Una fucilata accomuna il lupo alla nutria

Una fucilata accomuna il lupo alla nutria

Una fucilata accomuna il lupo alla nutria: è questo, infatti, uno dei possibili destini per gli individui di entrambe le specie che seppur così diverse si trovano unite nell’odio di alcuni a causa di supposti danni arrecati all’uomo.

Il predatore per i suoi attacchi (molto sporadici) al bestiame, la nutria per i molti danni (spesso supposti) all’agricoltura.

Così un carnivoro e un erbivoro, un predatore e una preda, possono essere presi come icone dimostrative dei comportamenti irresponsabili che gli uomini hanno nei loro confronti, talvolta anche con la complicità delle istituzioni, delle amministrazioni pubbliche e di certa scienza. Sempre al centro di questioni legate al mondo della caccia, che vede i primi come competitors e le seconde come bersagli ma anche come fonte di profitto.

Così una fucilata accomuna il lupo alla nutria, unisce due destini diversi e due tutele diverse: una specie particolarmente protetta il lupo, un animale alloctono da eradicare la nutria. Bracconato il primo, oggetto di uno sterminio non riuscito la seconda. In nome di una scienza che promette ma non mantiene, che racconta talvolta bugie. Sempre basate sul fucile come unica soluzione a ogni problema.

Sicuramente qualcuno leggendo il titolo avrà storto il naso pensando alla solita esagerazione ma in realtà il concetto espresso è la dimostrazione di quanto la razza umana sia presuntuosa: non abbiamo ancora capito come dirimere le questioni che riguardano la nostra specie, creando conflitti con centinaia di migliaia di vittime, ma siamo così arroganti da pensare di poter essere noi a regolare la natura e a gestire gli equilibri di un mondo del quale non conosciamo ancora a fondo i meccanismi. Troppo spesso se non quasi sempre facendo danni, molte volte irreparabili.

I lupi sono stati portati sull’orlo dell’estinzione ai primi dei ‘900 e in Italia era sopravvissuto solo un piccolo indomito nucleo confinato sui monti della Sila e in qualche altra zona dell’Appennino, dove è rimasto circoscritto sino a quando le condizioni ambientali sono mutate, le prede sono aumentate e le campagne si sono svuotate. Così alcuni esemplari hanno risalito la dorsale appenninica per arrivare fra Emilia e Piemonte alla metà degli anni’80, piccoli avamposti di una popolazione in espansione.

Le nutrie invece arrivano da molto lontano, dal Sud America e sono state portate nel vecchio continente per essere usate negli allevamenti da pelliccia nei momenti del boom economico, quando tutte le signore dovevano avere una pelliccia: le più benestanti di leopardo, la media borghesia di visone e castoro mentre le fasce più basse, economicamente, ripiegavano sul castorino ovvero la nutria. Un nome pomposo che ricordava il più ambito castoro. Poi con la crisi della fine degli anni ’80 molti allevamenti chiusero e molte nutrie, in varie parti d’Europa si ritrovarono libere.

Lupi e nutrie approfittarono entrambi delle condizioni ambientali favorevoli e si diffusero sul territorio: i primi riprendendosi i loro spazi le seconde, le immigrate, colonizzandone di nuovi grazie a condizioni climatiche simili, pochi predatori naturali anche grazie al fatto che questi sono sempre stati sterminati dai cacciatori (leggi qui) in quanto antagonisti di lepri e fagiani. Per questo una fucilata accomuna il lupo alla nutria.

Ovviamente la proporzione fra prede e predatori è sempre nettamente a favore delle prede, che devono essere numericamente superiori ai predatori per essere la loro fonte di cibo. Così, grazie a errori umani dissennati, per le nutrie, oppure a scelte altrettanto dissennate fatte per ragioni venatorie riguardo a cinghiali, cervi e caprioli, gli ungulati e le nutrie hanno preso il sopravvento. Grazie all’assenza dei predatori, sterminati dai cacciatori o ridotti a un gruppo sparuto come i lupi.

I cacciatori hanno approfittato dei danni che questi incrementi di popolazione potevano creare, dimentichi di esserne responsabili con ripopolamenti senza criterio, per ergersi come regolatori delle dinamiche di popolazione. Così prede, ma anche predatori (leggi qui) hanno avuto vita dura con una caccia perpetua che doveva contenere le specie. Senza riuscirci, raccontando bugie, con l’aiuto talvolta di enti pubblici, come ISPRA (leggi qui), che invece di obbligarli a usare metodi etologici, come dice la norma, troppe volte hanno agevolato gli abbattimenti. Apparentemente nel pieno rispetto della legge, ma si sa che l’apparenza spesso inganna.

Ora, per fare un esempio, la regione Lombardia vuole stanziare qualche milione di euro per arrivare all’eradicazione della nutria (termine che significa completa sparizione di una specie da un ecosistema) a causa dei danni (supposti e/o rimediabili) che provoca all’agricoltura. Dimenticando che prima degli abbattimenti esistono più di una decina di metodi ecologici per mitigare l’impatto e ridurne la popolazione, che per legge hanno la precedenza. Invece prevale sempre la fucilata, che non risolve ma crea clientele unendo il mondo agricolo con quello venatorio.

L’eradicazione delle nutrie è impossibile oramai, lo dicono i numeri, le dinamiche di popolazione, gli studi scientifici e l’esperienza. L’unica eradicazione possibile e certa è quella dei soldi dei contribuenti, dirottati anche dalla prevenzione del randagismo, per mettere in atto piani inutili, che serviranno solo a rinsaldare clientele politiche a scapito di animali e cittadini. Che poco sanno di questi argomenti e troppo spesso credono alle sparate dei nostri politici e di certa scienza.

Così ben si capisce il perché una fucilata accomuna il lupo alla nutria. Fino a quando l’opinione pubblica non capirà che la realtà è diversa da quella che raccontano e che nessuno può parlare di abbattimenti operati in zona continentale che abbiano ottenuto la scomparsa della specie bersaglio. Con buona pace di istituzioni, università e certa scienza.

 

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