Lasciami andare di Claudia Fachinetti è il racconto di un fatto vero che si intreccia con la storia di un’adolescente in cerca della sua strada. Il primo dicembre di quattro anni una famiglia di orche, quella che gli scienziati definiscono un POD, arrivò a Genova. Dopo essere entrata, per errore, nel Mediterraneo. Il fatto destò un grande stupore perché le orche non frequentano il Mare Nostrum. Ma destò anche una forte preoccupazione nei biologi marini che studiano e proteggono i cetacei del Mediterraneo. In apprensione per questo insolito ingresso che poteva avere risvolti tragici nel breve futuro.
Tanti gli interrogativi sulla provenienza degli animali, tanta l’apprensione e la compassione per questi mammiferi marini così intelligenti, ma accompagnati da una fama sinistra. Per anni, infatti, per una maldestra traduzione dall’inglese di “Killer Whale” sono state definite orche assasine. Ma il nome inglese era stato dato in quanto le orche cacciano le balene. Nella realtà l’orca è un delfino e pur essendo un predatore apicale non ha comportamenti diversi da quelli di tutti gli altri predatori, terrestri o marini.
La curiosità per questo evento insolito fu presto seguita dalla preoccupazione per la sorte dei cetacei. In particolare per un piccolo che dal suo ingresso in Mediterraneo aveva dato segni di grande malessere. Il Mar Mediterraneo è un mare chiuso e per tanti motivi non è idoneo alla vita di questi grandi predatori che, infatti, non lo frequentano quasi mai, pur essendo presenti in quasi tutti i mari del globo. Una preoccupazione purtroppo fondata che potrete scoprire nelle cronache dell’epoca o nelle pagine di questo libro.
Lasciami andare di Claudia Fachinetti racconta la vera storia delle orche di Genova, con l’aiuto di un personaggio di fantasia
Nel libro, scritto pensando a un pubblico giovane ma godibile anche per gli adulti, nella vera storia delle orche di Genova si inserisce Alaska, una giovane ragazza adolescente a cui la vita sta già riservando difficili prove. La ragazza troverà nella storia delle orche di Genova una stella polare in grado di indicarle un nuovo cammino. Che servirà a farle comprendere l’importanza di saper “lasciar andare”. Come sempre la natura è in grado, con tutte le sue innumerevoli sfaccettature, di farci comprendere molte cose e di far capire come la vita vada accettata con le sue meraviglie e le sue tristezze.
Il libro ha la prefazione di Caterina Lanfredi, ricercatore e biologo marino impegnata da molti anni nello studio e nella difesa dei cetacei con l’Istituto Tethys. E brilla come una stella il cameo scritto da Giuseppe Notarbartolo di Sciara, ideatore del santuario Pelagos per la difesa dei cetacei del Mediterraneo. L’importanza e il valore dell’orca sono racchiuse in queste poche parole: “Delle cose del mare – che amiamo più del nostro mondo – ci sei maestra, orca”.
Invece un fatto curioso, che sta suscitando in questi mesi molta curiosità negli studiosi, sono i ripetuti episodi di danneggiamento delle imbarcazioni da parte di un POD di orche. Episodi che si ripetono e che avvengono al largo dello Stretto di Gibilterra, la porta di accesso al Mediterraneo, senza mai causare vittime ma solo danni alle barche. L’ipotesi più accreditata, anche se ancora da verificare, è che si tratti di una sorta di gioco, imparato casualmente dalle orche e poi insegnato ad altri membri del gruppo.
Coesistenza impossibile con i lupi: la Svizzera parte con massicci abbattimenti del predatore, che potranno riguardare interi branchi. L’UFAM (Ufficio federale dell’ambiente) ha autorizzato la rimozione totale di ben 12 branchi, come misura preventiva per evitare future predazioni. Una strategia quella Svizzera che vuole massimizzare i risultati, evitando che l’alterazione degli equilibri dei branchi possa far crescere le predazioni. Con una logica distruttiva che può ritenersi efficace, fatto tutto da dimostrare, solo sul piano della difesa degli allevamenti.
L’UFAM ha esaminato le richieste e ha approvato l’abbattimento di 12 branchi interi. Non può invece accettare la domanda del Canton Ticino di abbattere l’intero branco in Valle Onsernone dal momento che negli ultimi dodici mesi non si sono verificate predazioni in situazioni protette. Tuttavia, l’UFAM consente una regolazione preventiva del branco: il Canton Ticino può abbattere due terzi dei giovani lupi. Per quanto riguarda altri cinque branchi (Val Colla, Carvina, Jatzhorn, Rügiul e Mont Tendre), possono fare lo stesso anche i Cantoni Ticino, Grigioni e Vaud, conformemente a quanto richiesto.
