Salvare lupo, capra e cavoli dai luoghi comuni e dalle convenienze della politica non è sicuramente un’impresa facile, considerando il gran numero di attori che soffiano sul fuoco delle paure.
E’ stata rinviata dalla Conferenza Stato Regioni la decisione sull’abbattimento dei lupi, ma questo certo non significa che alla fine il lupo si salvi davvero: bisognerà aspettare le decisioni definitive prima di poter dire che questa guerra di buonsenso sia stata davvero (temporaneamente) vinta.
Il fronte del SI all’abbattimento è composito e singolare, anche se per correttezza bisogna dire che il provvedimento riguarderebbe solo il 5% della popolazione lupina: sono favorevoli all’abbattimento i sindacati degli agricoltori, da CIA a Coldiretti, neanche a dirlo le associazioni venatorie e, certo non ultimo, il Ministero dell’Ambiente capitanato dall’inossidabile Gian Luigi Galletti che difende la bontà del suo piano, invero strampalato, che a secondo il ministro sarebbe addirittura un “piano salva lupo”.
Non si è mai visto che la salvezza di una specie passi dall’uccisione dei suoi appartenenti, ma secondo il ministro è proprio questo che gli ambientalisti non capiscono: se facciamo abbattere un po’ di lupi tutto si sistema, ma se continuiamo a ostinarci che questa cosa non s’ha da fare allora arriva la giustizia sommaria del bracconaggio e quella si che metterà all’angolo la sopravvivenza della specie. Forse che non si siano accorti che il bracconaggio è già dilagante, complice una legge ridicola che rende più costoso attraversare con il rosso che abbattere un lupo.
Il lupo in questi anni ha avuto un’espansione non certo per le leggi che regolamentano la caccia, e solo molto dopo tutelano la fauna: il lupo è stato considerato un animale nocivo, sterminabile, fino a una quarantina d’anni fa e fino alla fine degli anni ’80 la sua presenza era rimasta confinata ai monti della Sila. Il suo incremento e la maggior diffusione è dovuta a vari fattori, i principali dei quali sono stati lo spopolamento delle campagne e i ripopolamenti fatti per fornire prede ai cacciatori, che hanno poi costituito un incremento delle prede del lupo.
Il bracconaggio non si è mai interrotto, anzi per moltissimi casi i bracconieri si sono comportati come la ‘ndrangheta, si sono ingrottati, apparentemente pochi i lupi ammazzati perché uccidono ma senza clamore, e solo qualche occasionale invasato attacca i lupi ai cartelli stradali, come minaccia. Quindi questo non è stato un problema e il lupo, nonostante i molti lupari disponibili a commettere reati, ha retto il colpo. Ma un ministro non può istigare lo Stato a comportarsi come il più sconsiderato bracconiere, non può in particolare farlo se il suo ministero è quello dell’Ambiente.
Il piano prevede, fra le altre misure di tutela per il bestiame, l’abbattimento di un’aliquota di lupi pari al 5% della popolazione e già questo è un problema in quanto censimenti seri non ne hanno fatti, quindi si andrebbe ad abbattere il 5% di X, un’incognita. Il secondo problema è che la manovra, politica, andrebbe forzosamente ripartita sul territorio e quindi non può essere nemmeno fatta con oculatezza, seppur nella sua completa inutilità. Gli studi dimostrano che dopo gli abbattimenti aumentano le predazioni del bestiame, a causa delle alterazioni causate nella composizione dei branchi e il lupo, per cacciare gli ungulati, le sue prede d’elezione, ha bisogno del branco, delle sue gerarchie, delle abilità di ogni componente.
Il ministro Galletti è stato costretto alla retromarcia dai presidenti di molte regioni italiane, davvero poco convinti sia della bontà del piano sia del danno sotto il profilo elettorale, in considerazione della sollevazione di tecnici, studiosi e opinione pubblica contro questo provvedimento. Una sorta di italico Donald Trump, capace di far arrabbiare anche chi lo ha sostenuto, grandi aziende e le celebrities. Da noi Galletti ha fatto scendere in campo anche Almo Nature, azienda che fa mangimi per animali, per cani -ovviamente anche per quelli dei cacciatori- che si è schierata frontalmente a favore del lupo.
Così gli agricoltori se la sono presa, come i cacciatori, con la politica, dimenticando che i danni causati dai lupi al bestiame negli ultimi 5 anni sono stati infinitesimamente più bassi di quelli causati dalla mancata costruzione delle stalle nelle zone terremotate, che ha causato una morìa negli allevamenti.
Ma i lupi bipedi, che talvolta non son neppure lupi come quelli delle favole ma solo un poco sprovveduti, han sempre più scuse di quelli quadrupedi. Chi caccia per vivere merita meno tutele di chi lo fa per passione.
In confronto a certi politici il lupo è un agnello come aveva dimostrato la sparata di Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona nonché presidente di Federcaccia del Veneto che, nel 2014, aveva preso carta e penna e aveva vergato un’ordinanza che autorizzava, illegalmente, l’uccisione dei lupi cattivi.
