Vogliono abbattere i gorilla negli zoo, sono troppi e non possono essere rimessi in libertà

Vogliono abbattere i gorilla negli zoo perché sono troppi, difficili da gestire, costosi. Senza alcuna utilità per la conservazione, i gorilla di pianura presenti nelle strutture di cattività sembrano essere diventati solo uno stock da gestire. Almeno secondo indiscrezioni raccolte da The Guardian che pubblica un articolo su questo tema scottante. Non è la prima volta che gli zoo entrano nell’occhio del ciclone per la gestione disinvolta degli animali ospitati. Spesso abbattuti quando non sono in perfetta forma o sono troppi.
Un problema che coinvolge anche specie che si trovano in pericolo di estinzione, come i gorilla di pianura, ma che non possono comunque essere reimmessi in natura. Contrariamente a quanto si crede sono soltanto pochissimi i progetti che prevedono l’allevamento di animali per la loro reintroduzione negli habitat da cui provenivano, mentre molte sono le specie vulnerabili che queste strutture dicono di detenere a fini di conservazione. Una leggenda che però non corrisponde quasi mai alla realtà.
Questi animali custoditi negli zoo potrebbero, al massimo, costituire una banca genetica vivente. Bisognerebbe però riuscire a valutare quale sia il tasso di consanguineità. Gli animali ospitati negli zoo infatti sono spesso imparentati fra loro essendo il prodotto di riproduzioni controllate. Nascite che possono contare poco su un’utilità di arricchimento del patrimonio genetico della specie. Facendo così cadere anche l’ultimo baluardo che spesso viene usato per giustificare la cattività degli animali presenti in queste strutture.
Vogliono abbattere i gorilla dimostrando, ancora una volta, che gli zoo servono principalmente a far denaro
La conservazione deve essere fatta in natura, difendendo con le unghie e con i denti i territori che ospitano animali selvatici in pericolo. La drastica riduzione degli habitat, unita alle alterazioni ambientali, è la principale causa che porta all’estinzione di specie animali. I gorilla di pianura sono in pericolo da molto tempo, proprio per questo motivo. La popolazione della sottospecie di pianura risulta comunque essere meno a rischio di quella di montagna, tanto amata da Dian Fossey.
In merito alla necessità di abbattere i gorilla il quotidiano britannico pubblica un passaggio del documento dell’associazione degli zoo: “Il principale svantaggio di questa opzione è che è controversa in molti paesi e in alcuni illegale, in circostanze specifiche. Qualsiasi discussione sull’abbattimento può diventare rapidamente emotiva perché è facile provare empatia con i gorilla. Ciò comporta un alto rischio che una risposta emotiva da parte del pubblico e/o del personale e dei custodi dello zoo, catalizzata dai social media, infligga danni a zoo e acquari”.
Tratto dal documento dell’EAZA (l’associazione europea degli zoo) pubblicato da “The Guardian”
I gestori dei giardini zoologici sono quindi consapevoli dell’ostilità dell’opinione pubblica nei confronti di queste operazioni di sfoltimento programmato. Una gestione degli animali, e in particolare delle grandi scimmie antropomorfe, davvero poco rispettosa della loro dignità di esseri senzienti. Realtà che ci ricorda, se ancora ce ne fosse bisogno, come la stragrande maggioranza di queste strutture consideri gli animali come “prodotti da esposizione”, che servono principalmente per attrarre pubblico. Animali che devono essere in forma e in ottima salute per essere esposti al pubblico, un po’ come se si trattasse di un concorso di bellezza.
Le polemiche non servono ad allontanare definitivamente il pubblico da queste prigioni, che non assolvono più neanche a una funzione educativa
La cattività degli animali non dovrebbe più essere finalizzata a fini espositivi. Potrebbe trovare giustificazione solo in presenza di reali progetti di riproduzione, finalizzati a una reale possibilità di reintroduzione in un contesto libero. La vista di animali prigionieri, tenuti in condizioni molto diverse da quelle naturali, non educa al rispetto, non insegna nulla. In un mondo tecnologico in grado di realizzare documentari meravigliosi e, comunque, non quando vengono violati i presupposti etici che possano anche lontanamente giustificare la prigionia.
In Italia la legge impone agli zoo di svolgere attività di educazione e di conservazione, azioni che spesso vengono assolte solo in minima parte. Ogni zoo racconta sui siti che pubblicizzano le strutture il grande impegno profuso, ma spesso è più teorico che pratico. E’ tempo che sia fatta una reale valutazione scientifica sul rapporto costi/benefici di queste strutture, valutando la sofferenza che causano agli animali. Prendendo in considerazione anche il lato oscuro di queste attività, che solo sporadicamente arriva a essere rivelato al pubblico.
Gli zoo, ora diventati parchi faunistici, sono stati abili nel dare a queste strutture un aspetto estetico che allontana il visitatore dall’idea di prigionia. Creando ambienti che possano essere percepiti come ampi spazi nei quali gli animali vivono in condizioni di benessere. Facendo così scordare che il benessere di una specie selvatica sta nella possibilità di poter svolgere i propri comportamenti naturali. Quelli che l’etologia definisce come l’etogramma proprio di ogni specie. Purtroppo, invece, in cattività questi animali non riescono neppure a difendersi dalla noia mortale che comporta la loro condizione.
La pandemia dovrebbe averci insegnato l’importanza della condivisione, ma anche della separazione
Gli Stati devono fare tutto quanto nelle loro possibilità per conservare l’ambiente e migliorare i rapporti di convivenza con l’uomo. La costante invasione dei territori degli animali selvatici ha messo a rischio non solo la loro sopravvivenza, ma anche la nostra. La pandemia ci ha dimostrato la necessità di tenere rigidamente separati i nostri mondi, per rispettare le esigenze dell’ambiente. Ma anche per difendere la nostra salute dai virus con i quali la fauna convive da sempre e che sula nostra specie hanno effetti devastanti.
Rispettare l’ambiente naturale e tutti i suoi abitanti non umani si è rivelato un comportamento tanto irrinunciabile quanto intelligente. Il concetto oramai portante è quello di “One Health/Una salute”. Per attuarlo dobbiamo cambiare profondamente il nostro modo di rapportarci con il mondo naturale, unica possibile salvezza per poter davvero declinare il futuro per le giovani e le future generazioni umane.