Sul randagismo la Sicilia ha partorito il topolino, proprio come la montagna. Mesi di attesa, anni di inattività per produrre il nulla (o quasi).
Sono state pubblicate le cosiddette Linee guida della Regione siciliana per il contrasto e la prevenzione nei riguardi del fenomeno del randagismo. Che potete scaricare e leggere.
Il primo dubbio che viene leggendole è se negli uffici della Regione Sicilia si abbia un’idea precisa di cosa siano delle linee guida. Che non sono un romanzo, ma un atto in cui si dice chi fa cosa, come, secondo quali parametri.
La risposta purtroppo deve essere negativa, perché queste linee guida sono vaghe, contraddittorie e in molte parti inutilmente ridondanti, di parole e non di concetti. In altre sembrano la dichiarazione di resa di chi abbia perso una guerra, ma lo voglia raccontare ai posteri con dignità (immeritata).
Il problema del randagismo, com’è noto, assume nella Regione Siciliana, così come in molte aree del Sud-Italia, connotati di particolare gravità con una evidente alterazione del rapporto uomo/animale/ambiente tale da richiedere la adozione di adeguate misure per contenere il fenomeno, limitarne le dinamiche e ristabilire quel rapporto che risulta ormai compromesso.
(Integralmente tratto dalle “Premesse” delle Linee Guida della Regione Sicilia
Poi si parla delle adozioni, delle staffette e di quanto queste stiano originando problemi, fatto reale più volte messo sotto l’attenzione di tutti in questo blog. Ma, governatore Nello Musumeci, per la Sicilia i problemi dei randagi non sono le staffette, quantomeno in prima battuta. Il problema sono anni di mancato contrasto al fenomeno, che pare ingiusto scaricare sui volontari, sia veri che finti.
Certo si fanno viaggiare cani in condizioni pessime, come da molte parti del Sud Italia e per qualcun fare lo staffettista è diventato un lavoro (nero), mal fatto e causa di maltrattamenti. Ma la Sicilia è un’isola, il ponte non lo hanno ancora fatto: basterebbe qualche controllo in più ai porti di imbarco per intercettare i furgoni non autorizzati.
Ma questo non viene fatto, tanto in Sicilia quanto, purtroppo in Lombardia dove le staffette spesso arrivano. E i mancati controlli hanno un minimo comun denominatore: il non volersi fare carico di cani che dovrebbero essere sequestrati, E posti in carico ai Comuni, che certo non li vogliono.
Che dire poi di quello che è definito un ottimo sistema anagrafico, facendo riferimento ovviamente a quello canino. Peccato che forse i due terzi della popolazione canina sia fuori da quel sistema e i controlli siano pochi (forse) e inefficaci (sicuramente). Come in buona parte del Sud Italia.
Bellissima poi l’idea dei censimenti e del controllo del territorio con i droni, ma il governatore temo che voli davvero alto. Più alto della realtà e degli stessi droni. Un controllo con banali lettori di microchip forse potrebbe dare maggiori risultati perché il punto, temo, non è fare i censimenti, ma chiudere il rubinetto. Che alimenta il fiume “randagismo”, dove tanti nuotano e gli animali affogano.
Non si possono fare paginate di linee guida, ma nemmeno di commenti perché questo pezzo anziché un articolo diverrebbe un tomo. Chi è interessato legga le linee guida (qui) e si faccia da solo un opinione. Sia sul contenuto che sulla forma. Bastavano meno pagine e più direttive, univoche e non contraddittorie.
Come quelle che regolano l’accesso dei volontari nelle strutture, dove possono entrare liberamente, nel primo passo su questo argomento, per poi avere accessi condizionati e limitati. Concetto in assoluto giusto: un canile non è un centro commerciale aperto al pubblico. Ma se sono i controllati a dover autorizzare gli ipotetici controllori qualcosa non va.
Governatore Musumeci lei pubblica post di felice e composta soddisfazione sui social per celebrare queste linee guida. Io, al contrario, devo dirle che se questo è il massimo della produzione dei suoi funzionari sul randagismo andiamo davvero male, molto male.