Regione Lombardia vuol abbandonare randagi, modificando una legge già fin troppo disattesa, riducendo le tutele per gli animali senza padrone, i compiti delle ATS (ex ASL) ma anche il rispetto di quanto dispone la legge nazionale 281/91.
Questa decisione della Regione Lombardia sembra voler lasciare i randagi con meno tutele, stralciando dalla vigente legge regionale 33/2009 tutta una serie di prescrizioni e compiti che prima erano chiaramente indicati in legge, promettendo un successivo inserimento in un regolamento specifico.
Duro il comunicato congiunto di ENPA, LAV e Collina dei Conigli, le tre associazioni presenti nella consulta regionale che sostengono essere stato “cancellato l’obbligo di apertura al pubblico dei canili; cancellato un intero articolo sul riconoscimento delle colonie feline; cancellate significative competenze attribuite alle ATS (ex ASL, ora Agenzie per la Tutela della Salute) per gli interventi di profilassi, diagnosi e terapia su cani ricoverati e gatti liberi, così come per gli interventi di pronto soccorso di cani vaganti e gatti liberi ritrovati feriti o gravemente malati; cancellata la clausola valutativa (ossia lo strumento di specifica rendicontazione sull’uso dei finanziamenti stanziati in relazione alla valutazione dei risultati ottenuti)“.
Non funziona giuridicamente neanche quanto sostenuto dal servizio veterinario regionale, il quale assicura che le norme stralciate dalla legge in vigore saranno inserite in un regolamento attuativo da emettersi entro 90 giorni: un regolamento attuativo infatti deve stabilire le modalità di attuazione dei principi contenuti nella legge e non può introdurne di diversi. In questo caso però il regolamento attuativo avrebbe ben poco da regolamentare dopo lo svuotamento della norma. Peraltro non convince nemmeno il fatto che per un lasso di tempo molto lungo, i 90 giorni previsti non sono mai imperativi e i precedenti non rassicurano, si resti con un vuoto normativo che non può certamente essere auspicabile.
Il sospetto, legittimo, è che Regione Lombardia abbia voluto ridimensionare gli obblighi di legge a carico del servizio veterinario pubblico, riducendo le prestazioni e le attività da compiere per il contrasto del randagismo e per la tutela degli animali d’affezione. Questa norma, votata in commissione sanità all’unanimità con la sola esclusione di M5S che ha votato contro e del PD che si è astenuto, rischia di riportare la Lombardia indietro di 25 anni, visto che la normativa sulla tutela degli animali, risalente al 2006, arrivava già con 15 anni di ritardo rispetto alla legge nazionale, la 281/91. Regione Lombardia fu l’ultima regione a livello nazionale a recepire i disposti della normativa nazionale e questo fatto la dice lunga sull’interesse politico rispetto a questo argomento.
Eppure proprio ieri in un’interessante convegno sul randagismo e sulle prospettive del piano triennale lombardo 2015/2017, organizzato proprio da Regione Lombardia, sono stati esposti con chiarezza i costi economici per la collettività derivanti dalla mancata prevenzione del randagismo, con l’unanimità dei consensi da parte degli intervenuti in rappresentanza del Ministero della Slute e delle regioni Lombardia, Toscana e Sicilia. Sembra evidente che quanto appare chiaro ai tecnici e alle associazioni protezionistiche non incida poi sulle scelte politiche messe in atto dai membri della commissione sanità. Un comportamento arrogante di una politica che su certi temi appare essere sempre più lontana dalla sensibilità dei cittadini.