Non pago di aver fatto un atto amministrativo illegittimo e di essere stato denunciato dal Corpo Forestale dello Stato il nostro sindaco aveva anche rilasciato a Repubblica, come riportato in un articolo, questa dichiarazione: “Verona ha anche un territorio montano con le frazioni di Trezzolano, Cancello e Moruri. Non sono tranquillo per i bambini che la mattina o la sera attendono l’arrivo dello scuolabus. Nessuno mi garantisce che il lupo non apprezzi anche questo tipo di prede… Autorizzo l’abbattimento degli esemplari che si avvicinano ai centri abitati. Se poi qualcuno impugnerà l’ordinanza, sarà battaglia per valutare quale diritto sia prevalente: quello degli animali o dei cittadini”.
Ma ancor oggi in confronto a certi politici il lupo è un agnello, come dimostrano le attività pubbliche e sotterranee del nostro governo e del Ministero dell’Ambiente che, a dispetto del nome, a intervalli regolari continua a parlare di possibili abbattimenti di lupi, operando un prelievo del 5% sulla popolazione esistente in Italia. Secondo il ministro Galletti, che certo non si è distinto per memorabili attività a difesa della fauna, si potrebbe arrivare a praticare abbattimenti su quelle che definisce “eccedenze”, quantificate in una quota del 5% sulla popolazione dei lupi italiani, sulla quale però non esistono censimenti precisi. Quindi il nostro ministro ha valutato di abbattere un surplus di uno stock che nessuno ha verificato, usando evidentemente l’empirismo come strumento di valutazione, dimentico che oggi esistono ben altre possibilità.
Ma Galletti dimostra anche di non conoscere, o peggio di volerli ignorare, diversi studi scientifici, pubblicati, che dimostrano come gli abbattimenti dei lupi non siano serviti a diminuire gli episodi di predazione al bestiame domestico. Quindi gli abbattimenti sono utili solo a fini politici e demagogici perché danno un contentino a Coldiretti, potente confederazione in grado di spostare un notevolissimo bagaglio di voti, e alle associazioni venatorie che finalmente iniziano a vedere la possibilità di passare dal bracconaggio alla caccia regolamentata.
Le associazioni venatorie e i loro iscritti vedono i lupi come il diavolo vede l’acqua santa e questo non certo perché preoccupati delle poche predazioni al bestiame ma, bensì, perché fortemente preoccupati del fatto che i predatori possano tenere sotto controllo le popolazioni di ungulati, facendo cessare o ridurre la possibilità di operare le tanto ambite cacce di selezione. In questo modo i cacciatori non avrebbero più la scusa di avere una popolazione di cervi e caprioli da tenere sotto controllo, spesso anche sulla base di censimenti discutibili, mediante gli abbattimenti selettivi. Per questo un animale che non ha mai attaccato l’uomo, che svolge funzioni importanti all’interno dell’ecosistema e che non rappresenta nemmeno un pericolo serio per gli allevamenti diventa un nemico, da battere e abbattere.
Queste cose sono ben conosciute nell’ambiente scientifico da tutti i maggiori esperti di predatori, che irridono sia le posizioni del ministro dell’ambiente Galletti, forse più adatto a occuparsi di altre materie, che le grida di allarme lanciate da cacciatori e allevatori. Chi conosce il problema sa benissimo che i branchi strutturati cacciano la fauna, come cervi e caprioli, e che soltanto gli individui che facevano parte di branchi destrutturati a causa del bracconaggio -purtroppo molto più presente di quanto riportano i media- o giovani in dispersione possano, occasionalmente, predare animali domestici, non potendo cacciare in gruppo.
Secondo il prefetto di Grosseto, che ha valutato i risultati di uno studio condotto su basi scientifiche da Corpo Forestale, ASL e da personale del Centro di Referenza Nazionale di medicina veterinaria forense, diretto dal dottor Rosario Fico, le predazioni dei lupi sono scese del 50% e riguardano solo il 5% della popolazione di pecore, in un territorio molto vocato all’allevamento di ovini. Questo risultato è stato reso possibile grazie all’uso di idonei mezzi di dissuasione come le reti antilupo e i cani da guardiania, sistemi che però non convincono, guarda caso, gli allevatori in un territorio con grandi interessi sulla pastorizia, ma anche verso altre attività come la caccia e il dilagante bracconaggio. La realtà maremmana ha però dimostrato che gli allarmi degli allevatori non corrispondono alla realtà, come potete leggere in modo chiaro in questo articolo de Il Tirreno.
Non si può accettare che sulla gestione della fauna le decisioni possano essere prese sotto le pressioni di Coldiretti e degli allevatori o delle associazioni venatorie.
La gestione ambientale dovrebbe essere condotta in modo serio e responsabile nell’interesse dell’intera comunità nazionale e internazionale. Ricordandosi magari che il lupo è una specie particolarmente protetta da leggi nazionali e convenzioni internazionali.
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