Cacciatori contro italiani, parte infatti la stagione venatoria, con un anticipo di più di tre settimane, in quasi tutte le regioni italiane con le sole eccezioni di Lombardia, Liguria, Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e Bolzano.
In tutte le altre regioni il 1° settembre e la domenica successiva sarà possibile cacciare un numero di specie variabili da regione a regione, compresa la tortora selvatica specie in costante diminuzione. Un regalo immotivato, non corrispondente alle direttive europee e irrispettoso delle esigenze della fauna, per una stagione venatoria che durerà più di 4 mesi e andrà a chiudersi il 31 gennaio.
Dopo aver commesso una serie di violazioni per cui è stata reiteratamente sanzionata quest’anno la Regione Lombardia sembra aver deciso per un sostanziale rispetto delle normative nazionali e comunitarie, almeno per quanto riguarda l’argomento delle pre aperture della caccia, riducendo un poco il conflitto cacciatori contro italiani.
Come ogni anno l’avvio della stagione venatoria è portatore di una serie di polemiche fra quanti pretendono di poter esercitare questa attività e quanti, invece, la trovano non solo anacronistica ma anche fonte di un ulteriore danno al patrimonio faunistico nazionale e alle specie migratorie, che sono tutelate nell’interesse della comunità internazionale. Ma la caccia è un’attività che provoca non soltanto dei contrasti fra quanti difendono gli animali e i cacciatori, ma anche e soprattutto con una larghissima maggioranza dell’opinione pubblica nazionale che alla caccia si è dichiarata contraria. Nonostante questa avversità popolare i politici hanno sempre guardato con un occhio di riguardo al mondo venatorio perché rappresenta un indiscusso serbatoio di voti che, compatti, si riversano sui candidati caldeggiati dalle varie associazioni dei cacciatori.
I cacciatori peraltro si propongono sempre, con una pervicacia degna davvero di miglior causa, come i custodi del patrimonio naturale, della fauna e come i regolatori dell’equilibrio faunistico, trascurando e minimizzando sempre gli episodi di bracconaggio e, giusto come esempio, le tonnellate e tonnellate di piombo che ogni hanno spargono in ambiente, ben sapendo tutti il potenziale inquinante di questo metallo. Questi custodi della biodiversità sono gli stessi che ogni anno causano incidenti con morti e feriti, che impediscono durante la stagione della caccia una normale fruizione dell’ambiente ai cittadini e che soffiano sul fuoco contro i predatori, dalla volpe all’orso, colpevoli di competere con loro nella cattura delle prede.
Per non parlare del lupo, vera bestia nera dei cacciatori, che predando prevalentemente ungulati viene visto non solo come un competitore, ma anche come la possibile soluzione naturale ai problemi di sovrappopolamento, fatto che causerebbe la chiusura del grande luna-park delle cacce di selezione.
Qualcosa non funziona però in questa visione “sociale e ecologica” della caccia propagandata dalle associazioni di categoria ed è così facile dimostrarlo che lo capisce anche chi di caccia non sa davvero nulla:
- Ripopolamenti: le continue immissioni di fauna stanziale, come fagiani, lepri e pernici, non servono affatto a ripopolare stante che questa fauna viene immessa, legalmente e illegalmente, prima e durante la stagione venatoria proprio perché il suo rilascio serve solo a creare un serbatoio di animali “pronta caccia”, diversamente, visto che si ripopola da decenni, lepri e fagiani dovrebbero essere specie più presenti dei colombi in una piazza cittadina;
- Regolazione della fauna: il fallimento è sotto gli occhi di tutti dato che proprio il mondo venatorio ha introdotto, ad esempio, cinghiali provenienti dai paesi dell’Est Europa in quanto più grossi e prolifici che poi si sono riprodotti senza controllo, con la complicità proprio di quel mondo che si propone di regolarne il numero, con i risultati che sono sotto gli occhi tutti. Discorso analogo vale per tutte le altre specie animali oggetto del cosiddetto “selecontrollo” ovvero controllo tramite selezione delle popolazioni, operato in particolare sugli ungulati (cervi, caprioli, daini) e su colombi e cornacchie: il risultato di quest’attività è però completamente assente e le popolazioni oggetto di caccia sono in espansione, con la sola eccezione dei colombi limitati naturalmente dall’incremento delle cornacchie grigie che hanno cominciato a vivere in città;
- Repressione del bracconaggio: nonostante le associazioni venatorie possano nominare guardie volontarie per controllare le attività di caccia, un’assurdità in termini dove controllore e controllato si sovrappongono, non risultano essere particolarmente attive nella repressione del bracconaggio. Sulla stampa non si leggono quasi mai notizie di denunce e le associazioni ben si guardano dal diffondere i dati, che arrivano copiosi dalle altre forze in campo.
La caccia resta però un’attività lecita, sino a quando il nostro parlamento non deciderà in modo contrario, come sarebbe auspicabile proprio in virtù della sua duplice caratteristica: essere un’attività anacronistica e esclusivamente ludica che però, nel suo svolgimento, lede i diritti della maggioranza della popolazione e essere fonte di un danno ambientale rilevante, che non è nemmeno lontanamente compensato dai proventi derivanti dalle tasse dei cacciatori. Due ottime ragioni per decretare uno stop a questa attività che invece trova ben 16 regioni italiane disponibili a concedere le aperture anticipate della caccia.
Quest’anno poi l’assenza di moltissime polizie provinciali, sciolte dissennatamente, diminuirà sensibilmente il contrasto in attesa che anche i Forestali spariscano di scena, inglobati nei Carabinieri come oramai è stato deciso. I bracconieri, naturalmente, ringraziano.