Orsi del Trentino riparte il circo mediatico: ancor prima di avere certezze si parla di abbattimenti con la certezza per l’amministrazione di avere maggior ascolto. Con un governo che vede al centro l’uomo mentre la tutela ambientale diventa satellite di un antropocentrismo decisamente miope. Così dopo una supposta aggressione, dalle circostanze non ancora chiarite, da parte di un orso a un certo Alessandro Cicolini, fratello del sindaco di Rabbi già si parla di abbattimenti. Leggendo le notizie riportate sui vari giornali le uniche certezze sembrano essere la presenza di un cane e un rotolamento da una scarpata. Dove sarebbero caduti orso/a e escursionista.
Molti sono gli interrogativi sulle ferite, che non è certificato siano morsi o ingiurie provocate dalle caduta, né si avranno mai certezze sulla custodia del cane. Era tenuto davvero al guinzaglio anche se sembra che non ci fossero altri escursionisti? Non una parola sul fatto che determinate aree, dove è stata accertata la presenza di orsi, dovrebbero essere interdette ai cani. In compenso parte veloce e fragorosa come una fucilata la richiesta di Fugatti di avere mano libera nella gestione. Destinata a un ministro dell’ambiente che non pare abbia il piglio necessario per rintuzzare le solite richieste del presidente della PAT.
Orsi del Trentino riparte il circo mediatico, con sempre gli stessi protagonisti, identiche richieste e uguali scorciatoie il presidente Fugatti, l’assessore Zanotelli
I protagonisti sono gli stessi, su base trentina, ma quello che è cambiato è il governo nazionale, che in questo momento è l’esecutivo più vicino al mondo della caccia di sempre. Con una visione che pone sempre al centro l’uomo e la tenuta dell’economia e solo dopo, molto dopo, anche la tutela ambientale. Certo qualcuno potrebbe affermare che uccidere qualche orso non mette in pericolo la popolazione del Trentino, né rappresenta un danno ambientale concreto, e sotto il punto scientifico potrebbe essere affermazione realistica. Il problema va però affrontato da un altro punto di vista e riguarda metodo e visione.
Diamo per un attimo per scontato che in presenza di un pericolo e di un orso aggressivo si possa accettarne l’abbattimento, per tutelare la restante popolazione dei plantigradi e l’incolumità umana. Un fatto grave, eticamente riprovevole ma supportato dalla necessità di tutela di un patrimonio collettivo. Ma perché possa essere anche lontanamente una scelta giustificabile, non sostenuta da accessi forcaioli dove la morte dell’orso diventa un trofeo elettorale, occorrerebbe aver fatto il possibile per evitare l’eventuale concretizzazione dell’evento. Un’ipotesi del tutto inapplicabile alla gestione degli orsi del Trentino.
Per tutelare orsi e cittadini occorre fare corretta informazione
Le giunte che hanno governato la provincia autonoma di Trento non hanno fatto nulla per mettere in sicurezza popolazione e orsi, che ricordiamo essere una specie ombrello, molto importante per gli ecosistemi che la ospitano. Sono mancati incontri capillari e continuativi per spiegare i comportamenti da tenere in caso di incontro con gli orsi, che certamente non comprendono il mettersi a correre, Come ha dichiarato di aver fatto il Cicolini. Non si è fatta sufficiente informazione sui comportamenti positivi, come quello di fare rumore, per avvertire gli orsi della nostra presenza. Non sono state prese misure per limitare l’accesso alle aree in cui sono presenti orse con i piccoli, come viene fatto in Abruzzo.
Il presidente Fugatti vorrebbe orsi teleguidati che attirino il turismo ma che non causino fattori di disturbo
Una visione dell’equilibrio naturale e della gestione faunistica irrealizzabile. Una visione della convivenza con un angolo troppo ristretto per consentire effetti ambientali benefici. Specie in una regione ad alto tasso di antropizzazione ma anche di inquinamento, a causa di un’agricoltura estensiva onnipresente. Con in più l’onnipresente concetto di totipotenza secondo il quale l’uomo sia realmente in grado di gestire la natura. Mentre dovrebbe limitarsi a proteggere una parte importante del territorio per difendere l’equilibrio ambientale, senza credere di avere una reale capacità di gestione.
