San Francesco, Papa Francesco, gli animali e le mille polemiche dopo ogni dichiarazione di un Papa che ha già detto molto sugli animali e sull’ambiente, molto più di qualsiasi suo predecessore.
Altrettanto vero è che per chi si occupa dei diritti degli animali sono sembrati stridenti con il suo messaggio le aperture verso i circensi e altre categorie, ma dobbiamo essere consapevoli che il Papa è un pastore di anime, umane, il capo spirituale, e non solo, di una chiesa che ha le sue regole che certo non possono piacere a tutti.
Non sono un fervente cattolico ma piuttosto un agnostico che ha generalmente poca inclinazione a essere accondiscendente verso la chiesa, che ho trovato troppo spesso più corrotta della nostra società laica, non foss’altro considerando gli obiettivi ambiziosi che come ogni religione si pone. Riconosco più Francesco come uomo preoccupato del suo tempo che non come Papa e per questo mi piace.
Qualcuno ha letto solo i titoli dei giornali dai quali appariva, non senza malizia rispetto al marketing, che Francesco avesse criticato chi ama i cani e i gatti, ma non era questo, ritengo, il messaggio. Il pastore di anime, umane, ha soltanto detto che non si possono amare gli animali e poi non avere attenzione verso il vicino, verso la sofferenza degli indifesi. Non si possono amare gli animali e restare indifferenti alla sofferenza degli uomini oppure arrivare addirittura a sostenere di detestare la razza umana. Sono forse i paradossi di questo tempo, quelli che voleva stigmatizzare Bergoglio. Su questo ho letto molte analisi e dichiarazioni e quelle più equilibrate sostenevano che l’attenzione verso coloro che soffrono debba essere a 360 gradi, riguardare uomini e animali uniti in uno stesso cammino. Sostengo, da sempre, che non si può invocare il rispetto per gli animali dimostrandosi incapaci di applicare lo stesso rispetto agli uomini, senza distinzione di colore della pelle, sesso o religione. Non si possono difendere gli animali e contemporaneamente essere razzisti, così come non si può pretendere che il Papa dica quello che direbbe il presidente di un’associazione protezionistica.
Temo che il problema di questo tempo, molto tumultuoso e con messaggi che letteralmente spazzano le nostre vite come il maestrale le coste, sia quello di una costante confusione dei ruoli che troppo spesso alimenta speranze irrealizzabili e non fa apprezzare aperture molto interessanti. Papa Francesco, che non credo abbia scelto a caso questo nome, quello del poverello di Assisi, ha ripreso da San Francesco molte cose: l’attenzione per l’ambiente dimostrato recentemente dalla sua enciclica, le parole importanti pronunciate in difesa dell’ambiente e contro lo sfruttamento delle popolazioni native e la riduzione in povertà, il rispetto per gli animali che ha dichiarato ritroveremo accanto a noi in paradiso. Certo non è un rispetto a tutto tondo come molti vorrebbero, ma Francesco resta un pastore di anime umane e può solo aprire porte, non buttare giù muri, può costruire ponti, come ripete spesso, ma non può che avere l’uomo come focus principale del suo incedere pastorale.
Quanti contestano le parole di Francesco, che su ambiente e animali ha detto davvero molto, temo non abbiano o non vogliano capire proprio questa differenza fondamentale di punti di vista. Mi occupo di animali da tanto tempo, forse troppo per alcuni, per non aver subito i sorrisini di chi mi chiede, con sempre meno frequenza per fortuna, se non ci fossero cause più nobili a cui dedicare il proprio impegno. Ho sempre risposto, francescanamente, che impegnarsi per i diritti degli animali e per l’ambiente non significa non avere attenzione verso gli uomini, verso gli anziani o i bambini ma forse proprio l’esatto contrario, in una logica di condivisione del significato pieno del termine sofferenza, che non è certo soltanto quella del corpo. Quanti riescono a percepire la sofferenza di un animale, senza farlo solo per emotività talvolta ridondante, hanno scelto di scendere verso un mondo diverso, senza barriere mentali, cercando di capire quello che la voce non può spiegare, cercando di dare voce a quelle anime che non possono esprimere la loro sofferenza talvolta nemmeno con gli occhi. Quel mondo del quale noi spesso vediamo solo la morte come forma, estrema, di sofferenza senza dare peso alla vita, all’incedere dei giorni, delle ore e dei minuti che quando si è in una condizione di patimento, come accade in un allevamento intensivo, non passano mai sufficientemente veloci.
Quanti percepiscono questa sofferenza in modo davvero empatico e non accecato da una sensibilità ridondante e dal soddisfacimento di bisogni personali, che nulla hanno a che vedere con attenzione, compassione e pietà, la prova anche e con maggior immediatezza per i suoi simili, non fosse altro per facilità di comprendere e comunicare. Per questo trovo insopportabili gli animalisti razzisti, non posso accettare chi tutela i diritti degli animali ma vorrebbe vedere sprofondare i migranti all’inferno, quelli che hanno paura del diverso facendo di tutte le erbe un fascio. Ma questa è un’altra cosa, forse questo è quello che voleva far capire Francesco, in modo semplice: non occupatevi degli animali dimenticando il vostro vicino di casa, occupatevi e preoccupatevi per entrambi.