
Sterilizzare per battere il randagismo: questa è l’unica strada maestra per arrivare a un drastico contenimento della popolazione dei randagi, con buona pace di chi sostiene che sia contro natura.
Sicuramente si può ritenere la sterilizzazione di cani e gatti, ma anche di qualsiasi altra specie animale, un comportamento di prevaricazione dell’uomo sull’integrità degli animali, ma questa valutazione non tiene conto del fatto che non esistono altre possibilità che sterilizzare per battere il randagismo.
Certo sarebbe bello che non ci fosse bisogno di intervenire sulle dinamiche di popolazione degli animali randagi, significherebbe che il fenomeno “randagismo” è stato battuto una volta per tutte, che la gestione degli animali domestici è finalmente arrivata a un punto di così grande consapevolezza da non richiedere nessun correttivo. Questo deve essere l’obiettivo finale ma nel frattempo non ci possono essere strade diverse dalla sterilizzazione per evitare che il problema della sovrappopolazione felina e canina sia arginato da avvelenamenti, incidenti, maltrattamenti e un da lunghissimo elenco di situazioni negative che pagherebbero esclusivamente i randagi.
I numeri del randagismo, le centinaia di migliaia di animali vaganti per il territorio italiano non consentono di avere su questo problema un approccio che sia più etico della sterilizzazione: chi vede questa pratica come un atto violento è crudele temo che non abbia chiaro né il fenomeno randagismo nel suo complesso, né gli studi fatti per la corretta gestione e risoluzione del problema. Certo la sterilizzazione non è la panacea di tutti mali se non viene integrata da una serie di attività positive e necessarie come la gestione degli animali padronali, dei rifiuti, l’iscrizione effettiva all’anagrafe di tutti i cani e i gatti di proprietà e il conseguente contrasto degli abbandoni, anche alla diffusione di controlli capillari. Però la sterilizzazione è l’unica attività concreta, se praticata su larga scala, per ottenere prima la riduzione e poi la sparizione del randagismo.
Il lungo periodo in cui gli animali sono stati soppressi in Italia, prima della legge 281/91, ha dimostrato con grande chiarezza il fallimento di questa strategia. Il randagismo è nel frattempo diventata “la gallina dalle uova d’oro” per molti, che hanno cominciato a speculare sulla gestione degli animali rinchiusi nelle strutture, spesso a vita perché nessun albergatore caccerebbe mai via i suoi ospiti. Così nei canili gestiti dai privati spesso le adozioni sono molto difficili se non impossibili anche se a questa strategia non sfugge, purtroppo, neanche qualche associazione. Animali tesaurizzati come fossero risorse preziose, altri affidati senza occuparsi troppo delle garanzie offerte dagli adottanti e in mezzo la parte buona, quella costituita dalle adozioni responsabili, fatte con criterio, incrociando le possibilità degli adottanti con le necessità degli animali in cerca di casa. Quelle adozioni fatte seguendo le buone pratiche, quelle che danno maggiori garanzie di limitare al massimo la restituzione degli animali per incompatibilità, originando una percentuale piccolissima di inconvenienti e imprevisti.
In tutto questo la necessità di diminuire il popolo dei randagi, dei vaganti, dei senza padrone e senza casa. Operazione da compiere in un modo sensato ma indifferibile se si vuole dar loro una vita migliore di quella rappresentata dalla strada, con la consapevolezza che gli animali della strada sono il prodotto di adozioni o acquisti irresponsabili, comunque di sbagli fatti dall’uomo, di cattive se non pessime gestioni, di mancata educazione e sensibilizzazione.
Non c’è giorno che le cronache non riportino episodi di violenza commessi a danno degli animali randagi, non c’è giorno che non succedano avvelenamenti o maltrattamenti: se qualcuno pensa davvero che ci sia un’alternativa migliore alla sterilizzazione massiccia degli animali non deve solo criticare questa via, ma ha il dovere di produrre un piano articolato e concreto che preveda come contenere il fenomeno del randagismo senza operare la sterilizzazione. Diversamente queste posizioni possono soltanto essere bollate come irrazionali e non proponibili: l’unica situazione davvero contro natura è voler continuare a permettere che il popolo dei randagi continui a crescere, senza dargli concrete speranze di una miglior vita.
Condivido a pieno quanto riportato negli articoli sopra descritti. Sono titolare di una colonia felina regolarmente registrata all’ufficio Provinciale di Bolzano con assegnazione di protocollo. Volontariamente provvedo alla loro alimentazione , alle loro terapie farmacologiche ,alle loro cuccie e alle copertine da me acquistate…alla loro lottizzazione sul territorio comunale .
Ottempero quotidianamente ai loro fabbisogni….io stessa cucino x loro…oltre i cibo.x.gatti….l’Amministrazione comunale (laives Bz)non intende collaborare nonostante le legge nazionale 281/91 e la ns. Regionale e Provinciale…
Sono stati tutti (12 elementi) sterilizzati, ma una femmina di 4 anni mi sfugge è particolarmente selvatica e penso che abbia partorito altri cuccioli….furbamente è sfuggita alla gabbia fino ad ora…come Protezione Animali Bassa Atesina…
Ogni cattura per la sterilizzazione mi sembrava una prevalicazione,ma oggi che non riesco a curare quella micia dall’Herples felino per aiutarla in questo periodo di allattamento e in seguito, mi sento male…lei appare tutte le sere solo x alimentarsi….Voglio che lei stia bene….non hanno scelto di essere randagi…è l’uomo che liberandosene quando avevano pochi mesi ha determinato il loro destino…..IO NON MOLLO….
Sono presidente di Animal Liberation e gestore del canile-gattile comunale di Bologna. Condivido tutto ciò che è scritto in questo articolo, ma desidero aggiungere una cosa o, meglio, ampliare un punto: i canili che non fanno adozioni è perché non vogliono farle. Per interessi economici o per attaccamento morboso-possessivo ai cani oppure per eccesso di diffidenza e anche perché più adozioni si fanno, più lavoro c’è da fare (orari più ampi di apertura, tempo da dedicare all’accoglienza dei visitatori, documenti da compilare, trasmettere e archiviare, più controlli post affido da fare, nuovi abbinamenti nei box e tutto ciò che comporta un maggior turnover, comprese le visite veterinarie, esami, sverminazioni e antiparassitari… Abbiamo visto in tanti canili atteggiamenti restii a dare cani in adozione e demotivanti verso i richiedenti. L’andamento delle adozioni nel canile comunale di Bologna, conferma le nostre parole: con in media 130 cani presenti in canile, nel 2016 abbiamo dato in adozione 459 cani. Questo numero corrisponde alle adozioni riuscite, cioè i rientri (qualcuno è fisiologico che ci sia) sono già stati sottratti. Quindi secondo me dovremmo riuscire a condurre una lotta affinché in Italia sia compiuta da parte dello Stati un’opera seria di sterilizzazione e dall’altra parte dovremmo lottare per aprire i canili alle adozioni. Solo questi due obiettivi, per non disperderci con troppe cose e da perseguire con iniziative a vari livelli. Sono disponibile a collaborare e resto a vostra disposizione. Lilia Casali, presidente di Animal Liberation, gestore del canile comunale di Bologna.
Grazie per la disponibilità, ma questo blog si propone solo di diffondere notizie e buone pratiche che in qualche modo possano servire a migliorare le condizioni di vita degli animali. Per la creazione di sinergie operative esistono altri e migliori canali, fermo restando che trovo indispensabile che si creino delle linee di comportamento comuni fra chi si occupa della tutela degli animali. Sul contenuto del commento sono perfettamente d’accordo.