Randagismo: scarsi interventi pubblici, cani migranti forzati per mancanza di soluzioni. Il malaffare dilaga, lo Stato e le Regioni del sud Italia sono in perenne ritardo per combattere il fenomeno e così lo spostamento dei cani prosegue, ma non sempre in modo attento al benessere degli animali
Se mettete un “alert” su Google con parola chiave “randagismo” riceverete ogni giorno decine di articoli sul fenomeno del randagismo, alcuni trionfalistici nonostante la situazione tragica, altri che parlano di una realtà dilagante al sud. In tutto questo il problema dei trasferimenti forzati dei randagi ad opera di Comuni ma anche di associazioni e privati.
Nel grande calderone del problema “randagismo canino” non c’è dubbio che la componente più colpevole sia quella pubblica avendo al suo attivo decenni di disinteresse, sperpero di risorse e mancanza delle strutture obbligatoriamente previste per legge, come i canili. Certo si registrano anche notizie positive, ma troppo spesso sono piccole cose di fronte al problema oppure sono soltanto annunci a fini politici, per ottenere un po’ di pubblicità e rassicurare i cittadini.
I toni trionfalistici di certi articoli di stampa contrastano con una realtà fatta di un randagismo davvero ubiquo, di canili strapieni di animali che spesso non hanno una sola possibilità di trovare un proprietario, sia perché difficilmente adottabili per i traumi subiti durante questa prigionia, che spesso avviene in condizioni disumane, oppure soltanto perché rappresentano il “capitale” dei gestori privati delle strutture convenzionate.
Dietro la gestione dei canili, accanto a strutture accettabili e gestite correttamente, esistono infatti infiltrazioni criminali, canili lager e altre realtà che non avrebbero nemmeno i requisiti di legge per funzionare, per le quali però ogni cane presente significa una cifra giornaliera variabile da 2/3 Euro a molto di più ed è per questo che ai gestori non conviene far adottare i cani. Naturalmente a combinare pasticci non ci sono solo i privati, ma purtroppo talvolta anche le associazioni che ottengono l’onore delle cronache per episodi decisamente poco edificanti.
In tutto questo, nell’assenza di piani di medio-lungo periodo e di strategie realmente efficaci, i cani randagi continuano a subire una situazione che dipende soltanto dagli uomini e dalla loro pessima gestione dei cani padronali, delle riproduzioni incontrollate e delle sterilizzazioni assenti nonostante l’obbligo già imposto da decenni dalla normativa. Un brutto pasticcio che porta a un costante esodo dei randagi dal sud al nord, spesso in modo corretto e nel rispetto di normativa, benessere animale e corrette procedure di adozione, altrettanto spesso in un modo vergognoso che causa il maltrattamento per gli animali, adozioni fatte senza criterio e giri di soldi incontrollati verso staffettisti e organizzatori.
Usando i siti di annunci gratuiti i cani vengono offerti a chiunque ne faccia richiesta, frequentemente senza alcun controllo preventivo, senza alcun tipo di verifica della compatibilità fra cane e adottante. In questo modo può succedere che una persona si renda disponibile per adottare un cane tranquillo, di buon carattere e di taglia media, paghi il trasporto e non solo quello per poi ritrovarsi con un cane con problemi comportamentali, di taglia grande e magari anche malato. Troppo spesso consegnato sotto un ponte della tangenziale, riducendo a zero la possibilità di rifiuto. Sulla rete volano le polemiche, gli insulti, i post su Facebook su questa o quest’altro staffettista, i racconti di cani arrivati morti, le insinuazioni, e non solo queste, che per qualche persona non si tratti di un’attività caritatevole ma di un business messo in atto senza avere alcuno scrupolo.
