Canili pieni al Nord torna randagismo, ma proviene dal Sud Italia

Canili pieni al nord torna randagismo

Canili pieni al nord torna randagismo? Dopo anni di un andamento in costante decrescita dovuto a una maggior attenzione delle istituzioni il numero dei randagi sembra riprendere a crescere.

La riduzione è stata motivata anche grazie a un approccio più responsabile da parte dei cittadini. Un’inversione di rotta.

Appare chiaro che questo non può essere dovuto a un peggioramento del livello di responsabilizzazione delle persone o (solo) di un allentamento dell’attenzione dei servizi pubblici preposti.

I cani che stanno riempiendo i canili del nord Italia vengono in buona parte dal meridione e in altra parte da casi di accumulo compulsivo,  prima poco indagati.

Sarebbe quindi giusto dire: canili pieni, al nord torna randagismo. Però non è così, non è vero che il randagismo sia tornato al nord, semplicemente è in atto un trasloco, in gran parte dissennato, dei randagi del meridione che vengono mandati senza sosta, e troppo spesso senza criterio, al nord.

(Tras)portati dalle cosiddette staffette, un mondo fatto di persone per bene e mestieranti, di animalisti e animalari, di onesti e farabutti (bisogna avere il coraggio di dirlo)! Su questo problema avevo già scritto un post (leggi qui)

Non si possono difendere tutti, dobbiamo forse iniziare a guardare non solo l’ipotetico fine di una serie di azioni, costituito dal trovare casa a un randagio, ma anche come queste vengono messe in atto, con tutti i danni che fin troppo spesso comportano.

Trovare casa a un randagio è un impegno fantastico, se fatto con intelligenza

Per essere ancora più chiaro non è una guerra fra nord e sud, e non lo deve diventare, ma fra persone di buon senso contro speculatori o quantomeno personaggi che creano maltrattamenti e talvolta causano la morte dei cani.

La tratta dei cani, il lato oscuro ma non troppo del randagismo di ritorno che colpisce il nord, ha talvolta metodi molto simili a quelli dei trafficanti. Racconta storie strappalacrime, chiede soldi, organizza trasporti in condizioni orrende, consegna cani spesso non socializzati, malati, di taglie diverse da quelle promesse e lo fa sotto i ponti delle tangenziali, nelle aree autostradali.

Danneggiando i cani e le persone che invece lo fanno con criterio, professionalità, rispetto delle regole. Così spesso il cane scappa, pensate al comportamento di un randagio DOC, non socializzato: talvolta viene ripreso, altre volte resta randagio, ma il più delle volte questi cani causano incidenti stradali, finendo investiti.

Con buona pace di quanti hanno contribuito a vari livelli a queste morti, per troppa emotività, per affari, per svuotare un canile del Sud. Morti che, quasi sempre, restano impunite.

Le complicità nei trasferimenti

Ci sono cose che vengono sussurate e mai dette: i Comuni del sud agevolano queste operazioni di trasferimento, senza andare troppo per il sottile e lo stesso fanno i servizi veterinari pubblici, disponibili a intestare tantissimi cani in capo a uno stesso soggetto privato, una persona non un’associazione.

Con lo stesso intento: decongestionare una pressione sulle strutture causata da un randagismo dilagante, che in decenni e decenni non hanno mai combattuto seriamente.

E il Nord cosa fa? Che strategia mettono in atto le Polizie Locali e i servizi veterinari per contrastare il traffico dei cani, e non parlo del trasferimento ordinato di soggetti idonei verso strutture di accoglienza del Nord Italia, ma di quella fetta cospicua di trasferimenti che ha contribuito a riempire i canili del Nord?

Poco o nulla, si limitano a cercare di contrastare casi spiccioli, cercando di identificare i soggetti che troppo spesso ritrovano, casualmente, cani randagi senza microchip e li portano nei canili. Finti rinvenitori di cani randagi.

Si occupano dei cani sciolti, delle frange terminali di questo fenomeno. Ma in ogni regione, in ogni provincia, esistono punti precisi in cui arrivano carichi di decine e decine di cani ogni settimana. Cani spacciati sulla rete come fanno i trafficanti, impietosendo persone di buon cuore che spesso, però e purtroppo, non sono in grado di gestire cani problematici. Non hanno la preparazione e quasi sempre nemmeno il tempo necessario o le risorse economiche per farlo.

Basterebbe controllare i luoghi d’arrivo, la qualità dei trasporti, i documenti e le procedure e procedere secondo legge. Chi è a posto prosegue il viaggio, agli altri si sequestrano cani, mezzi, si denunciano gli eventuali maltrattamenti e si fanno indagini sulle connivenze che ci sono state nei comuni di partenza.

Difficile? No, soltanto costoso: in questo modo i Comuni del luogo ove è avvenuto il sequestro dovrebbero farsi carico di tutte le spese di custodia dei cani. E non vogliono farlo, come forse non vogliono denunciare altri dipendenti pubblici, i loro colleghi del Sud.

Così questa storia si perpetua, senza risolvere il problema del randagismo ma anzi diffondendolo di nuovo su tutto il territorio nazionale. Con tanti, troppi, silenzi, molte non azioni, troppe poche condanne di questi comportamenti dissennati.

I cani del sud devono essere fatti arrivare presso canili e rifugi del nord, valutati, visitati e dati in adozione secondo protocolli noti e efficaci, che hanno ridotto moltissimo il tasso di ritorno dei cani in canile. Bisogna vietare di usare la rete per cedere, vendere, commerciare, trafficare animali.

Il resto è storia di tutti i giorni. Ma qualcuno dovrebbe pianificare interventi per stroncare questi traffici che creano non solo problemi di sovraffollamento delle strutture ma anche problematiche sanitarie e maltrattamenti a danno degli animali. Certo non si può continuare a ignorare un problema soltanto perché è scomodo da affrontare. Nell’interesse di uomini e animali.

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