Elefanti uccisi in Botswana: una strage che inquieta

Elefanti uccisi in Botswana

90 elefanti uccisi in Botswana sono un numero enorme, anche per lo stato africano con la maggior popolazione di pachidermi.

Sono infatti oltre 135.000 gli elefanti che vivono in una nazione che aveva fatto della tolleranza zero, nei confronti dei bracconieri, il suo fiore all’occhiello. Ma non è bastato.

Ben 90 elefanti uccisi in un’area circoscritta non sono azioni che possono essere messe in atto da una piccola squadra di bracconieri. Richiedono tempi veloci  e l’impiego di uomini e mezzi ben addestrati e equipaggiati.

I responsabili potrebbero essere gruppi paramilitari provenienti dall’Angola, attirati come mosche sul miele dal paese con il maggior numero di pachidermi. Se così fosse si parlerebbe di squadre armate con fucili come gli AK-47 o peggio e, probabilmente dotate di elicotteri per potersi allontanare indisturbati.

In Botswana i rangers erano autorizzati a sparare a vista ai bracconieri, con squadre di vigilanza ben armate e equipaggiate. Tanto da rendere davvero impensabile, sino a poco tempo fa, che questo massacro potesse essere compiuto da locali. Chi massacra 90 elefanti non lo fa certo per racimolare i pochi soldi necessari alla sussistenza, specie in uno stato come il Botswana che ha un reddito pro capite fra i più alti del continente.

Ma possono far gola a molti i 1.000 dollari al chilo che si possono ricavare vendendo le zanne ai commercianti orientali. L’oro bianco raggiunge infatti valori altissimi, specie adesso che molte nazioni, Cina compresa, hanno messo il bando sul commercio e che le misure di protezione e sorveglianza si sono incrementate in tutto il continente africano.

Questa carneficina dimostra, ancora una volta, come non si possa abbassare la guardia e rappresenta un segno molto preoccupante per il futuro degli elefanti africani, la cui popolazione è in costante declino a causa del bracconaggio e della diminuzione degli habitat a loro disposizione.

Il nuovo presidente eletto Mokgweetsi Masisi , che ha preso il posto di Ian Khama, strenuo difensore della fauna, sembra molto più tiepido verso la tutela degli animali. Ora però dovrà fare i conti con realtà posto che l’ecoturismo rappresenta una delle principali entrate del paese.

The Guardian ha pubblicato un interessante articolo in cui racconta tutti gli intrecci che attraversano l’intera Africa, con bande che non si occupano solo di smistare l’avorio ma che trafficano anche ingenti quantitativi di stupefacenti. Usando identiche strutture e identici sistemi. Il principale strumento per far funzionare tutto è, come sempre, basato sulla corruzione dei funzionari.

L’inchiesta pubblicata da The Guardian è possibile leggerla qui.

Ma i trafficanti e la richiesta di avorio non si fermeranno facilmente.

 

Traffico illegale di avorio, l’oro bianco insanguinato dell’Africa

traffico illegale avorio

Traffico illegale avorio: tre parole che riassumono la tragedia degli elefanti dell’Africa che si sta consumando ogni giorni sotto gli occhi del mondo.

L’oro bianco insanguinato dell’Africa sta portando gli elefanti a una costante diminuzione, spianando la strada a una possibile estinzione della specie.

I paesi orientali sono fra i maggiori importatori di avorio illegale, contribuendo in modo significativo a sostenere il bracconaggio grazie agli enormi profitti che i cacciatori di frodo e i trafficanti ricavano dalla vendita dell’oro .

Per questo motivo suscita scalpore e ammirazione il comportamento dell’ambasciatrice cinese in Tanzania, che ha inscenato una singolare protesta a Dar el Salaam.

Secondo quanto riportato dal periodico online Face2Face Africa l’ambasciatrice cinese Lu Youqing ha infatti organizzato una marcia di protesta per le vie della capitale della Tanzania, raccogliendo la partecipazione di circa 500 persone.

Per stimolare il governo del paese a mettere in atto maggiori attività di contrasto contro il crimine del bracconaggio degli elefanti, responsabile del loro declino costante. Non sarebbe una notizia se la protesta non fosse avvenuta per le strade di Dar el Salaam e soprattutto non fosse stata organizzata da un’ambasciatrice della Cina.

Per decenni la Cina è stata uno dei maggiori importatori di avorio illegale, molto apprezzato da sempre in Oriente e utilizzato per la produzione di monili e oggetti intagliati. Solo da pochissimo tempo ha iniziato a mettere in atto politiche di contrasto contro il commercio illegale dell’avorio, pur continuando a comprare elefanti dallo Zimbabwe per destinarli agli zoo del paese.

Una politica del doppio forno che comunque dimostra un radicale cambiamento del comportamento della Cina nei confronti dell’ambiente e dell’importanza di salvaguardare la fauna. Molti sono ancora i passi avanti che la Cina deve mettere in atto per il rispetto dei diritti degli animali, e non solo, ma la presenza sempre maggiore di attivisti organizzati lascia ben sperare su una positiva evoluzione della cultura cinese.

L’ambasciatrice cinese in Tanzania ha sottolineato che la sua decisione è stata presa sia per l’importanza di tutelare la fauna dal bracconaggio, in particolare gli elefanti, ma anche per dimostrare l’attenzione del governo cinese verso l’argomento della protezione ambientale, contribuendo così a sfatare il mito che tutti i cinesi siano poco attenti a questo argomento.

Questo atteggiamento e questa innovativa forma di protesta a favore dell’ambiente messa in atto a Dar el Salaam va interpretata come un segno dei tempi che cambiano e di una maggior consapevolezza che piano piano si fa strada, anche in quei paesi e in quei governi che fino ad oggi non l’avevano neppure presa in considerazione.

Non si può infatti dimenticare come in questo momento la Cina sia uno dei paesi più presenti in Africa per la realizzazione di infrastrutture e per lo sfruttamento delle risorse naturali e questo impegno, se proseguirà anche in futuro concretizzandosi in scelte politiche a favore dell’ambiente, potrà costituire un contributo importante alla salvaguardia dell’ambiente e della fauna africana.

Per il momento non si può che prendere atto di questa azione importante contro il traffico illegale avorio e dello stimolo nei confronti del governo della Tanzania perché attui politiche più incisive di contrasto verso i crimini ambientali. Un fatto davvero inaspettato e benvenuto che forse solo la sensibilità di una donna poteva mettere in atto.

 

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