In questa confusione si registra la complicità degli enti pubblici nel compiere azioni difformi dalla legge: pur di liberarsi degli animali, visti solo come un problema e un costo, risultano disponibili a chiudere non solo un occhio ma entrambi sulle attività poco trasparenti che, nei fatti, altro non sono che azioni messe in atto da trafficanti di cani, venditori di promesse ben lontani dall’avere un reale interesse per la tutela degli animali. Così è estremamente difficile per le persone che vogliano dare una nuova vita a un cane del sud districarsi fra i mille appelli, le mille “adozioni del cuore”, le continue richieste di aiuti e denaro e avere la certezza di aiutare gli animali, senza ingrassare gli speculatori.
Queste attività, comunque le si veda, rappresentano la prova provata del fallimento dello Stato e delle Regioni che con la loro latitanza hanno consentito la perpetuazione di un fenomeno che può essere sconfitto, lasciando volontari e associazioni nella condizione di dover gestire i danni derivati dalla mancata gestione del randagismo da parte della componente pubblica. Per fermare questo malaffare dovrebbero intervenire le Prefetture, per il controllo del rispetto delle norme, e le Procure della Repubblica per indagare su colpevoli omissioni, abusi, maltrattamenti di animali, truffe all’ente pubblico e danno erariale. Ma nulla sembra davvero muoversi in modo efficace e così i cani randagi continuano a rappresentare un problema e a subire vergognosi maltrattamenti.
Occorrono azioni più incisive ed un piano nazionale complessivo che regolamenti allevamenti, commercio, gestione dei canili e obblighi cogenti per l’amministrazione pubblica. Senza queste il randagismo sarà come un’altra opera pubblica per la quale sono stati spesi milioni e milioni di euro senza risultato, garantendo in compenso maltrattamenti e sofferenze ai cani randagi.
Non posso che essere d’accordo con un’ analisi così bene articolata e che dimostra una conoscenza approfondita delle varie problematiche connesse alla mancata, corretta gestione del randagismo, che, intanto, nel totale disinteresse istituzionale, è diventato un business che scatena appetiti affaristici di piccolo calibro e di grande criminalità. Ne so qualcosa in quanto Presidente di una minuscola Organizzazione di Volontariato del Sud, che si spende per tentare di cambiare le cose e cercare di incanalarle nel verso giusto. Ma che fatica!
bell’articolo ma si dovrebbe cominciare a mettere regole in questo caos se le leggi ci sono metterle in atto e dove non ci sono farle ,poi fare in modo che la gente le rispetti e non ci lucri sopra con multe dove serve .L’obbiettivo finale deve essere il benessere degli animali il lavoro è grande ma c’è la si può fare se le persone sono oneste e come obbiettivo finale hanno il benessere degli stessi
Io invece noto che nell’articolo si nascondano un po’ quelle che sono le colpe principali, cioè l’assenza assoluta da parte delle grandi associazioni animaliste storiche nel governo del randagismo. Un’assoluta assenza di controllo da parte del centro nei confronti delle sezioni locali, spesso gestite da veri e propri despoti che governano le cose per il soddisfacimento esclusivo del proprio ego e della propria tasca. Se prima queste associazioni non fanno pulizia al proprio interno di questi loschi personaggi non si va da nessuna parte. Verità passate per bugie e bugie travestite da verità e falsa bontà. Per me in tutta l’analisi manca questo aspetto fondamentale: il fallimento delle grandi associazioni storiche!
Sicuramente ci sono stati errori ed episodi di cattiva e pessima gestione da parte delle associazioni e questo è un fatto che andrebbe seriamente esaminato per non ripetere errori e abusi. Resta il fatto che le associazioni e i privati dovrebbero rappresentare un’aggiunta all’attività della pubblica amministrazione e invece, nel corso dei decenni, il rapporto si è quasi invertito e sono state surrogate troppo spesso le carenti assenze pubbliche. Bisogna riuscire, e non è facile, a ribaltare le cose costringendo Stato, Regioni, Comuni e ASL a fare il loro dovere, rendendo nel contempo più trasparente e professionale l’operato delle associazioni. Volontariato non deve essere approssimazione né diventare feudo, ma deve rappresentare una forma di lavoro non retribuito, svolto in modo professionale e soprattutto trasparente e onesto.