Le decisioni assunte dalla Confederazione Elvetica costituiscono un gran brutto precedente, sia nelle politiche di conservazione del lupo che nella negazione di ogni possibile coesistenza. Una visione antropocentrica che pone le attività umane al centro e il lupo ai margini, quasi non avesse un valore per la regolazione naturale delle popolazioni selvatiche. Disponendo l’abbattimento non solo di interi branchi ma anche di un numero consistente di giovani esemplari.
La coesistenza impossibile con i lupi in Svizzera sarà di esempio per altre nazioni
Calcolando che le stime di consistenza parlano della presenza di 30 branchi di lupi in tutta la Svizzera appare chiara l’invasività del provvedimento. Che prevede la riduzione di di più di un terzo dei branchi, con ulteriore prelievo di giovani esemplari. Contro questo provvedimento sono scese in campo ben 158 organizzazioni di tutela del lupo, appartenenti a 37 paesi, che chiedono al Comitato Permanente della Convenzione di Berna e alla stessa Svizzera di rivedere il provvedimento. Per l’Italia ha firmato anche l’organizzazione “Io non ho paura del lupo“.
I componenti del Gruppo specialistico Canidi della IUCN SSC, cofirmatari della lettera, affermano che “Noi componenti del Gruppo di specialisti dei canidi dell’IUCN SSC, il principale gruppo di esperti a livello mondiale che si occupa di lupi e dei loro parenti selvatici, esprimiamo la nostra profonda preoccupazione e la nostra obiezione alle modifiche legali e alla prevista persecuzione dei lupi in Svizzera. L’attuale piano di gestione del lupo del governo svizzero non è scientifico e contraddice le più recenti conoscenze scientifiche sulla gestione dei carnivori e sulla protezione della natura“.
Ora non resta che vedere come e se deciderà di intervenire il segretariato della Convenzione di Berna, che aveva già posto dei veti sul declassamento dello status di protezione del lupo. In un momento in cui l’attenzione di tutta l’Europa continentale dovrebbe essere rivolta verso un piano complessivo di rigenerazione degli equilibri naturali. Che non si potranno mai raggiungere abbattendo i predatori.
Uccisa da una fucilata la lupa Ventura, ma per gli inquirenti si tratta di un caso di legittima difesa. I fatti risalgono ai primi giorni di ottobre, quando la lupa viene rinvenuta morta. In circostanze che hanno versioni discordanti, secondo quanto appare sui siti di informazione. La cosa che desta più stupore, comunque, non solo soltanto le motivazioni ma anche le tempistiche. Che hanno portato il caso a essere archiviato come un episodio di legittima difesa, a pochissime settimane dai fatti che hanno portato alla morte della lupa.
Senza nulla togliere agli inquirenti e senza entrare in fatti che al momento non si conoscono nei dettagli, certo la velocità di risoluzione di quest’indagine diventerà un caso di scuola. Il fatto sembra essere accaduto nella notte fra il 3 e il 4 di ottobre e, in meno di un mese, il Procuratore di Savona ha chiesto l’archiviazione, letto il rapporto dei Carabinieri Forestali. Richiesta subito approvata da parte del GIP, che ha disposto il non luogo a procedere. Lo sparatore ha dichiarato di aver ucciso la lupa richiamato dalle urla della moglie, che stava portando a passeggio il cane. Ma ha anche dichiarato altre cose che vedremo.
Uccisa da una fucilata la lupa Ventura, ma leggendo le cronache la confusione regna sovrana
Se voleste comprendere cosa sia davvero successo e in che arco temporale sia realmente accaduta l’uccisione della lupa sappiate che più cercheretete e meno capirete. Le date si spostano, il tempo si dilata, i fatti sembrano soggetti all’effetto Fata Morgana, creando miraggi. Unica certezza è che Ventura, lupa munita di radiocollare il 9 febbraio 2023 da tecnici del WAC, è stata abbattuta. Insieme a quella che in una manciata di settimane il caso sia stato dichiarato chiuso, con una velocità inusuale per chi conosce le tempistiche giudiziarie dello stivale. Può essere stata davvero legittima difesa? Potrebbe essere, però certo alcuni particolari fanno pensar male.