Ora occorrerà attendere, se saranno fatte e rese note, le indagini volte a capire responsabilità, entità reale del danno e certezza sull’orso responsabile dell’episodio. Mentre temo che saranno attese invano disposizioni che restringano agli escursionisti la fruizione di determinate aree e l’attuazione di una campagna capillare di informazione.
Nel frattempo le nuvole temporalesche che si sono da sempre addensate sugli orsi del Tentino temo continueranno ad addensarsi. Non lasciando presagire nulla di buono per il futuro degli orsi del Trentino, che spero non debbano subire la stessa sorta del quasi dimenticato M49, tutt’ora rinchiuso nel centro di detenzione di Casteller, costretto a trascorrere una vita fatta soltanto di privazioni e noia.
Una delle tante scorribande a Roccaraso di Juan Carrito
Investì l’orso Juan Carrito causandone la morte nello scorso mese di gennaio, un evento che parve subito accidentale non attribuibile al comportamento del guidatore del veicolo. Come risulta dalle attività dei Carabinieri e delle Guardie del parco intervenute sul posto: il conducente non avrebbe potuto evitare Carrito. L’orso infatti è saltato improvvisamente sulla carreggiata, da un muretto che costeggia la statale. Un tratto di strada più famigerato che famoso, visto che sono stati diverse le collisioni con altri orsi, due delle quali mortali.
“Carrito è morto per un incidente stradale lungo un’arteria, la SS 17, che prima di lui, negli ultimi anni, aveva già ucciso altri 2 orsi nel tratto tra Castel Di Sangro e Roccaraso e aveva registrato l’investimento, per fortuna senza conseguenze di altri 2 individui. Nessuno di quegli orsi aveva il comportamento confidente di Carrito. A dimostrazione che Carrito non è morto perché era Carrito, ma perché, come tutti gli altri orsi era libero di muoversi sul territorio”.
Tratto dal sito del PNALM
L’investitore, Luciano Grossi, di Castel di Sangro, la tragica notte dell’investimento ha subito avvisato i Carabinieri, un comportamento purtroppo non così comune. Questo però non è bastato ad evitargli insulti sui social e denunce, da quanti non perdono occasione per cercare un momento di notorietà. Così la perdita dell’orso più famoso d’Italia ha dato il via a ogni sorta di polemica con attacchi a 360°, senza risparmiare alcuno. Dall’investitore al Parco d’Abruzzo, che secondo molti non aveva fatto a sufficienza per proteggere Juan Carrito in un crescendo di accuse decisamente senza senso. Questo non vuol dire che non possano esserci stati errori, è inevitabile, ma certo non per trascuratezza.
Investì l’orso Juan Carrito causandone la morte, ora che è stato prosciolto denuncia chi lo aveva accusato
Ho scritto spesso su questo blog e sui giornali le azioni di Carrito, ho cercato di raccontare, come molti altri, come gestione dei rifiuti e comportamento delle persone fossero la causa delle sue azioni. Un orso può nascere curioso, più intraprendente di altri, può anche avere un’intelligenza particolare, come può accadere a un umano, ma se diventa confidente la colpa è solo della nostra specie, dei nostri comportamenti. Gli animali selvatici non vanno fatti diventare fenomeni da baraccone, devono avere paura dell’uomo se vogliono sopravvivere, e devono stare lontano dai nostri insediamenti. Chi dice il contrario giustifica comportamenti che possono soddisfare il proprio ego, potendo però anche condannare a morte un animale.
