonaro, presidente del Brasile, questi presidenti rappresentano un grave pericolo non solo per le loro nazioni, ma per il futuro dell’umanità tutta.
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