Cani rifiutati e rifiuti scontati: le politiche incomprensibili dei Comuni italiani che incentivano le adozioni

Cani rifiutati e rifiuti scontati, sembra la politica che il Comune di Locorotondo ha deciso da tempo di portare avanti per svuotare il canile. Concedendo, come tanti altri Comuni, sconti sulle imposte per chi decida di adottare un cane, consentendo così, ma solo sulla carta, un risparmio dei costi del randagismo. Una scelta che da sempre è al centro di critiche di chi pensa che adottare un cane debba essere una decisione ponderata, non il corrispettivo di un premio. E se premio deve essere allora che sia legato ai costi di cura e di alimentazione dell’animale adottato.
Un’idea che evidentemente non è stata valutata dagli amministratori di Locorotondo, che si trovano in buona compagnia di altre amministrazioni. Certo poi è singolare anche la scelta sul tipo di imposta da condonare, la tassa rifiuti. Quasi come se fra i randagi e i rifiuti ci potesse essere una qualche assonanza. Un bonus fiscale che avrà una durata poliennale, pari alla vita del cane adottato nel canile.
A Locorotondo, un Comune della bassa Murgia barese, secondo quanto riporta la stampa, i cani ospitai nel canile sarebbero circa 50. Un numero sicuramente rilevante, considerando che il bonus in questione è in vigore dal 2013 e che la popolazione comunale è di circa 15.000 persone. Praticamente un randagio in canile ogni 500 abitanti, nonostante gli sconti fiscali. Questi provvedimenti finiscono per intercettare la “coda” della questione randagismo, quella che da decenni riempie i canili dello stivale, ma non risolve. Il canile, infatti, è un luogo di custodia di animali presenti sul territorio, non è un presidio che contrasta il randagismo e gli abbandoni.
I cani rifiutati, vaganti, nati a seguito di detenzioni irresponsabili sono la conseguenza di scelte sbagliate
Per questo dare incentivi a chi adotta un cane non costituisce una possibile risoluzione del problema randagismo. Una questione aperta da un tempo infinito, che pare non trovare risoluzione per carenza di reali sinergie e di adozione di piani di prevenzione efficaci. Che non possono essere lasciati alle singole amministrazioni comunali che si trovano a affrontare un problema che ha origini molto più vaste del territorio di ogni singolo comune italiano.
Come sempre la risoluzione di una problematica complessa, quale che sia il soggetto che la costituisce, passa da azioni di prevenzione, strategie di medio e lungo periodo e risorse che permettano di affrontarla. Risorse che non devono essere spese per il mantenimento del problema, come in parte avviene ora, ma per un realistico contrasto. Prescindendo dagli interessi economici che possono avere le molte realtà che sul problema “randagismo” hanno fatto la loro fortuna.
Se passasse il concetto che un animale, a prescindere della specie, non è per tutti e che per poterlo avere in gestione bisogna meritarselo, le cose potrebbero anche essere diverse. Le adozioni e le gestioni responsabili di cani e gatti sono la chiave della diminuzione del numero degli animali randagi. Mentre certo non lo sono gli incentivi economici all’adozione, se il problema viene visto con una visione orientata non solo all’oggi ma al futuro.
Il nostro rapporto con gli animali deve mutare profondamente, non possiamo continuare a possederli senza rispettarli
Se abbandonassimo per sempre il concetto di padrone, per sviluppare quello di custode, potrebbe forse cambiare il modo con cui pensiamo alla nostra vita con gli animali. Si parla molto in questo periodo della necessità di condividere ambiente e territorio con le specie selvatiche, per tutelare loro ma anche la nostra salute e l’equilibrio del pianeta. Lo stesso concetto di pacifica e rispettosa convivenza dovrebbe essere considerato anche per gli animali che vivono con noi. Spesso costretti a subire scelte scellerate, che non tengono in minima considerazione il loro benessere.
Tutelare gli animali domestici, quelli che vengono definiti come “da compagnia” usando un concetto veramente obsoleto, non può prescindere dalle nostre responsabilità. Dall’obbligo di cura, di una vita che sia svolta in condizioni di benessere e non di sopravvivenza, di conoscere e rispettare le esigenze etologiche di ogni specie, non obbligando alla cattività, per esempio, animali costretti a vivere in gabbia. Occupandoci anche del controllo delle nascite, perché nessun cane o gatto merita una vita da randagio.
Se cambiasse la conoscenza sulle necessità degli animali, se si facesse maggior informazione, questo risultato potrebbe essere un traguardo raggiungibile. Non una chimera come appare oggi, dove maltrattamenti e condizioni di vita innaturali rappresentano per troppi una realtà quotidiana. Le persone si ricordano spesso dei loro diritti, ma dimenticano con altrettanta frequenza i loro doveri. Lo fanno talvolta per indifferenza, altre volte per egoismo ma molte volte anche per scarsa conoscenza.