Controsensi dell’amore per gli animali
Controsensi dell’amore per gli animali se ne osservano tutti i giorni, anche grazie alla schizofrenia umana che consente a taluni di avere un cane al guinzaglio e un altro addosso.
Senza farci caso. La campagna pubblicitaria che vedete sta facendo parlare tutta Parigi è stata lanciata dalla Fondazione Bardot.
Per sensibilizzare le persone sull’utilizzo delle pellicce e sulla crudeltà che si nasconde dietro capi, anche di basso costo, con bordure di pelo.
Chiunque abbia attenzione per i diritti degli animali, conoscendo un minimo cosa si nasconde dietro la realizzazione di capi con l’utilizzo di pelliccia, non può che restare senza parole quando si imbatte in una signora che indossa una pelliccia di visone, tenendo al guinzaglio un cane che probabilmente adora.
La sensibilità verso gli animali è molto più accesa verso cani e gatti
Questa differenza di trattamento emotivo, di empatia, nei confronti dell’uno o dell’altro animale può essere vista come una sorta di shock emozionale che porta a vedere con un occhio diverso gli animali che indossiamo, quelli che alleviamo per farli diventare cibo e quelli catturati o allevati appositamente per diventare capi d’abbigliamento. Quasi fossero tre condizioni che vanno a mutare la capacità degli animali di sentire dolore, di provare sofferenza, di aver paura.
Nella realtà penso che il punto sia diverso, forse patologico ma sicuramente diverso. Differente come lo è spesso l’amore, che si presenta di frequente come un sentimento univoco, che non richiede consapevolezza ma solo emotività, che non sempre è connotato dal rispetto ma solo dal desiderio. Che talvolta è violento, assoluto, totalizzante.
Accade di amare un cane, un gatto o un canarino senza una reale empatia, senza chiedersi se questi sia felice nel rapporto che lo lega a noi, ma con la consapevolezza egoista di essere contenti dell’amore che proviamo nei suoi confronti. Non è un rapporto bilanciato, equo, reciproco ma soltanto l’assolvimento di un umano bisogno.
Passeggiare con un cane al guinzaglio, magari indossando il pelo di un suo simile
Così il cane al guinzaglio non può trovare collegamento con l’altro cane, quello delle bordure di pelo di molte giacche che vengono dall’Oriente, oppure con il visone che prima era vivo e che ora, insieme a molti compagni di sventura, si è fatto pelliccia. Ancor meno pare interessare che tipo di vita abbia fatto prima di separarsi dalla sua pelliccia, quante sofferenze abbia patito per ricoprire, in tutto o in parte, la padrona del cane che le trotterella vicino, ignaro.
Anche molte persone amano i loro pappagalli, canarini, criceti e tartarughe (solo per fare un esempio) anche se sono costretti in una cattività tanto “soffocante” da impedirgli di avere quei comportamenti per i quali l’evoluzione li ha disegnati.
Se si facesse un sondaggio sulla pubblica via nessuno dichiarerebbe di essere d’accordo sul fatto che gli animali siano crudelmente maltrattati, negli allevamenti intensivi ad esempio, ma se la domanda contemplasse anche il dover conoscere come si ottengono alimenti e abiti che derivano dagli animali verrebbe a galla la distonia.
Il potere di rimozione impedisce alle persone di memorizzare la genesi della busta di prosciutto a basso costo che hanno nella sporta, anche se hanno visto in televisione, prima di cambiar canale, le pessime condizioni in cui la più crudele industria del pianeta costringe a vivere milioni di vitelli, galline, maiali, vacche, pecore e via dicendo.
La campagna lanciata dalla Fondazione Bardot, alla quale è stato dedicato un sito internet (qui) , servirà a sensibilizzare le persone su una verità apparentemente molto semplice, troppo forse: quella che racconta che il nostro cane ha le stesse capacità, gli stessi sentimenti e le stesse paure di quello che adorna cappuccio e maniche con il suo pelo.