Migranti alla ricerca di un futuro

Migranti alla ricerca di un futuro perché il nostro paese è un crocevia di viaggi della speranza, di migrazioni spontanee. Migrazioni indotte, sollecitate oppure provocate da sconvolgimenti del territorio, da cattive politiche sociali o dal prevalere dell’economia sull’etica.

Quando si pensa ai migranti alla ricerca di un futuro, in quest’epoca, si pensa ai tantissimi esseri umani che sono in fuga da guerre, carestie, dittature.

Premono alle frontiere dei paesi più ricchi, per cercare di dare un futuro alla loro famiglia, che rappresenta una realtà assimilabile al branco che costituisce i gruppi sociali degli animali.

Questa moltitudine di anime preme sui nostri confini per una realtà molto semplice: noi ci sentiamo provati dalla crisi economica, loro vedono l’occidente come una speranza di futuro, perché anche la fame è meno devastante se almeno non ti cadono bombe sulla testa.

Cercare un futuro è un istinto legato alla sopravvivenza, alla vita, alla necessità di volere una speranza. Se ben guardiamo si possono creare tantissimi paralleli fra le vite degli uomini e quelle degli animali, siano selvatici o domestici, volino o stiano saldamente ancorati a terra.

Da sempre migrano gli animali e migrano gli uomini

Ci sono persone che si occupano di uomini, altre di animali, qualcuna di entrambi, riconoscendo nella sofferenza un collante, un tratto identificativo che ci accomuna tutti. Per questo, ad esempio, ci sono migliaia di cani in perenne movimento, dal sud al nord dell’Italia, in fuga da un randagismo endemico e spesso mal gestito, ma anche da paesi stranieri che riservano ai cani trattamenti inumani.

Così arrivano i migranti che partono dalle perreras spagnole, dai cinodromi irlandesi, dai canili della morte della Romania o dalla disperazione della Serbia ma questo elenco potrebbe allungarsi ancora con molti e molti esempi. Come accade per gli uomini anche per i cani ci sono persone che fanno da “passatori” o come si dice oramai frequentemente da “staffettisti”.

Molti di loro sono in buona fede, alcuni decisamente meno e sono quelli che, nascondendosi dietro la beneficenza e l’aiuto, lucrano sui viaggi della speranza. Cani certo quasi sempre strappati alla morte, che può arrivare nelle camere a gas delle perreras spagnole, ma anche dal veleno, dalla fame e dagli incidenti che colpiscono i randagi sulle strade del nostro mezzogiorno.

Bisogna intervenire sulle cause per evitare gli effetti

Da sempre, vittime incolpevoli di una cronica assenza di piani complessivi, di risorse ma anche di preparazione e di buona gestione degli animali di proprietà. Quasi sempre grazie a un’assenza della componente pubblica, che da troppo tempo demanda ai volontari le attività sul territorio.

Troppo spesso, pur di dare una speranza di vita agli animali, questi sono collocati senza alcuna ragionevolezza come ho potuto recentemente constatare di persona: un cucciolone proveniente dal Sud tramite una staffetta, mal socializzato, affidato a un uomo di 81 anni, con problemi, in un contesto familiare caratterizzato dalla presenza di una moglie anziana e malata e da un figlio con una malattia degenerativa.

Certo un caso limite, una pessima gestione del problema e delle modalità di aiuto, però purtroppo un caso non così infrequente, nelle mille sfaccettature delle adozioni sbagliate che poi contribuiscono a riempire i canili del nord. Certo per casi come questo ce ne sono molti di più che vanno a buon fine, di cani che trovano una vita diversa, migliore.

Anche questo è in fondo un parallelismo con le possibilità dei rifugiati della nostra specie, che molte volte trovano un destino amico e tante altre finiscono in un universo di disperazione, abbandono, degrado, prostituzione anche minorile. Non per tutti il futuro sarà sereno dopo un lungo trasferimento nel quale hanno ancora una volta rischiato la vita per disperazione.

Poi ci sono le migrazioni naturali e quelle indotte dal commercio: le prime hanno portato i lupi a ricolonizzare l’Italia, partendo dal nucleo originario sopravvissuto nell’areale abruzzese molisano fino a raggiungere i loro cospecifici transalpini, oppure gli ingressi dal tarvisiano di linci e sciacalli, ancora con numeri molto piccoli o degli stessi orsi.

Ma sono tornati anche i gipeti, i grifoni e altre specie un tempo scomparse che, con più o meno aiuti, hanno rioccupato le loro nicchie ecologiche. Il commercio nel corso degli anni ha fatto conquistare terreno e territorio anche a specie alloctone delle quali si sarebbe fatto volentieri a meno, ma che oramai sono presenti e devono essere considerate come “naturalizzate”.

Abbiamo rilasciato in ambiente animali che non erano presenti in Europa

Per questo si sono stabilite in Italia nutrie, gamberi della Louisiana, tartarughe della Florida (anche se per fortuna non risultano riproduzioni ma solo sconsiderate immissioni) ma anche parrocchetti, dal collare e monaci, qualche procione e una lunghissima lista di animali appartenenti alla fauna minore e al regno vegetale.

Non ultima una considerazione sulle mutate abitudini di cornacchie e gabbiani, che in numero sempre maggiore hanno scelto le città come luogo dove vivere e nidificare, grazie a maggiori risorse alimentari, temperature generalmente più miti e facilità di luoghi protetti idonei alla nidificazione. Spesso, come le specie aliene, entrando in conflitto con l’uomo.

La nostra specie ha la presunzione di poter decidere chi, come e quanto potrà restare sul territorio, ma se guardasse con obiettività ai dati si renderebbe conto che in nessun modo esiste la capacità di limitare, eradicare, impedire a esseri viventi di cercare un diverso futuro.

Unica possibilità sarebbe la prevenzione, la capacità di non determinare le condizioni che danno origine a queste migrazioni: cambiamenti climatici, guerre, carestie e altre concause quando non sono gestite generano le migrazioni, spontanee o meno, verso posti più accoglienti.

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