Solo il rispetto garantisce il futuro di uomini e animali e anche quello del nostro pianeta, l’unico che abbiamo, che stiamo maltrattando e sfruttando oltre ogni intelligenza, a favore di pochissimi ma creando un danno all’umanità intera.
Purtroppo scorrendo quello che viene pubblicato sui social ci si rende conto che non tutti hanno una visione complessiva del problema del nostro secolo e forse per questo migliaia di cause si affollano una sull’altra polarizzando l’interesse delle persone più o meno sensibili a questa o quell’istanza, senza cercare orizzonti più vasti.
Così nella stessa schermata si compone l’immagine di un caleidoscopio in costante movimento, senza però riuscire a mettere a fuoco nitidamente la problematica di quest’epoca difficile e tormentata: tutto è legato, concatenato come le perle in una collana. Se si rompe il filo che le unisce, che le le collega, tutte finiranno al suolo contemporaneamente.
Noi siamo le perle di quella collana, intervallata da uomini e buone cause, da persone e ambiente, da bimbi e guerre, da sfruttamento delle risorse e futuro, da animali e uomini, da onestà e corruzione. Tutte queste cose, insieme, concorrono a rendere possibile oppure a mettere in dubbio il futuro della nostra specie, delle altre specie, del pianeta.
Il legante positivo che ci può condurre verso il futuro si chiama “rispetto”, unico sentimento che ci possa consentire di guardare non soltanto all’io, ma che ci consenta di vedere anche il noi e il loro, dandogli un valore uguale a quello che siamo abituati ad attribuire all’io, un pronome che senza essere declinato anche al plurale rischia di essere la chiave della precarietà del futuro della nostra specie.
L’uomo deve imparare a rispettare non soltanto se stesso e tutto quanto è strettamente legato alla sua intimità, ai suoi affetti, ma deve essere capace di allargare l’orizzonte, lanciando lo sguardo oltre i confini del proprio giardino.
Senza fare differenze, senza difendere i propri egoismi, senza trasformare questi e la paura in idee politiche o peggio in sistemi di vita: non ci sarà futuro senza condivisione dei problemi, senza rispetto per la vita, senza capire che il mondo è fatto di infiniti colori.
Come infiniti sono quelli della pelle degli uomini, di infinite necessità che non possono essere difese o compresse a seconda di quanto ci torni comodo. La realtà è fatta di doveri verso i più deboli e indifesi a qualsiasi specie appartengano, qualsiasi religione professino, qualsiasi lingua parlino compresa quella delle balene o delle api.
Il mondo si è improvvisamente ristretto e quello che una volta pareva difenderci, la distanza dai problemi, ora arriva prepotente nel salotto di casa nostra. Bussa alle porte della nostra coscienza e della nostra intelligenza, ci obbliga a prestare attenzione verso argomenti dei quali sino a ieri potevamo anche non occuparci.
Sarebbe meglio dire che ci dovrebbe obbligare, il condizionale è necessario, perché sembra che la globalizzazione abbia allontanato purtroppo una visione globale del problema “mondo”. Così, scorrendo i social, ci scontriamo con comportamenti a tratti schizofrenici, che da una parte difendono diritti di alcuni ignorando poi quelli di altri.
Così si possono leggere affermazioni a tutela degli animali ma contro gli immigrati, a favore dei poveri ma contro chi spende soldi per nutrire gli animali domestici, a favore dei bambini ma indifferenti ai diritti negati dei bimbi che tutti i giorni muoiono sulla coste del nostro Mediterraneo.
Siamo così legati all’io da non capire che nulla sarebbe più importante da coltivare in quest’epoca del rispetto per le altrui esigenze, della necessità di contrastare lo strapotere delle multinazionali e dei poteri economici forti. Quei potentati economici che ci danno l’idea di vivere in un gigantesco villaggio globale, dove però spesso l’unica cosa che ci accomuna è la sofferenza senza poter contrastare la loro opulenza.
La cupidigia di quel mostro dai mille volti e dalle mille sigle che ci sta divorando il pianeta sotto i piedi in nome del profitto di pochi, a svantaggio dei più, a cominciare proprio dagli ultimi, da quelli che non possono fare troppo rumore, che a stento riescono a far sentire la propria voce.
Gli uomini che abitano la terra in fondo hanno una grande similitudine con gli animali, anche loro suddivisi in grandi gruppi, che hanno diversi diritti a seconda della loro appartenenza. I morti di un attentato a Parigi valgono più di quelli di Kobane, i bambini siriani sono meno importanti dei nostri, gli “ultimi” che muoiono nelle fabbriche di mattoni del Bangladesh o nelle miniere non hanno la stessa voce e gli stessi diritti di un nostro operaio.
Gli animali non conoscono confini, stati, regimi o separazioni geografiche. E sino a quando non costituiscono una minaccia al nostro benessere sono suddivisi soltanto per specie, non per area di provenienza.
La loro importanza cambia se ad esempio sono cani, che per gli occidentali hanno sicuramente più valore dei milioni di bovini maltrattati negli allevamenti intensivi oppure dei polli, spesso costretti a trascorrere la loro breve vita in uno spazio più piccolo di un foglio A4.
Migliaia sono le petizioni contro il consumo di carne di cane e contro le atrocità che lo accompagnano, ma molte meno, come paradosso, sono quelle per vietare l’uso di colle per la cattura e l’uccisione dei ratti. Però anche i topi soffrono e non dovrebbero essere lasciati impunemente morire di stenti su una tavoletta in cui sono rimasti invischiati. A volte la fortuna dipende dalla simpatia di un essere vivente, l’empatia non è uguale per tutti.
Il sud est asiatico è in fiamme per sottrarre terre alla foresta e farne piantagioni di palma da olio, ma questo argomento percentualmente ottiene meno attenzione di altri, anche se la foresta rappresenta il polmone verde del mondo, quello che garantirà una nostra miglior sopravvivenza oppure in condizioni estreme la nostra sparizione.
Se il nostro sentimento principale fosse il rispetto dell’essere vivente la realtà verrebbe guardata e forse capita con altri occhi, quelli di chi sa di essere solo una piccola perla di una gigantesca collana, senza possibilità di potersi sfilare, senza possibilità di avere un destino diverso da quella che la precede oppure la segue.
Ognuno deve lavorare molto per assimilare questo concetto, nulla è più difficile per l’egoismo umano di dover comprendere sino in fondo il significato e l’importanza del rispetto. Però solo il rispetto garantisce il futuro di uomini e animali.
Quest’anno che sta per finire ha dimostrato la fragilità della nostra società e anche la forza degli egoismi di tanti stati che non riescono davvero a costruire una nazione chiamata Europa, di piccoli uomini che fanno leva sulla paura, di diritti negati. Auguriamoci che il 2016 che sta arrivando porti con sé la consapevolezza e allontani un po’ l’egoismo.