Le cronache locali hanno riportato una presunta confidenza dell’animale, che non trova alcun riscontro nei dati ottenuti col monitoraggio: sul totale dei dati raccolti (1194 fix), solo il 4% (43 fix) risultano essere in prossimità di aree antropizzate, e si tratta sempre di passaggi in ore notturne o crepuscolari.
Nella zona di Sassello, i tecnici di Regione Liguria stanno monitorando la situazione, per capire se ci sono effettivamente altri lupi che frequentano la zona urbana o che mostrano comportamenti anomali.
Ventura era confidente e si avvicinava davvero alle abitazioni? Se viveva in un branco stabile, in grado di cacciare, perché attaccava un cane, escludendo quasi certamente che il motivo fosse la fame? I dati del radiocollare saranno in grado di ricostruire la storia di Ventura. Da quel che si legge fra le righe di un articolo pubblicato su LIFE WOLFALPS EU qualche dubbio sembrano nutrirlo anche i tecnici. Gli unici come sempre pieni di certezze sono i cacciatori, che cavalcano la legittima difesa come se non ci fossero dubbi di sorta. Specie dopo l’archiviazione lampo.
Chi ha ucciso la lupa Ventura per “legittima difesa” ha spostato il corpo e solo la mattina dopo ha avvisato i Carabinieri
Il fatto importante, omesso da molte cronache, è quello che rivela il fatto che lo sparatore fosse talmente spaventato dal rischio corso da caricare il lupo morto in auto. E di trasportarlo dalla Liguria al Piemonte, proprio come si legge in un articolo pubblicato su Big Hunter, da cui è tratta questa citazione:
“Tizio è un cittadino sassellese che tutti conoscono e vive in una cascina in mezzo alla campagna. Due mesi fa, intorno alla mezzanotte, è stato richiamato dalle grida della moglie che si trovava sotto casa e teneva in braccio il loro cane perché aveva davanti un lupo; tizio imbracció il fucile e abbatté il predatore. Preso dal panico trasportó il lupo altrove ma tornato a casa passó insonne la notte e la mattina seguente, decise di andare dai Carabinieri a denunciare l’accaduto.”
La domanda sorge spontanea: sarà stata la coscienza o la notte avrà fatto pensare allo sparatore che il radiocollare avesse registrato tutto? Permettendo ai tecnici di ripercorrere a ritroso il percorso di Ventura dal luogo dove era stata trasportata a quello dove era stata abbattuta. Scienza contro coscienza? Un comportamento grave, che se avessere riguardato un essere umano avrebbe comportato serie conseguenze, anche in caso di legittima difesa. Meritevole forse di maggiori approfondimenti che portano a rendere questa velocissima archiviazione sempre più incredibile. Non è per dubitare della magistratura ma il livello di stupore resta certamente alto.
Troppe cose restano in sospeso nella morte della lupa e una fra tutte è capire chi è il responsabile del fatto
Un ulteriore tassello di dubbio in questo turbine di notizie diverse, inconferenti, è che manca ogni notizia sullo sparatore. Un fatto di questo genere attirasempre curiosi e giornalisti, stimola ricerche, alimenta polemiche talvolota di pessimo gusto. Eppure nonostante sia avvenuto in una piccola frazione isolata non si trovano nemmeno le iniziali del responsabile. Certo non per metterlo alla gogna, ma come mai tanta segretezza? Insomma una vicenda dai contorni non definiti, con percorsi che andrebbero chiariti. Per non alimentare inutili paure, ma anche azioni emulative nell’illusione che basti raccontare di una presunta aggressione per rendere lecito l’abbattimento di un lupo.
Con un clima d’odio come quello che stiamo vivendo in questo periodo i predatori sono sempre nel mirino, e non soltanto per metafora. Sarebbe tempo di ristabilire confini, di creare e veicolare informazione realistica. La conoscenza è l’unica arma in grado di contrastare l’ignoranza e i pregiudizi. Non solo verso i lupi, ma nei confronti di tutto quello che temiamo perché in effetti non conosciamo.
Ucciso il cervo Bambotto da un cacciatore, ma la responsabilità è (anche) di quanti lo hanno reso confidente, facendolo diventare la mascotte del paese. Questa storia racconta di buone intenzioni finite male, di un cacciatore che spara a un cervo che era stato adottato dal borgo di Pecol, fino a farlo diventare un animale confidente. Grazie al condizionamento alimentare e al fatto che Bambotto era stato allevato in paese da quando era solo un cerbiatto. Una storia apparentemente da fiaba, ma nella realtà una dimostrazione di quanto non bastino intenzioni buone per fare cose giuste.
