La lotta al randagismo, specie nelle regioni meridionali del nostro paese, deve essere uno degli obbiettivi primari per garantire il benessere degli animali.
Per risparmiare sui soldi pubblici e per interrompere questo fiume di cani vaganti che deve essere arginato con provvedimenti coordinati e di lungo periodo.
Ma l’accalappiamento e la custodia dei cani vaganti sono un business che in Italia vale diversi milioni di euro, la maggior parte dei quali vengono riversati dai fondi dell’amministrazione pubblica verso soggetti privati.
Imprenditori che nel tempo si sono arricchiti grazie all’assenza di un piano nazionale, coordinato, articolato e soprattutto attuato di lotta al randagismo.
I comuni hanno decenni di inadempienza nella costruzione dei canili, comunali o consortili, che erano stati resi obbligatori nel lontano 1954 dal Testo Unico delle leggi di Polizia Veterinaria e questo fatto avvantaggia enormemente i privati che hanno strutture per la custodia dei cani randagi.
Le convenzioni generalmente riconoscono un importo fisso per ogni giorno di ospitalità data al cane, spesso senza considerare altri parametri per poter almeno cercare di dare una vita accettabile agli animali rinchiusi in questi canili. Gli animali spesso hanno pochissime possibilità di essere adottati: quale gestore di una struttura ricettiva cercherebbe di mandare via i clienti paganti che ospita?
Questi costi si riversano sulle amministrazioni comunali che, a loro volta, li coprono grazie alla tasse dei cittadini, spesso sprecandoli in opere incompiute piuttosto che in azioni coordinate di lotta al randagismo. Guardate cosa appare in questo servizio realizzato dall’emittente locale Italia2TV.it , che ha realizzato un servizio sulla problematica del randagismo nel comprensorio della Comunità Montana del Vallo di Diano (SA): un canile iniziato nel 2007 e mai finito dopo 9 anni!
Ancora una volta le opere pubbliche vengono iniziate, i soldi spesi, i lavori interrotti con grande soddisfazione dei privati che possono continuare a gestire i cani randagi catturati, senza dimenticare che di situazioni come queste è lastricata l’intera penisola. Appare evidente come i controlli siano carenti o assenti.
Controlli e verifiche non soltanto sull’esecuzione delle opere, ma anche sul rispetto degli obblighi imposti dalla legge ai Comuni e alle Comunità Montane, alle quali i prefetti dovrebbero ricordare, in modo impositivo, le attività obbligatorie demandate ai Comuni italiani per la lotta al randagismo.
Il ragionevole dubbio, che diventa una ragionevole certezza è che tutto deve restare immoto, per garantire lauti guadagni ai soliti noti.
In questo articolo troverete l’intervista che ho rilasciato nel quale dichiaro senza mezzi termini che , il randagismo, ingrassa le tasche anche delle associazioni animaliste.
http://www.fieradellest.it/canili-la-protesta-continua/
Sicuramente sul randagismo sono in troppi a guadagnare, ma non condivido che la gestione delle strutture debba essere fatta direttamente dai Comuni. Sono un accanito sostenitore del principio che le strutture debbano essere comunali, per non creare alibi a cattive/pessime gestioni. Poi è difficile non condividere l’enunciato che i canili non siano la “soluzione” per risolvere il problema del randagismo, ma solo uno spiacevole effetto collaterale di un contrasto al fenomeno mal condotto.