Fra le tante cose scritte e dette in quei giorni, pro e contro il Parco, responsabile secondo i detrattori di non aver fatto quanto era possibile e di aver alterato la verità dei fatti, una considerazione è mancata del tutto. Certo è sempre più facile accusare che difendere, anche perché le accuse, anche le più stupide, sono sempre più condivise dei pacati ragionamenti. Quello che non ho letto è legato al sostantivo “coraggio”, alla determinazione di far restare Carrito un orso libero. Di non far fare a questo giovane orso marsicano la fine di M49, l’orso trentino rinchiuso da anni, in pochi metri quadrati, nel centro di detenzione di Casteller.
Tratto dal sito del PNALM nei giorni appena successivi alla morte di Juan Carrito
Se Juan Carrito è morto da orso libero questo lo si deve alle scelte fatte dal Parco d’Abruzzo
Può essere che il PNALM abbia fatto degli errori nella gestione del problema Carrito. Ma anche molte cose importanti come, per esempio, grazie alle sinergie con l’associazione Salviamo l’Orso la messa in sicurezza di molti tratti della SS17. La strada della morte, anche se fuori dai confini del parco, ora è un po’ più sicura per gli animali. Ma non è per questo che parlavo di coraggio. La scelta coraggiosa è stata quella di difendere ostinatamente e con ogni mezzo la libertà di Carrito. Rifiutando la scorciatoia più facile costituita dal rinchiudere quest’orso, dal sollevarsi dalla responsabilità che l’orso, confidente e problematico, potesse causare la morte di una persona.
Con tutte le inevitabili conseguenze di natura penale, amministrativa e erariale che sarebbero potute ricadere sulla testa di Giovanni Cannata, presidente del PNALM e del direttore del parco Luciano Sammarone. Se Carrito è morto da orso libero questo fatto deve essere riconosciuto come un merito loro, unitamente alla tolleranza che da sempre gli abitanti di quei luoghi hanno sempre avuto nei confronti della fauna. Ma ricordo di aver letto pochi apprezzamenti e riconoscimenti e molte critiche, senza meriti per aver operato scelte non facili per un amministratore pubblico.
Con i tempi che corrono per la difesa della fauna occorrono persone di coraggio e di principi, capaci di non svendere alla politica la conservazione del nostro patrimonio naturale. Per questo è importante fare informazione di qualità, senza tener conto di quanto questa possa piacere ai tuttologi dei social, agli odiatori di professione. Le opinioni possono divergere, ma il dibattito deve sempre restare civile, senza dimenticare l’obiettivo primario: la difesa del capitale naturale.
Un crescendo di uccisioni a colpi di fucile che una volta rimanevano nascoste, facendo prediligere ai bracconieri la tecnica delle tre “S”: spara, scava, sotterra. Mentre ora, sarà anche grazie alle dichiarazioni di alcuni ministri e al governo più filo-venatorio della Repubblica, gli episodi di bracconaggio si moltiplicano, con cadaveri lasciati volutamente in bella mostra. Come a rappresentare la possibilità per il bracconaggio contro i lupi di rialzare la testa. Messaggi inquietanti per chi si occupa di tutela ambientale e della difesa degli animali, ma forse anche messaggi chiari verso la politica perché adotti provvedimenti.
Quello che appare è un quadro a tinte fosche che vede un’esposizione preoccupante del bracconaggio, stimolato probabilmente anche dalle dichiarazioni “esuberanti” dei politici come il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida. In un momento in cui l’idea del fare sembra prevalere rispetto all’idea di risolvere i problemi. Ben sapendo che l’abbattimento dei lupi non servirà a risolvere il problema delle predazioni degli animali lasciati incustoditi al pascolo. Il numero delle predazioni degli animali allevati non dipende dal numero dei lupi, ma dall’attrattività delle prede: se sono facili da uccidere sono cibo a basso dispendio energetico.
