Giulia Maria Crespi era davvero tante cose insieme: imprenditrice, donna di cultura, mecenate e pioniera dell’ambientalismo in Italia. Tutto coniugato con il grande stile di una persona che amava fare piuttosto che apparire. Nel 1975, anni in cui l’attenzione verso ambiente e natura erano agli albori nel nostro paese, con Renato Bazzoni fonda il FAI. Donando 500 milioni dell’epoca per acquistare il monastero di Torba, bene tutelato dal Fondo Ambiente Italiano.
Nella sua tenuta sulle rive del Ticino, la Zelata nei pressi di Bereguardo, era stata una pioniera dell’agricoltura biodinamica e nella tenuta ha sempre difeso ambiente e fauna. Il 16 aprile di quest’anno scrisse un’appassionata lettera al direttore del Corriere. Nella quale sosteneva, a buon titolo, la necessità di ricostruire un equilibrio fra uomo e ambiente. Nella sua lunga vita Giulia Maria Crespi non ha mai perso la voglia di essere una protagonista attiva della nostra società.
Caro Direttore, nei giorni del coronavirus, tutti stiamo riflettendo sulle cause, ma soprattutto sulle soluzioni. È possibile, anzi probabile, che una delle cause di questa pandemia sia da ricercare nel rapporto tra Uomo e Madre Terra che ha perduto il proprio equilibrio e la propria natura. Questo a causa dei cambiamenti climatici, della deforestazione, della progressiva invasione delle città in aree naturali che fungono da «filtro», di una agricoltura troppo intensiva e forzata.
tratto dalla lettera di Giulia Maria Crespi al direttore del Corriere della Sera
L’esempio di Giulia Maria Crespi deve restare come un faro guida per il futuro
Giulia Maria Crespi è stata una donna all’avanguardia, un’imprenditrice che ha operato per l’interesse collettivo, sempre in punta di piedi, con determinato garbo. Mettendo sempre in pratica il motto della sua vita: “Chi ha avuto molto, deve dare molto”. Non come chiacchiera da salotto, ma come esempio pratico da mettere in atto.
In un mondo basato sull’apparenza, dove tante sono sempre le cose dette ma poche quelle realmente fatte, la storia di questa grande donna deve rappresentare un faro che illumina anche questo periodo buio. Raccogliendo l’idea che bellezza, cultura, tutela ambientale e rapporto con la natura siano tutti concetti indispensabili per la sopravvivenza dell’uomo e l’equilibrio del pianeta.
Grazie davvero per quello che ha fatto, grazie per l’esempio di operosità e sobrietà che ha saputo regalare alla nostra società, anche attraverso le tante attività messe in atto dal suo FAI. Credo che ogni persona che abbia a cuore la tutela dell’ambiente debba essere grata a Giulia Maria Crespi per quello che ha saputo lasciare, al termine di una lunga e operosa vita.
Metti un cinghiale nell’urna: perché la caccia vale oro per i politici? La domanda potrebbe sembrare banale, ma non è affatto così. I cacciatori sono più appetibili degli ambientalisti e certamente degli animalisti, per il politico. Una semplice ragione di calcolo, di risultato, di platea. Un dato che talvolta significa elezione sicura, al di là dei meriti, della preparazione e troppo spesso anche della cultura dei protagonisti.
Un ragionamento al quale sarebbe opportuno non sottrarsi, per evitare che la sottovalutazione dell’avversario porti a sonore sconfitte. Come successo alle ultime europee dove in Italia i verdi non sono nemmeno riusciti a superare la soglia di sbarramento, ma i candidati filo caccia inseriti nelle liste dei partiti sono arrivati a Bruxelles. Un caso? Direi proprio di no, al massimo l’unione di due fattori determinanti: il mondo economico che gravita intorno a quello venatorio e la qualità di quello venatorio, che ruota intorno al politico.
Recentemente ha creato scalpore un post di Barbara Mazzali, consigliere lombardo di Fratelli d’Italia che ha difeso una sua omologa del Veneto, la quale aveva proposto di far diventare la caccia una materia di studio, proprio per la sua interdisciplinarietà. Si potrebbe sorridere, ma prima di farlo occorre riflettere: forse chi sorride è di quella parte che non è riuscita a far eleggere un proprio rappresentante. La proposta della politica certo è irricevibile, ma poco importa perché serve a consolidare i rapporti con i suoi elettori.
Secondo ISPRA i cinghiali sono diventati un milione e fra le cause anche le oasi di protezione
Anche questa dichiarazione di Piero Genovesi potrebbe far sorridere, certo il titolo la estrapola dal contesto, eppure il senso di quello che afferma il dirigente di ISPRA è un poco surreale, ma lo si può sentire integralmente nel video. Il giudizio si basa sul fatto che chi lo afferma è il massimo rappresentante di ISPRA in questo settore. Da un tempo immemore, con luci e ombre e certo con posizioni che non si possono dichiarare né vincenti, né convincenti in materia di gestione faunistica, basando il giudizio non sulle opinioni ma sui risultati. Dovuti, nel caso dei cinghiali, a troppi anni di abbattimenti scriteriati.
I vertici dell’ISPRA sono gli stessi da molto tempo e Genovesi ha sempre detto e ritenuto che il prelievo venatorio sia una delle modalità per gestire il problema. Non solo dei cinghiali ma di tutti gli animali giudicati in esubero. Considerando però da quanto tempo questa sia la linea e mettendola in rapporto con i risultati occorrerebbe farsi delle riflessioni: siamo così certi che questa gestione faunistica sia vincente? Oppure forse sarebbe il temo di chiedere al ministro Sergio Costa se non sia arrivato il momento di un avvicendamento dei vertici e di un cambio delle politiche. Del resto dopo decenni di monopolio e di mancati risultati il tentativo non pare più rischioso dello status quo.
La caccia salda sempre i suoi debiti con i politici, che non si dimenticano mai di chi li vota
Tornando alla nostra consigliera di Fratelli d’Italia, Barbara Mazzali, vi sono pochi dubbi che lei sia uno dei punti di riferimento lombardi della componente più retrograda del mondo venatorio. Quella che esercita la caccia da capanno e che vorrebbe poter ancora catturare gli uccelli con i roccoli. Sarà per questo che la consiglierà trasmette passione e partecipazione attraverso la sua pagina Facebook, dimenticando di avvisare i suoi sostenitori che la partita dei roccoli si è chiusa per sempre.
Resta sempre una considerazione: ambientalismo e animalismo non riescono a essere premiati dalle urne. I Verdi non decollano, i partiti animalisti non vanno più in là di decimali, nonostante la sensibilità delle persone. Forse sarebbe tempo per un autocritica anche da questa parte del campo, perché non vi è dubbio che il problema sia anche di proposta: pochi programmi, troppe divisioni, troppa emotività e poca sostanza? Difficile ora poter dare una risposta, però il risultato non è certo di conforto e l’orizzonte non pare davvero verde e rasserenante.
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