Bracconaggio e investimenti stradali sono le principali cause di morte del lupo

Le principali cause di morte del lupo sembrano proprio essere il bracconaggio e gli investimenti stradali. In questo modo ogni anno perdono la vita molti di questi predatori e i numeri sono solo parziali. Considerano che in molti casi i lupi uccisi con fucili o veleno sono fatti sparire prima di essere segnalati. Per paura delle conseguenze penali di un gesto criminale, che seppur ancora troppo lievi rappresentano un motivo per occultare le tracce del crimine.
Eppure sulla stampa arrivano principalmente le notizie allarmistiche sui lupi. Principalmente quelle che parlano di predazioni, dipingendoli come animali pericolosi e sanguinari, calcando sempre l’accento sul fatto che siano troppi. Una convinzione che costituisce solo una parte, senza fondamenti scientifici, della leggenda costruita sul lupo. Gli animali selvatici sono in equilibrio con l’ambiente che li ospita e se esistono squilibri questi sono causati dall’uomo. Parlare di troppi lupi quando vi è una sovrabbondanza di prede è quindi una sciocchezza.
In poco più di dieci anni, secondo i dati raccolti dal Centro Grandi Carnivori del Piemonte sono stati rinvenuti entro i confini regionali ben 256 lupi morti. E nel solo 2020 ne sono stati rinvenuti 48, con cause di morte prevalenti accertate (alcune sono ancora da determinare) dovute a investimenti e bracconaggio. Con solo due morti certe dovute a aggressioni intraspecifiche. Un numero ufficiale che rileva la morte di quasi un lupo a settimana nel solo Piemonte.
Le principali cause di morte del lupo sono comunque riferibili a motivazioni legate ad attività umane
Gli attacchi dei lupi agli animali d’allevamento si sono verificati, nella stragrande maggioranza dei casi, su quelli lasciati incustoditi al pascolo o custoditi in ricoveri notturni inadeguati. Senza strumenti di protezione, come i recinti elettrici, o l’impiego di cani da guardiania. Secondo la stessa Regione Veneto, una delle più problematiche per quanto riguarda la convivenza con i lupi, questi casi rappresentano la maggioranza. Con un 79% di predazioni avvenute su animali incustoditi, come rileva ufficialmente la regione.
Quindi, traducendo il dato in una valutazione complessiva sull’operato degli allevatori, una situazione causata da un comportamento non responsabile. Motivato in parte dalla consapevolezza degli indennizzi, che arrivano anche quando gli animali sono incustoditi. Una scelta che deve essere considerata accettabile solo guardandola come uno strumento di convivenza con il lupo. Considerando che i costi sono pagati dalla collettività, che non dovrebbe essere caricata di quelli causati da un comportamento non responsabile tenuto dagli allevatori.
Nonostante questo, e nonostante la presenza di allevatori responsabili che valutano positivamente la presenza del lupo, gli episodi di bracconaggio non sembrano diminuire. Pur nell’impossibilità di determinarne con certezza l’entità, a causa del lato oscuro del fenomeno. Unitamente agli investimenti stradali, e in qualche caso ferroviari, che sono la principale causa di morte ufficiale. Una mortalità provocata dalla quasi totale assenza di corridoi faunistici che possano garantire il libero movimento degli animali.
E’ importante diffondere informazioni corrette sui predatori, per non contribuire ad alimentare paure ingiustificate
I media hanno una responsabilità molto grande nell’orientare delle valutazioni dell’opinione pubblica, che spesso poco conosce sulla vita degli animali selvatici. E di conseguenza si fida delle informazioni che trova sulla stampa, senza cercare di avere una valutazione critica sui fatti raccontati. In questo modo, banalmente, un cinghiale sbranato da un lupo diventa un evento su cui spendere fiumi di parole, travisando un’azione naturale, del tutto normale. Contribuendo a creare paura anche in quanti un lupo non lo vedranno mai.
D’altro canto bisogna anche rilevare che molto spesso, specie sui social, si parla dei lupi come se fossero creature uscite da un cartone animato disneyano. Suscitando, giustamente, critiche e ilarità da parte di chi è abituato ad approcciarsi alla fauna con uno spirito più scientifico. Dove preda e predatore svolgono ruoli importantissimi pur nella crudezza della realtà, che non rappresenta mai una scena per anime sensibili. Specie per la nostra specie che in prevalenza si è trasformata in un predatore da supermarket, che non vuole vedere gli orrori che avvengono ogni giorno nei macelli.
Bisogna cercare di essere obiettivi, di raccontare la realtà, se si vuole rendere un servizio alla conservazione della natura. Che dipende anche dalla presenza dei predatori, che devono o dovrebbero restare nelle aree naturali e non in quelle urbane. Dove però sono attirati dai comportamenti sbagliati degli uomini, che con una cattiva gestione dei rifiuti e delle carcasse degli allevamenti sono le cause principali del loro avvicinamento.
La convivenza è possibile, specie se si iniziasse a parlare di condivisione dei territori e non di uso esclusivo per le attività umane
La pandemia di Covid-19 ci avrebbe dovuto far comprendere, con molta chiarezza, che la nostra sicurezza sanitaria dipende dalla nostra capacità di condividere. Che significa suddividere le aree, rispettare le necessità della fauna e gli spazi necessari alla sua vita, considerando che per essere vitale e in equilibrio l’ambiente deve contenere la massima biodiversità possibile. Questo comporta, per contro, che ogni innalzamento dell’asticella verso il profitto economico, che comporti la frattura di questo equilibrio, ci espone a rischi concreti, tanto previsti quanto ignorati.
Il lupo era scomparso da buona parte del paese e questo aveva fatto profondamente modificare i sistemi di allevamento degli animali al pascolo. Che senza il predatore potevano essere lasciati incustoditi, contenendo i costi e massimizzando i profitti. Accettando i danni derivanti da una gestione certo non oculata, come una tassa da pagare sul vantaggio di non dover vigilare su greggi e mandrie. Che erano soggette a furti, incidenti e perdite causate dai repentini cambiamenti metereologici, ma non al lupo. Che ora viene visto come il principale nemico, insieme all’orso, della tranquillità degli allevatori.
Su questo fuoco che si è acceso con il ritorno del lupo hanno gettato benzina i cacciatori, che hanno sempre visto tutti i predatori come antagonisti della loro attività. I lupi predano principalmente cervi, caprioli e cinghiali tutte specie cacciabili che se fossero tenute sotto controllo numerico dai lupi potrebbero cambiare molte convinzioni. Come quella che vede i cacciatori come unico perno su cui far ruotare la gestione faunistica. Un errore grossolano, accettato come un dogma di fede per troppo tempo.