Azioni di bracconaggio sui lupi in crescita, senza che nemmeno il ministero dell’ambiente faccia sentire la sua voce
Le azioni di bracconaggio sono passate inosservate, anche quando un gruppo di cacciatori di cinghiali ha ucciso un lupo vicino alle case, davanti agli occhi di un bambino. Sui media solo poche righe, nessuna dichiarazione ufficiale delle autorità e nemmeno dei politici. Completamente assente anche il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che non risulta abbia mai detto parola contro il bracconaggio., tanto da far rimpiangere persino il suo predecessore Cingolani.
Per fortuna, almeno per il momento, esistono baluardi europei difficili da espugnare, anche per i fautori della caccia al lupo, come la Convenzione di Berna, Senza contare la legge sulla caccia che classifica il lupo come specie particolarmente protetta, che senza modifiche non consente deroghe al divieto di abbattimento. Visti i tempi non bisogna certo sentirsi rassicurati: a modificare la legge 157/92 basta un atto parlamentare. In questo momento, forse, la miglior barriera contro la caccia selvaggia al lupo sono i fondi del PNRR, che potrebbero esserci negati in caso di palesi violazioni.
Il lupo è il nemico numero uno degli allevatori, anche se i danni da predazione dei lupi vengono indennizzati
Le predazioni che i lupi fanno nei confronti degli animali al pascolo sono sempre indennizzate dalle Regioni. In modo insoddisfacente sentendo gli allevatori, che spesso scordano quanti incentivi riceva l’agricoltura e dimenticano come in ogni attività esista il rischio di impresa. Accettato quando si parla delle grandinate, considerate un fenomeno naturale imponderabile, ma non se a provocar danni è un altro fenomeno della natura: il lupo. Colpevole di aver da sempre cattiva fama e di volersi comportare proprio come la natura lo ha programmato: un superpredatore ai vertici della catena alimentare.
Bocconi avvelenati: fenomeno criminale che si sarebbe dovuto contrastare anche grazie a un app messa a disposizione dei cittadini da parte del Ministero della Salute. Lo spargimento di sostanze tossiche, sotto forma di esche o bocconi, sta prendendo sempre più piede, diventando un fenomeno rilevante sia per quanto riguarda il bracconaggio che per lo spargimento di tossici nei giardini cittadini. Un crimine molto pericoloso, che non ha un obiettivo preciso se non quello di uccidere animali, accettando così il rischio che uno di questi bocconi possa finire anche nelle mani di un bimbo.
Da tempo i Carabinieri Forestali. e non soltanto, si sono dotati di unità cinofile specializzate nella ricerca di bocconi avvelenati, ma purtroppo sono ancora in numero insufficiente rispetto alle richieste e alle segnalazioni che arrivano dal territorio. Lo spargimento di sostanze tossiche non soltanto è un comportamento irresponsabile ma anche un reato in cui risulta complesso riuscire a individuare i responsabili, Una realtà aggravata dalla possibilità di trovare in qualsiasi garden o negozio di bricolage un campionario sterminato di sostanze tossiche messe liberamente in commercio.
L’App realizzata dal Ministero della Salute integra la raccolta dati del portale avvelenamenti, il cui uso è riservato ai medici veterinari, e potrà aumentare il numero delle segnalazioni. Purtroppo però manca quasi del tutto la parte informativa per i cittadini, che non riescono a ottenere dati utili per tutelare i propri animali. L’applicazione infatti non consente di fare una ricerca per zone, non consente di filtrare il periodo e non fornisce indicazioni sullo stato della segnalazione. Rendendo poco appetibile per il cittadino dotarsi di questa app, che potrebbe invece essere molto utile per le segnalazioni di sospetti casi di avvelenamento.
Bocconi avvelenati, un fenomeno criminale che si poteva contrastare con maggior efficacia investendo meglio sulla tecnologia
Nel mese di ottobre questa nuova applicazione è stata presentata al Ministero della Salute come un’arma importante per combattere gli avvelenamenti dolosi. Dimenticando però come il coinvolgimento dei cittadini passi anche attraverso le utilità che questi ricevono, misurabile in termini di sicurezza per difendere i propri animali, grazie alle informazioni ricevute. La tecnologia avrebbe consentito, davvero con poca spesa di restituire ai cittadini informazioni utilissime. come quelle sugli avvelenamenti in atto, filtrabili per Comune e per data.
