Scoppia in un macello tedesco focolaio di Covid19 che contagia 1.500 lavoratori

Scoppia in un macello tedesco focolaio di Covid19, contagiando 1.500 addetti dell’impianto. Una situazione senza precedenti che ha causato scalpore in Germania, un paese che ha tenuto sotto controllo efficacemente la pandemia. L’impianto di proprietà di una ricca famiglia tedesca, utilizzava manodopera proveniente dai paesi dell’Est Europa. Con tutte le problematiche legate all’uso di lingue differenti in una situazione lavorativa di per se complessa.
I macelli sono nell’occhio del ciclone, non solo negli Stati Uniti, dove hanno rappresentato un grande veicolo di contagio fra gli addetti, ma anche nella vecchia Europa. Facendo nascere interrogativi sempre diversi sull’industria della carne e sui danni provocati da una produzione sempre meno rispettosa nei confronti di animali e persone.
Con consumi di carne che sono in continua discesa e con acquirenti sempre più attenti al benessere animale, ma anche alla loro salute. Costringendo le imprese a continue operazioni di maquillage per cercare di far creder loro che la filiera della carne ha grande attenzione verso il benessere degli animali. Un concetto che contrasta con tecniche di allevamento e con il trattamento a cui sono sottoposti gli animali.
Il focolaio di Covid19 scoppiato nel macello in Germania ha riaperto molti interrogativi su questi impianti
Le autorità tedesche temono che da questo focolaio il virus possa diffondersi non solo all’intero lander ma anche all’intera Germania. Per una colpa nella gestione della problematica, la cui responsabilità viene fatta ricadere sulla famiglia Tönnies. Proprietaria dell’impianto che genera utili milionari, secondo quanto riporta il giornale britannico The Guardian.
I macelli non sono solo intrisi della sofferenza degli animali ma sono anche luoghi sporchi, dove sangue e interiora si mescolano dando vita a condizioni igieniche problematiche. Che non possono essere risolti quando questi stabilimenti viaggiano come se fossero catene di (s)montaggio. La velocità delle operazioni di macellazione, necessaria per ottenere carni a basso costo, è una delle cause di sofferenze e maltrattamenti agli animali, che i consumatori non vogliono vedere.
Ma la pandemia di Covid19 sta mostrando un dietro le quinte che era sconosciuto. L’industria delle carni, le fabbriche di proteine, e gli enormi costi in termini ambientali e di sofferenza sono arrivati in modo chiaro anche al grande pubblico. Che non può più far finta di non sapere come sia prodotta la carne che trova nel banco frigor del supermercato. Costringendo molti colossi dell’alimentare a rivolgere la loro attenzione anche a prodotti vegetariani e vegani.
Modificare le scelte alimentari sarà un comportamento sempre più diffuso, essendo aumentata la consapevolezza grazie all’informazione libera
Fino a qualche anno fa criticare i grandi colossi dell’alimentare era considerato un problema, per i grandi volumi di pubblicità che queste industrie assicuravano ai media. Ma più si è diffusa la libera informazione, che ha posto l’accento su una serie di problematiche ambientali e animali, e meno giornali e TV potevano continuare a ignorare il problema.
Ci sono voluti molti anni per cambiare l’informazione, che sarà in grado di orientare diversamente il mercato. Che sarà obbligato a assecondare le scelte dei consumatori, anche sotto il profilo dell’etica. Questo processo, anche timidamente, è iniziato già da qualche anno portando i grandi marchi a diversificare. Per non correre il rischio di arrivare tardi in quello che è ritenuto un mercato in espansione: quello delle proteine vegetali.
Così anche colossi come Findus si sono gettati sul mercato green, dopo essere stati colti in fallo negli anni passati per aver utilizzato carne di cavallo senza dichiararla in etichetta. Mettendo sul mercato una linea verde, realizzata con proteine vegetali e pubblicizzata come una scelta etica, per cambiare il mondo. Nessuno crede, ovviamente, al fatto che sia davvero una folgorazione ecologista. Ma ogni cambiamento utile va salutato come un piccolo passo avanti a cui sono stati costretti.