Ora sarà necessario attendere la fine di giugno, auspicando che il Consiglio Regionale della Lombardia intenda modificare in modo sostanziale l’orientamento espresso dalla commissione sanità, inserendo nuovamente nella legge le norme arbitrariamente cancellate.
mi correggo su una cosa , ho scritto ” i randagi feriti …. oppure purtroppo portati in un canile sanitario e lasciati languire o soppressi anche se curabili .” per la verita’ questo tipo di situazione è la norma in certe regioni soprattutto al sud e isole , in Lombardia va decisamente meglio , ma solo perchè ci sono associazioni che aiutano e molti meno cani feriti per strada . Il problema pero’ lo abbiano per i gatti
I servizi veterinari pubblici non dovrebbero occuparsi di randagismo . Questa è la verita’ . Non hanno personale , non hanno le capacita’ , e sono i controllori di se stessi . Inoltre stanno andando in pensione in massa e nei prossimi anni saranno ancora meno . Se ne occupino i Liberi professionisti pagati dai comuni e dalla regione . Adesso i Comuni che sono i legali proprietari dei randagi non muovono un dito , non fanno controlli e scaricano tutto su un Servizio pubblico che tanto non fa . Non ve ne siete accorti ?
Il problema non riguarda solo la gestione del randagismo ma è decisamente più ampio. Condivido che ci debba essere una separazione di ruoli fra controllati e controllori ma non credo che la sanità pubblica possa essere privatizzata in toto, specie per quanto riguarda le autorizzazioni e i controlli sulle attività.
Lei parla di Sanita’ pubblica come se le ex ASL Veterinarie avessero mai avuto competenze e attrezzature adeguate a svolgere quei compiti. Non è mai stato cosi’ in nessuna regione di Italia . Anzi se vuole le posso fornire lampanti esempi di sprechi enormi di denaro pubblico per costruire ospedali pubblici e strutture per la sterilizzazione dei randagi che non hanno funzionato per niente . UNO su tutti il famigerato Frullone di Napoli ! dotato perfino di TAC ! che non ha mai funzionato perché nessun collega dipendente pubblico la sa usare . Non scherziamo …
I medici veterinari asl non sono in grado di curare un cane o un gatto. Non funziona come per i medici umani. I randagi feriti in Lombardia vengono portati presso strutture PRIVATE convenzionate, ove esistono convenzioni ( poca roba , mi creda ), oppure purtroppo portati in un canile sanitario e lasciati languire o soppressi anche se curabili. Sul resto dell’articolo sono d’accodo con Lei . Per quanto riguarda i controlli sulle attivita’ veterinarie …. non mi faccia parlare
Lei tratta di un problema molto complesso in poche righe e toccando molti punti dolenti. In estrema sintesi le do il mio parere personale: ritengo che la sanità pubblica veterinaria abbia complessivamente disperso un buon numero di risorse e soprattutto un’organizzazione per molti versi borbonica, con dirigenti spesso non adeguati, abbia impedito un rinnovamento di mentalità che è alla base, quanto le risorse per arrivare all’obiettivo. Ci sono regioni, come la Toscana, dove ci sono realtà più funzionanti di altre grazie a funzionari capaci, con idee chiare e risultati raggiunti e una verifica costante di produttività sul territorio. Altre regioni sono purtroppo a livelli da dopoguerra e su questo siamo d’accordo.
Senza dubbio la maggioranza dei veterinari pubblici non è in grado di svolgere attività ambulatoriale di cura sugli animali, ma non è neanche quello che dovrebbero fare, la cosa importante sono (sarebbero) i controlli, la verifica sanitaria e il benessere animale; le attività di cura degli animali malati o feriti può essere tranquillamente fatta in convenzione, come avviene per la sanità umana.
Sul benessere animale ci sono non lacune ma voragini, queste andrebbero colmate e concordo che non sarà argomento e problema di facile risoluzione, ma credo anche che sia importante metterlo come obiettivo prioritario.
Per ultimo devo osservare che conosco tanti veterinari pubblici e molti sono capaci, scrupolosi e preparati e sono i primi a essere molto arrabbiati con i colleghi che non fanno bene il loro lavoro. Non tutto quello che è pubblico è sinonimo di assenza di capacità individuali, diciamo piuttosto che è fonte di mortificazione delle stesse.