Da molti anni chi si occupa di contrastare questo fenomeno chieda che venga emanata una norma chiara, che si smetta di adottare ordinanze, che si crei maggior consapevolezza. Senza ottenere alcun risultato. Continuando a consentire la libera vendita di prodotti altamente tossici e pericolosi anche per la salute pubblica. Prodotti usati per confezionare bocconi avvelenati come rodenticidi, lumachicidi e pesticidi vari si trovano in libera vendita in ogni negozio di giardinaggio del paese. Creando tutti i presupposti per una strage continua e silenziosa di animali selvatici e non soltanto.
Su questi temi bisogna cambiare registro chiedendo l’adozione di provvedimenti efficaci
Per arrivare a un cambiamento vero occorre una norma precisa, una raccolta dati certa con evidenza pubblica, una regolamentazione della vendita dei prodotti pericolosi per uomini, animali e ambiente. In modo da poter finalmente arrivare a un contrasto reale, metodico e efficace di un fenomeno facile da mettere in atto e difficile da reprimere. Coinvolgendo i cittadini nella segnalazione di casi sospetti, dandogli per contro informazioni efficaci per tutelare i propri animali, e i medici veterinari liberi professionisti. Che devono diventare la prima linea delle segnalazioni, considerando che proprio loro ricevono le richieste d’aiuto dei proprietari di animali. Denunciando, sempre, ogni caso di sospetto avvelenamento.
L’avvelenamento è un fenomeno che coinvolge molti ambiti: da quello venatorio alla competizione per i tartufi, dall’eliminazione degli animali randagi alla strage dei rapaci causata dai rodenticidi. Non esistono dati certi sul numero degli animali avvelenati e anche facendo una ricerca in rete si resta disorientati. Si passa da notizie gonfiate, basate su dati inesistenti rilasciati da fantomatiche associazioni, a quelle trovate anche su portali pubblici che sono vecchie di anni. Spesso condite da dichiarazioni trionfali che restano, di fatto, soltanto delle enunciazioni senza seguito.
L’accoglienza entusiastica riservata anche dal mondo veterinario a questa app appare francamente poco comprensibile. Mentre sarebbe davvero importante che fossero resi pubblici i dati sui numeri delle segnalazioni arrivate nel 2022 al Portale degli avvelenamenti da parte di tutte le componenti interessate. Per riuscire a comprendere quanto sia reale la volontà di contrastare gli avvelenamenti e quanto si tratti di operazioni di marketing, che poco risolvono rispetto alla tutela reale e al contrasto a questi atti criminali.
Animali a rischio investimento sulle strade: se ne parla tanto ma si fa troppo poco per mettere in sicurezza le nostre strade. Dopo la morte dell’orso Juan Carrito, investito e ucciso da un auto in Abruzzo, il tema torna prepotentemente alla ribalta. Ma l’esperienza insegna come su questo argomento i riflettori restino accesi per poco tempo, senza riuscire a far mettere in atto le azioni necessarie per prevenire queste collisioni, che hanno quasi sempre esito fatale per gli animali e spesso anche per le persone.
Eppure queste collisioni sottraggono al nostro patrimonio naturalistico un numero consistente di animali, un’impressione non corroborata da dati certi, ma dai cadaveri di animali che si osservano percorrendo molte strade. Per evitare questi incidenti esistono soluzioni immediate, come una drastica riduzione della velocità quando si attraversano aree naturalistiche, specie nelle ore notturne, e la creazione di attraversamenti sicuri. La riduzione della velocità non può essere lasciata alla scelta del singolo automobilista, che spesso ignora i cartelli di pericolo, ma può essere ottenuta con controlli automatici della velocità. I proventi di queste sanzioni potrebbero essere destinati alla messa in sicurezza delle strade mediante la creazione di attraversamenti sicuri.
