Serve davvero il carcere per chi maltratta gli animali?
Serve davvero il carcere per chi maltratta gli animali? Probabilmente no specie se non accompagnato a misure che evitino realmente la reiterazione del reato. Il cardine non è mai rappresentato soltanto dalla punizione in senso afflittivo ma anche dalla reale possibilità di redenzione del colpevole.
Questo percorso deve essere necessariamente unita a misure che impediscano che il reato sia commesso nuovamente. Capisco che in un periodo come questo, fatto troppo spesso di giustizia negata, questo concetto faccia fatica a affermarsi ma è sempre necessario ragionare e non farsi prendere da reazioni emotive, tanto impetuose quanto talvolta inefficaci.
L’Italia vanta il triste primato della recidiva nella commissione dei reati da parte dei detenuti una volta usciti dal carcere (circa il 68% nei primi sette anni), percentuale che crolla nelle persone che, invece, entrano nel programma di affidamento ai servizi sociali (19%).
Lo scopo per arrivare a una reale tutela degli animali e alla giusta punizione del colpevole potrebbe allora passare attraverso misure alternative al solo carcere, nel comune interesse di impedire la reiterazione di crimini violenti e di proteggere gli animali, e non solo loro, da comportamenti antisociali. Oggi buona parte del paese vorrebbe che chi compie delitti di qualsiasi natura sia sprofondato in un baratro senza ritorno e, quindi, si invocano pene sempre maggiori, che di fatto quasi mai si traducono in realtà a causa della cronica incertezza dei giudizi nel nostro paese.
Le misure punitive, carcere compreso, non vanno considerate come una strada per risolvere un problema se nel corso dell’esecuzione non si interviene per ottenere il maggior tasso di redenzione possibile. Nel caso di chi si è macchiato di crimini efferati contro gli animali non può essere considerato importante soltanto il fatto che il responsabile trascorra un periodo, più o meno lungo di carcere, mentre è basilare far si che questa persona sia messa nelle condizioni di non reiterare il reato, sia per un’intervenuta redenzione, sia per l’applicazione di misure adeguate a impedirlo.
Molto spesso gli animal offender sono persone che a loro volta sono state vittime di violenze avvenute sulla loro pelle oppure hanno assistito a violenze nei confronti degli animali: questo è un dato scientifico non opinabile che compare in decine di pubblicazioni che riguardano il fenomeno. Appare evidente che in un contesto in cui l’abusato diventa abusatore questi abbia necessità di ricevere un trattamento diverso, che si ponga come primo traguardo la riabilitazione del soggetto. Nel contempo è necessario dotarsi di una serie di strumenti giuridici che consentano di impedire la reiterazione del crimine soprattutto per prevenire l’eventuale fallimento delle attività riabilitative.
Possono quindi essere previste misure e pene accessorie che meglio tutelino gli animali, e non solo, dalla violenza, come l’interdizione per un tempo lungo dalla possibilità di acquistare, detenere o lavorare con animali, arrivando in caso di recidiva a un’interdizione perpetua. Un’altra misura che potrebbe essere valutata positivamente e alternativa al carcere, oltre all’affidamento in prova ai servizi sociali, può essere la sottoposizione a un periodo di libertà vigilata soggetta a condizioni, in modo da mantenere obblighi, limitazioni e possibilità di verifiche che rendano molto difficile la reiterazione del crimine. Queste misure peraltro rappresentano limitazioni che possono avere un effetto di deterrenza decisamente rilevante.
Certo lo spirito forcaiolo che si legge qua e la, non solo fra qualche scalmanato navigatore, non aiuta a fare riflessioni serene ma l’obiettivo primario di quanti si occupano di animali non può e non deve essere quello di seguire la piazza, ma bensì quello di contribuire alla possibile risoluzione dei problemi. Ci possono essere misure cautelari molto più efficaci per tutelare gli animali dai maltrattamenti di quanto non sia il solo carcere, che molte persone vedono come cura di ogni patologia sociale mentre si tratta soltanto di un rimedio temporaneo e, per giunta, non sempre efficace.
Cesare Beccaria pubblicò nel 1764 il saggio Dei delitti e delle pene interrogandosi in modo molto più illuminato, per il tempo, di tanti liberi pensatori odierni. Il problema non è sbattere le persone in carcere, ma fare prevenzione e rieducazione, diversamente i crimini violenti, seppur in calo, resteranno un problema grave in Italia.
Dobbiamo arrivare a punizioni esemplari per chi commette crimini contro ambiente e animali, in ogni forma questo avvenga, però dobbiamo smettere di pensare che il carcere sia la panacea di tutti mali, perché i dati europei dimostrano che non è così. Forse non serve davvero il carcere per chi maltratta gli animali, se non in casi di dimostrata pericolosità sociale che lo rendano una misura cautelare indispensabile.
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