Ucciso il cervo Bambotto da un cacciatore perché era una preda facile, non aveva paura e non dava peso alla presenza umana
Ora gli abitanti della frazione di Pecol, nel bellunese, lo piangono come un amico, una sorta di cane di quartiere che entrava nelle case. Dalle quali in questa stagione, a causa dei grandi palchi, faceva fatica poi a uscire restando incastrato con le sue corna. Una storia tenera, che tocca il cuore, ma che poteva avere vari tipi di epilogo, sempre potenzialmente tragici. Come l’uccisione del cervo da parte di un cacciatore, ma anche come il ferimento o l’uccisione di una persona.
«Era diventato (Bambotto ndr) bellissimo e maestoso – aggiunge Donatella- e credo che siano davvero pochi quelli che non lo conoscano. Lo potevi incrociare per strada mentre raggiungeva tutte le frazioni limitrofe e si fermava a mangiare ovunque da chi lo amava come noi. Spesso mi entrava in casa e poi era un impresa farlo uscire perché i suoi palchi erano immensi. Ho trascorso anni stupendi e mi teneva tanta compagnia perché se decideva di restare si addormentava su per le scale o davanti alla porta di ingresso mi seguiva ovunque docilmente».
Molti amanti degli animali non accettano di non poter dare cibo ai selvatici, di non dover cercare un rapporto con loro
Bisogna smettere di usare come bandiera i buoni sentimenti, la magia del rapporto fra l’animale selvatico e l’uomo, le leggende che ci portiamo dietro fino dalle scuole. Impariamo a dividere i bisogni del nostro ego dalle necessità imposte dal rispetto verso gli animali. Smettiamola di ammantare di positività racconti che parlano di addomesticamento e condizionamento. Cerchiamo di essere obiettivi e di non farci sopravanzare dai buoni sentimenti. Unico vero aiuto che possiamo dare agli animali è rispettarli nel loro ambiente, cercando di avere comportamenti educati e civili.
Queste storie, solo apparentemente degne di una favola, sono sicuramente frutto di un atto d’amore, ma raccontano di un rapporto prondamente sbagliato e diseducativo. Per questo è importante dirlo con ruvida chiarezza e anche a costo di perdere simpatizzanti: lasciate che siano i professionisti a occuparsi dei selvatici in difficoltà. Non alimentate MAI gli animali selvatici.
Orsi del Trentino, la selezione “innaturale” causata da investimenti e morti sospette ha assunto da tempo contorni preoccupanti, per numero di orsi rinvenuti cadaveri. Sono ben sette i plantigradi trovati morti nel solo 2023, un numero molto elevato che alimenta non pochi dubbi. Corroborati da poche certezze, anche a causa dello stato di conservazione dei cadaveri rinvenuti che non sempre forniscono dati precisi sulle cause di morte Da più parti si adombra l’ipotesi di atti di bracconaggio, che considerando il clima creato dalla giunta di Maurizio Fugatti risulta più che probabile.
Secondo l’opinione di una parte di tecnici la responsabilità di queste attività illegali “fai da te” sarebbe causata dalla mancata gestione degli orsi. Senza la quale i residenti sarebbero portati a mettere in atto azioni illecite di uccisione degli orsi, quasi fosse una sorta di bracconaggio di necessità. Un’idea incondivisibile in una provincia che nulla ha fatto per cercare di creare un diverso clima, stimolando la coesistenza. Mentre è indiscutibile che sia stata fatta una campagna d’odio, associando la presenza di orsi a un pericolo amplificato per la popolazione. Un comportamento irresponsabile, ma di facile presa, utile soprattutto in vicinanza delle scadenze elettorali.
Orsi del Trentino, la selezione “innaturale” stimolata dalla PAT e lo studio di ISPRA sulle rimozioni
Al di là di ogni questione etica sul diritto di contenere gli animali selvatici in modo cruento resta un punto non eludibile: la correttezza del ragionamento. Viene narrata come buona cosa, anzi come azione doverosa, il voler decidere di abbattere gli orsi perché ritenuti pericolosi, secondo un sentir comune stimolato ad arte, capace di originare azioni criminose. Se ogni anno si rimuoveranno un certo numero di animali questo farà si che i cittadini smettano di cercare scorciatoie illegali. Un ragionamento non solo è privo di significato, ma che non viene mai applicato per questioni più serie. Prevenire il crimine conviene solo se altre da noi sono le vittime.
