Maltrattamento animale e sofferenza psichica

Maltrattamento animale e sofferenza psichica: il primo è un reato, la seconda una condizione. Difficile da far apprezzare quando non lascia segni nella carne, non è causa di lesioni, non da luogo a comportamenti esasperati nell’animale. La mancata percezione della sofferenza da parte di chi è chiamato a valutarla non è condizione peculiare di quella animale, molte volte nemmeno quella umana appare chiara a tutti.

La difficoltà di valutare non un episodio, non un fatto specifico, non una privazione che produca conseguenze fisiche, ma una sofferenza causata dalla costante presenza di condizioni afflittive, che impediscano di vivere in una condizione di benessere psicofisico. Non dovrebbe essere una condizione difficile da percepire, ma se non si riesce a vederla nemmeno in un nostro simile quanto può essere difficile capire quella di un leone, rinchiuso in una gabbia?

Molti uomini hanno difficoltà a vedere oltre quanto è rappresentato dalla materialità delle azioni, dalla violenza visiva delle situazioni. Forse non capiscono che gli animali sono come le persone, ognuno ha un suo comportamento, un suo temperamento e un carattere. Ci sono prigionieri che passano la vita a sbattere contro le sbarre e altri che la trascorrono in una rassegnazione muta, ma non per questo meno sofferta.

Non è necessario valutare i valori del cortisolo per accertare la sofferenza

Quando si cerca, nel contrasto dei maltrattamenti sugli animali, di dimostrare la sofferenza muta, quella ambientale, non traumatica subito gli avvocati dell’indagato insorgono. Chiedendo di dimostrare la sofferenza in modo tangibile, ad esempio rilevando il livello di cortisolo, l’ormone dello stress. In un leone del circo, in una tigre magari. Come se fosse facile il prelievo e come se questo test potesse essere risolutivo per la valutazione della sofferenza.

Certo può essere un indicatore, un riferimento, specie quando si conoscano i livelli ritenuti normali, desiderabili. Ma questo discorso diverrebbe molto tecnico e inadatto a queste pagine. Per valutare il benessere o il malessere basterebbe fare alcuni semplici ragionamenti, come per comprendere se possano causare sofferenza.

La miglior definizione di benessere animale ancor’oggi è quella cristallizzata da Donald Broom, professore emerito di benessere animale all’università di Cambridge, che lo ha definito come “Lo stato di un individuo per quanto concerne i suoi tentativi di adattarsi all’ambiente“.

Più un animale, umano o non umano, è in una condizione armonica con l’ambiente che lo circonda, senza ricevere stimoli negativi e migliore e la sua condizione di benessere. In una situazione uguale e contraria un animale si trova invece in una condizione di malessere costante che è causa di sofferenza.

Ci sono forme di tortura, riconosciute come tali sull’uomo, che non sono messe in atto tramite azioni ma sono provocate da privazioni. Vengono indotte artificialmente situazioni che non causano lesioni e sofferenze fisiche apparenti: privazione del sonno, stimolazione acustica costante, limitazione del movimento, alterazione del ciclo circadiano, ridotta somministrazione di liquidi, impossibilità di sottrarsi alla vista, costante senso di trovarsi in pericolo,

Torniamo ora al nostro leone, costretto in uno spazio di 6 metri quadri, confinante con un altro animale (una tigre), per giunta antagonista, senza arricchimenti ambientali, senza possibilità di nascondersi, senza disporre di un spazio sollevato da terra, con uscite saltuarie in un’area vuota e priva di stimoli. Con l’aggravante di essere costretto a viaggiare, durante gli spostamenti, su un carro in ferro, aperto su un lato, non coibentato.

Questa situazione non è stata considerata un maltrattamento penalmente rilevante, nonostante perizie e rilevamenti e l’imputato è stato di conseguenza assolto. Solo perché il tribunale non è stato in grado di apprezzare la sofferenza non traumatica, causata per fini meramente economici, derivanti dalla non volontà di investire in una struttura migliore. Forse anche alla luce del fatto che il leone era stato acquistato per 300 Euro.

Il mancato apprezzamento della sofferenza non deriva, soltanto, dalla non conoscenza dei bisogni di un leone

Troppe volte in materia di maltrattamento animale vengono sottovalutate e non comprese le sofferenze psichiche, che poi si traducono in malesseri fisici o in vere e proprie patologie. Forse solo per mancanza di empatia, di comprensione di cosa possa essere afflittivo per un animale, ma anche per un uomo.

Del resto la sensibilità è una condizione poliedrica che molto spesso non fluisce in modo uniforme. Basti pensare, per andare dal lato opposto, quanti siano sensibili alla sofferenza di un cane, indifferenti a quella di un maiale o di una vacca, desensibilizzati verso quella di uomini e donne che muoiono attraversando i deserti, annegati nel Mediterraneo o che vengono torturati nei campi di concentramento libici, che l’Europa finanzia per lasciare il “nemico alle porte”.

La strada per il riconoscimento dei diritti dei viventi è ancora lunga e non sono così convinto che avremo il tempo di percorrerla tutta. Se non ci fermiamo a riflettere, se non agiamo concretamente rischiamo infatti di essere travolti prima di trovare la soluzione. Nel frattempo le persone di buona volontà continuino ad adoperarsi per cercare di garantire i diritti a chi ne ha meno o non ne ha affatto.

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