Animali a rischio investimento sulle strade: servono più controlli automatizzati
L’assenza di strutture per l’attraversamento sicuro delle strade da parte degli animali è un problema serio e non soltanto per garantire la sicurezza della circolazione. Le barriere, spesso invalicabili, costituite dalle nostre reti viarie rappresentano ostacoli fisici che impediscono il libero spostamento degli animali sul territorio. Con conseguenze che impattano anche sulla loro distribuzione e sulla tutela della biodiversità, così importante per mantenere l’ambiente in equilibrio.
La morte dell’orso Juan Carrito ha privato la popolazione degli orsi marsicani, che è di circa una settantina di esemplari, di un giovane maschio che non aveva ancora raggiunto la maturità sessuale. Un danno importante quando colpisce una popolazione così piccola, di una sottospecie unica che vive in un areale molto piccolo. Ma sulla stessa statale dove è stato investito Carrito negli anni precedenti erano stati investiti e uccisi già tre orsi, mentre altri due erano rimasti soltanto feriti e qualche giorno fa è stato investito un lupo.
Una situazione di pericolo che ha costretto il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con l’aiuto dell’associazione Salviamo l’orso, a fare interventi per la messa in sicurezza di quel tratto stradale. Pur non avendo una competenza diretta ma con il solo intento di evitare altre morti in un tratto di strada molto pericoloso. Purtroppo il giovane Juan Carrito, sempre in cerca di nuovi percorsi, ha superato le reti arrampicandosi per poi balzare sulla carreggiata, un comportamento con conseguenze fatali. Del resto gli animali sono imprevedibili e i mezzi di dissuasione, seppur indispensabili, non possono fornire certezze assolute. Mentre la riduzione della velocità resta sempre la miglior prevenzione contro gli incidenti.
Tutte le nuove infrastrutture devono prevedere corridoi per garantire attraversamenti sicuri agli animali selvatici
Occorre che sul tema delle collisioni con la fauna e sulla necessità di creare corridoi che consentano agli animali selvatici attraversamenti sicuri si passi dalla teorizzazione alla concretizzazione. Mettendo in campo normative e risorse che consentano di tradurre in realtà i mille impegni sempre annunciati e mai attuati. L’amministrazione pubblica deve concentrare i suoi sforzi futuri in massima parte sulle attività di tutela ambientale e per il contrasto al cambiamento climatico. Magari sottraendo risorse a quella gestione venatoria della fauna che ha portato zero risultati sotto il profilo pratico.
Sarebbe bello fra qualche tempo poter affermare che la morte di Juan Carrito, che tanto ha colpito l’opinione pubblica, abbia fatto da spartiacque, facendo diventare concreta l’attenzione sulla sicurezza degli animali selvatici. In questo un grande aiuto lo possono fornire i cittadini, rallentando la velocità quando si percorrono strade che attraversano ambienti naturali e evitando di fornire cibo, anche involontariamente, ai selvatici. Per evitare di condizionarli e renderli così confidenti, mettendoli in pericolo e facendo perder loro il timore nei nostri confronti, che è invece indispensabile per la loro salvezza.
Lupi inseguiti e uccisi da un auto nel Parco dei Sibillini: un vergognoso atto di bracconaggio costato la vita a due esemplari, mentre un terzo è stato gravemente ferito. Le indagini dei Carabinieri Forestali, subito intervenuti sul posto, si stanno indirizzando verso un noto allevatore della zona. Il fatto è accaduto in un punto dove le abbondanti nevicate avevano creato un percorso obbligato fra due muri di neve. In questa situazione gli animali non hanno avuto scampo, senza possibilità di sfuggire al fuoristrada del bracconiere.