Qualche esempio? Aprendo corridoi per agevolare l’immigrazione legale eviteremmo che si favorisse quella clandestina. Limitando concretamente la velocità dei veicoli potremmo ridurre il numero di morti fra pedoni e ciclisti e, conseguentemente, i reati connessi. Grazie a una più equa distribuzione della ricchezza si eviterebbero tantissimi crimini e pericoli per la società. Tutti principi di cautela giusti e ragionevoli ma inapplicati, specie quando la parte limitata/danneggiata dai provvedimenti rappresenta un elettore.
ISPRA ha appena pubblicato uno studio dal quale risulta che si possano abbattere sino a 8 orsi all’anno senza danni per la popolazione. Esattamente 6 maschi di varie età e 2 femmine in età fertile. Seguendo parametri di non semplice comprensione, ma del resto si sa che gli studi molte volte siano fatti per non essere comprensibili ai più. Concludendo poi che allo stato via sia solo un orso “rimovibilie” (MJ5) in quanto classificato come problematico, ai sensi del PACOBACE.Senza far menzione, almeno apparentemente, dell’incidenza della mortalità “innaturale” dovuta a incidenti e bracconaggio.
Fare scelte intelligenti, come la creazione dei corridoi ecologici, serve a migliorare la coesistenza
Dall’analisi critica e dalla integrazione dei modelli e delle simulazioni condotte, è quindi possibile concludere che, al fine di non incidere in maniera negativa (i.e., non determinare un’inversione di trend) sulla traiettoria della popolazione, è possibile ipotizzare la rimozione di un numero massimo di 2 femmine riproduttive all’anno, nell’ambito di un prelievo complessivo di massimo 8 capi (e.g., in totale, 4 subadulti equamente distribuiti tra maschi e femmine, 2 maschi adulti e 2 femmine riproduttive). (…)
L’eventuale scelta di operare prelievi sopra tale soglia, con l’obiettivo quindi di determinare un trend negativo della popolazione anche intervenendo su individui non problematici, richiede a parere di ISPRA valutazioni di carattere non strettamente biologico e onservazionistico che non si ritiene diaffrontare in questa sede.
ISPRA – LA POPOLAZIONE DI ORSI DEL TRENTINO: ANALISI DEMOGRAFICA A SUPPORTO DELLA VALUTAZIONE DELLE POSSIBILI OPZIONI GESTIONALI – MAGGIO 2023
Uccisi da bracconieri una lince e un avvoltoio capovaccaio, che erano parte di programmi di reintroduzione. Gli episodi sono avvenuti a distanza di poche settimane nella regione della Carinzia, in Austria, e nei cieli del Canale di Sicilia. Una dimostrazione di quanto anche l’arrogante stupidità dei bracconieri sia trasnazionale e di come sia difficile fare conservazione. Lince e capovaccaio hanno sagome inconfondibili, quindi chi ha premuto il grilletto del fucile non ha fatto un errore, ma ha compiuto un gesto intenzionale, deliberato.
Probabilmente le motivazioni di quelle fucilate sono diverse, anche se non modificano il risultato avendo ucciso animali che non meritavano questa sorte. La lince è vittima, come tutti i predatori, di pregiudizi che la vogliono in competizione con l’uomo e in particolar modo con cacciatori e allevatori. Il capovaccaio, invece, è una vittima dell’ignoranza, che porta ancora a credere che uccidere i rapaci protegga dai tradimenti coniugali, o di qualche altro stupido pregiudizio. Chi ha premuto il grilletto probabilmente nemmeno sapeva che il capovaccaio, come tutti gli avvoltoi, è un necrofago. Animali che nutrendosi quasi esclusivamente di cadaveri, contribuiscono a evitare la diffusione di malattie. Spazzini alati importantissimi per la biodiversità.
Tutelare i predatori è fondamentale per il mantenimento degli equilibri faunistici
Nel nostro paese il bracconaggio rappresenta una presenza pericolosa e costante sul territorio, che solo raramente viene vista con tutte le sue devastanti conseguenze. Un fenomeno presente, purtroppo, anche in altri Stati europei, nonostante la presenza di normative meno filo venatorie delle nostre. Il bracconaggio è un’attività che non trova alcuna giustificazione -un tempo, almeno, si bracconava per fame o per soldi- e che è fondata su crudeltà e ignoranza. Un crimine contro il quale servono leggi con maggior potere deterrente e la creazione di una nuova cultura della coesistenza, basata sulla miglior conoscenza del mondo naturale.
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