Report, Amadori, antibiotici, siam tutti polli in un mercato che ha troppe regole, molte delle quali disattese.
Dove animali e uomini sono accomunati da un destino simile: essere sfruttati e fatti ammalare.
Ancora una volta Milena Gabanelli e Sabrina Giannini han fatto centro, verrebbe da dire “parola di Francesco Amadori”. Con l‘inchiesta andata in onda su Report sull’antibioticoresistenza, fattore indotto dai troppi antibiotici assunti anche attraverso i cibi.
Qualcuno poteva infatti pensare che fossero le persone a intossicarsi con troppi antibiotici, realtà in effetti molto variabile da regione a regione, non si capisce se a causa degli informatori farmaceutici e dello strapotere di Big Pharma oppure per scelte incomprensibili fatte dai medici, su base evidentemente geografica.
Nella realtà il maggior consumatore di antibiotici del Belpaese si chiama “allevamento intensivo” e questa necessità è dovuta alle condizioni di insalubrità delle strutture di allevamento, con grandi concentrazioni di animali, igiene discutibile, sofferenza alta e patologie che in queste condizioni sono tenute sotto controllo solo dai farmaci.
Patologie causate dai batteri patogeni che, come gli antibiotici, spesso passano dagli animali all’uomo dando luogo a malattie molto molto serie, come le infezioni causate dallo staffilococco aureo(staphylococcus aureus) oppure dalla klebsiella.
Le telecamere di Report, con l’aiuto del team investigativo di Essere Animali, sono entrate negli allevamenti intensivi della Amadori, una delle aziende italiane più note anche in virtù del noto tormentone pubblicitario nella quale il presidente dell’azienda attesta le qualità dei suoi prodotti concludendo con il famoso slogan “parola di Francesco Amadori” .
Il quadro che ne è uscito risulta essere inquietante: topi che passeggiano sui suini allevati, un dipendente che urina nell’allevamento, polli sbatacchiati come fossero stracci, maiali tenuti in condizioni pessime; insomma tutto il contrario di quanto afferma il loro sito in termine di benessere animale sotto il claim che recita: “il nostro impegno: Amadori e il benessere animale”.
Come sempre si dimostra che gli allevamenti intensivi sono incompatibili con il benessere degli animali allevati, ma ora inizia anche a emergere in modo sempre più chiaro che sono incompatibili anche con il benessere delle persone, non solo perché troppa carne è cancerogena secondo l’OMS, ma perché queste tipologie di allevamenti sono delle bombe batteriche innescate, con il loro carico sia di sofferenza che di patogeni.
Dopo aver visto la trasmissione infatti fa davvero sorridere, anzi fa sbellicare dalle risate, che ci sia qualcuno preoccupato dalle patologie che possono trasmettere i piccioni oppure le pericolosissime nutrie, ignorando completamente che i patogeni possono arrivargli in casa perché li acquista al supermercato insieme agli antibiotici. Senza far torto naturalmente agli ospedali che sembrerebbero essere più pericolosi per il pericolo di infezioni piuttosto che per il rischio chirurgico.
Il quadro è davvero inquietante e invito tutti quelli che non l’avessero fatto a guardare la puntata di Report, che non voglio considerare la Bibbia, ma che unita a tutte le altre trasmissioni andate in onda su questo tema costituisce un motivo di grande allarme, non solo per la cronica mancanza di benessere degli animali o per il loro grave maltrattamento.
Il problema vero non è nemmeno Francesco Amadori, uno dei tanti imprenditori che si comporta né più né meno come farebbe un animale: si adatta alla nicchia “ecologica” nella quale è inserito. Mi spiego meglio: queste cose non nascono dall’oggi al domani sono il frutto dell’evoluzione della specie, in un paese con troppo pochi controlli, con troppe leggi che si sovrappongono, con riti processuali che farebbero venire i capelli dritti a chiunque abbia la sventura di assistervi.
Piano piano, come i patogeni, ci sono pezzi di Italia che si adattano, si allargano, occupano nicchie libere approfittando dei pochi controlli, di controllori talvolta troppo distratti e alcune volte compiacenti, di una burocrazia che spesso è la vera chiave dell’impunità e di grandi possibilità economiche garantite da produzioni a basso costo.
In 40 giorni è pronto un pollo, in tre mesi un maiale va al macello ma nessuno si chiede cosa non funzioni in questo assurdo processo produttivo, dove gli animali son meno di macchine.
L’Italia è il paese dove la televisione di Stato, la RAI, non riesce a intervistare il ministro della salute (!?), Bea Lorenzin, che rifiuta le interviste, che va pedinata e scovata in una manifestazione pubblica per aver qualche risposta, peraltro assolutamente non convincente.
I politici pensate siano al nostro servizio, in fondo li paghiamo con le nostre tasse ma anche qui si inverte la logica: noi paghiamo il canone RAI, anche per avere quel briciolo di informazione che Report e Presa Diretta ci garantiscono, ma la RAI non riesce a intervistare i politici che ci fanno pagare il canone e dei quali noi paghiamo gli stipendi.
Ma la RAI non riesce neanche a intervistare i direttori del Ministero della Salute che si negano anche loro, come se fossero Francesco Amadori, l’unico che in fondo aveva titolo per mandare a stendere la Giannini: non è ancora obbligatorio, infatti, per un imprenditore rilasciare dichiarazioni.
I risultati di questi paradossi sono che in Italia le lobby contano più del parlamento, riescono perfino a far dire a un funzionario ministeriale che, certo, una farmaceutica finanzia un convegno sul farmaco, ma non condiziona i contenuti che sono esclusivamente di competenza ministeriale. Se qualcuno conosce un’azienda che finanzia un convegno nel quale si parlerà male dei suoi prodotti me lo faccia sapere, che prometto di dedicare ampio spazio a questo nuovo mecenatismo culturale.
Nel frattempo mentre mancano i controlli, i processi non si fanno, le leggi sono troppe e in conflitto fra loro e i ministri non rispondono alle domande dei cittadini, scopriamo che anziché in farmacia gli antibiotici è meglio acquistarli in gastronomia. In questo frangente, in questa Caporetto del buon senso l’Europa che fa? Nulla se non cercare di approvare il TTIP, che diminuirà ulteriormente le garanzie per i consumatori e non solo questo.
Gli animali continueranno a vivere all’inferno, nell’inferno degli allevamenti intensivi ma se noi non impariamo a svolgere un ruolo attivo nella società finiremo pure noi all’inferno, che non a caso narrano sia lastricato di buone intenzioni. Ma ci arriveremo in anticipo, grazie alle lobby e ai poteri economici forti che da troppo tempo governano questo paese.
Ben scritto e ben detto.
Io e gran parte della mia famiglia non ci nutriamo più di prodotti di derivazione animale da almeno 30 anni.
Spero tanto che articoli come questo e le inchieste di report, così coraggiose e profonde, siano in grado di aiutare tutti, noi umani e tutto gli altri animali, gli alberi e gli ecosistemi residui a riprendere libertà, forza, energia.
Grazie!