Lupi inseguiti e uccisi con un auto in modo deliberato, non certo per eccesso di velocità
Il lupo è un animale particolarmente protetto da normative nazionali e internazionali. Ma le leggi non riescono a costituire un deterrente efficacie nella prevenzione del bracconaggio, a causa di sanzioni troppo basse. Il lupo è stato sempre demonizzato dai cacciatori e dagli allevatori, sin dalla sua iniziale ricomparsa sulla penisola, dopo essere stato quasi portato all’estinzione. Il lupo rappresenta un caso di studio molto interessante: dopo anni di auto confinamento in piccole aree del centro-Sud il lupo ha iniziato una lenta ma costante espansione. Senza alcun intervento umano il predatore ha sfruttato le opportunità rappresentate dall’aumento degli ungulati e dallo spopolamento degli Appennini.
Il lupo nel giro di qualche decennio ha riconquistato i suoi territori. Nonostante l’intenso bracconaggio, gli investimenti e i bocconi avvelenati. Dimostrando come siano le condizioni ambientali a modificare la diffusione di una specie. Senza interferenze umane che quasi sempre sono in grado di produrre più danni che vantaggi. Una dimostrazione che però non ha fatto piacere né ai cacciatori, che lo hanno visto come un avversario, né tanto meno agli allevatori.
La presenza dei grandi carnivori, in particolare dei lupi, non consente più di lasciare gli animali al pascolo incustoditi, senza vigilanza o protezione. Questo comporta che chi alleva debba preoccuparsi, nuovamente, di difenderli, proprio come avevano sempre fatto i loro nonni, senza avere un doppio lavoro e anche senza finanziamenti europei. Prima che l’agricoltura venisse dopata da contributi dati a pioggia, capaci di generare truffe a danno di tutta la comunità.
Quale futuro attende i lupi, in particolare nel nostro paese dove il bracconaggio dilaga
Prima di ipotizzare gli scenari che attendono i predatori è giusto dire che i governi, di ogni colore, che hanno di volta in volta retto il paese non hanno mai dimostrato molta attenzione verso il bracconaggio. In fondo questo fenomeno criminale viene sottovalutato nella sua devastante portata, come spesso accade con tutti i crimini verso gli animali, ma anche tollerato. Se non tutti i cacciatori sono bracconieri è incontrovertibile che tutti i bracconieri siano, o siano stati, cacciatori con licenza. Una caratteristica che sembra essere alla base di una legislazione morbida e anche un po’ ottusa, quando non collusa, verso il mondo venatorio.
I cacciatori sono un popolo trasversale, più importante per certi partiti come Lega e Fratelli d’Italia, ma componente non trascurabile per tutti gli altri, Verdi esclusi. Il popolo delle doppiette è fedele, riconoscente, vota con attenzione, premia chi gli garantisce norme più estensive, pene meno severe, caccia aperta (quasi) sempre. Lo stesso argomento vale per l’altra categoria, ben rappresentata da Coldiretti, che non morde la mano che li sostiene, specie se è la stessa mano che tifa per far sfoltire i predatori.
Il futuro dei lupi rischia di essere grigio, proprio come il loro pelo. In un paese come il nostro dove economia e convenienza prevalgono sempre sulla tutela ambientale. Facendo dimenticare che senza equilibrio e senza difesa del capitale naturale rischiamo di fare la fine dei dinosauri, portandoci da soli all’estinzione. grazie all’asteroide gigante della nostra stupida miopia.
Il nostro futuro è legato alla protezione del territorio e alla difesa della biodiversità
Non è il carcere che risolve, ma una pena esemplare si, perché funziona da deterrente. Senza quest’ultimo le leggi si svuotano di contenuti, perché non sono i valori che rappresentano ma le pene che causano a servire per limitare i reati, per evitare che crimini gravi vengano trattati come marachelle. Se non difendiamo, sul serio, territorio e biodiversità, se non diamo valore all’etica e alla legalità sarà difficile vincere questa guerra. Il futuro, se vogliamo fermare il cambiamento climatico e la drammatica perdita di biodiversità, non sarà una passeggiata. E questo va detto con chiarezza.
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