Orso ucciso a Pettorano sul Gizio, condannato definitivamente il responsabile ma in futuro cosa succederà?

Per l’orso ucciso a Pettorano sul Gizio nel 2014, in pieno Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, la Cassazione ha confermato la condanna della Corte d’Appello del luglio del 2020. Una sentenza che mette la parola fine al lungo iter giudiziario, iniziato nell’oramai lontano 2014, obbligando l’imputato a risarcire le parti civili. Purtroppo per un vizio di forma, la condanna non ha potuto avere conseguenze penali e quindi il danno per il responsabile sarà solo economico.
Bisognerà attendere le motivazioni per conoscere i dettagli della sentenza, ma appare evidente che la vittoria già in Corte d’Appello sia stata solo parziale. La mancanza di conseguenze penali per il responsabile, che aveva ucciso un orso per aver predato una gallina, non consentirà di applicare misure accessorie. Come il ritiro del porto d’armi o della licenza di caccia, che sarebbe scattato automaticamente con la condanna definitiva. Ma questa non è la sola problematica che si evidenzia da questa vicenda giudiziaria per un caso di bracconaggio.
I fatti risalgono al 2014 e questo significa che sono passati dal momento della fucilata alla condanna definitiva ben sette anni. Un tempo lunghissimo per ottenere giustizia, arrivato sul filo della prescrizione e che in futuro potrebbe portare a conclusioni molto differenti. Al di là del vizio di forma che ha impedito la condanna penale del bracconiere su questo genere di reati pende una ben più grave spada di Damocle. La riforma della giustizia che abbrevia i termini del processo, usando scorciatoie che non garantiranno una maggior tutela reale alle vittime di reati.
La condanna per l’orso ucciso a Pettorano sul Gizio potrebbe non ripetersi per casi analoghi a seguito delle modifiche al sistema penale
La riforma della giustizia penale, per come è stata delineata, renderà più difficile poter perseguire quelli che per il nostro codice sono classificati come reati minori. Puniti peraltro con sanzioni troppo basse, che non consentono di costituire un reale deterrente per chi abbatte specie protette, e non solo. Crimini soggetti a una valutazione sulla loro gravità, che potrebbe farli finire in fondo alla scala dei reati prioritari, allungando i tempi dei processi. Se in futuro, infatti, la prescrizione si fermerà dopo la condanna di primo grado, saranno le tempistiche dei successivi gradi di giudizio che potranno “spegnere” i processi.
La riforma prevede che il processo di appello debba essere celebrato entro due anni da quello di primo grado e che l’eventuale sentenza della Cassazione arrivi entro i dodici mesi successivi. Con una facoltà per i tribunali di calendarizzare i procedimenti secondo una scala di priorità, non temporale ma di gravità del reato. Tutti i reati commessi contro la fauna selvatica sono contravvenzioni, quindi reati meno gravi dei delitti che dovranno avere la priorità nei giudizi.
Un bravo avvocato potrebbe essere in grado di usare le varie pieghe della legge, oltre ai costanti ritardi presenti nel nostro sistema giudiziario, per ottenere l’allungamento dei tempi. Un fatto che potrebbe portare allo sforamento dei tempi obbligatori, con la conseguente estinzione del reato. Vanificando le possibilità per le vittime di ottenere giustizia nel nome di una giustizia più rapida e efficace, che difficilmente potrà essere giudicata come tale quando non assicura la punizione dei colpevoli.
Il rischio è che i crimini contro gli animali possano sparire dai radar dei tribunali, vanificando la repressione di questi reati
I cittadini hanno l’impressione che questa riforma non sia stata pensata nell’ottica di ottenere una maggior efficienza del sistema ma soltanto per ottenere un accorciamento delle tempistiche. Se i tribunali continueranno a restare sotto organico, se non si arriverà a una velocizzazione della digitalizzazione il rischio è che l’accelerazione dei tempi ammazzi i processi. Un dato che modificherà le statistiche, dando un’impressione di efficienza, rischiando seriamente però di tagliare le gambe alla giustizia vera.
In Italia troppo speso la scorciatoia viene presa come il migliore dei percorsi. Ma questo non può essere considerato vero nel momento in cui viene negato un diritto costituzionale. La giustizia deve essere veloce ma anche giusta, deve perseguire i reati e individuare i responsabili. Senza lungaggini ma con un percorso lineare che garantisca imputati e vittime. Un fatto che spesso resta solo nel libro dei sogni. Con i cittadini che perdono fiducia nei confronti di un sistema che dimostra di non tutelare a sufficienza i deboli.
Un paese che non sia in grado di difendere in modo efficace il proprio patrimonio naturalistico, tutelandolo e difendendolo nell’interesse della collettività, ha comunque perso. In un momento nel quale la tutela ambientale dovrebbe essere il perno sui cui tutto ruota, su cui dovrebbe velocemente collocarsi l’intero sistema economico nazionale. La priorità più urgente, la necessità non più rimandabile. Il tempo sarà in grado di rispondere a tutte queste domande, ma il tempo a disposizione è sempre meno. Scivola via come la sabbia in una clessidra che non potrà continuare a essere ribaltata per ricominciare da capo.