
Il binomio criminalità e animali è una realtà molto più presente di quanto le persone possano immaginare. Questa volta sotto gli occhi degli inquirenti è finita un’organizzazione mafiosa, che fra i tanti reati organizzava corse clandestine di cavalli. Per questa ragione la Direzione Distrettuale Antimafia di Messina, guidata dal Procuratore Maurizio De Lucia, ha disposto una serie di misure cautelari. Che nella notte hanno portato all’arresto di 33 persone, da parte dei Carabinieri della locale compagnia.

L’organizzazione mafiosa sembra facesse capo al clan Galli di Messina, che aveva a sua volta stretto accordi con il clan Santapaola di Catania. Così venivano organizzate le corse clandestine su strada, per le quali purtroppo la Sicilia è particolarmente famosa. Anche perché tutto questo mondo gode di grandi complicità, di stalle clandestine dove ricoverare i cavalli, di fantini. E di un robusto servizio d’ordine capace di chiudere intere strade per consentire lo svolgimento delle corse.
Un’organizzazione complessa che, come sempre accade quando parliamo di criminalità organizzata, genera e distribuisce ricchezza sul territorio. Comprando così molte persone e generando una vasta rete di complicità, anche eccellenti, costituita da colletti bianchi che “lavorano” in questo settore. Così in manette è finito anche un veterinario che curava e dopava i cavalli per ordine dei clan mafiosi.
Gli animali generano grandi profitti e per questo il binomio criminalità e animali è così diffuso
Dalle scommesse clandestine la mafia genera grandi profitti, che creano una provvista di soldi freschi e non tracciabili, utili a garantire il controllo del territorio. Ma molte altre sono le attività lucrose, perché le mafie non trascurano nessun settore sul quale possono lucrare. Come la macellazione clandestina di cavalli e bovini, che rappresenta un fenomeno criminale molto presente, con gravi rischi sanitari per la popolazione. Il crimine non si preoccupa di far visitare gli animali sotto il profilo sanitario: li ruba, li traffica, li macella e li immette sul mercato, con la complicità talvolta anche di negozi autorizzati.
Di questo fenomeno si erano occupati i bravi poliziotti della “squadra dei vegetariani”, tutti in forza al commissariato di Sant’Agata di Militello. Che con una pazienza davvero certosina erano riusciti a ricostruire l’intera filiera del traffico di animali e le reti di complicità che lo avevano agevolato. Ma si sa che la criminalità è come un cancro: muta, si trasforma, si nasconde e rispunta, sotto nuove spoglie. Sono così tanti i crimini contro l’ambiente e gli animali, capaci di produrre enormi profitti, da avere solo l’imbarazzo della scelta.
Molti dei crimini attuati nei confronti degli animali, come ho scritto nel libro “Cani, falchi, tigri e trafficanti“, accadono negli allevamenti di animali da reddito. Nei quali per massimizzare il profitto non ci fa scrupoli nel maltrattare gli animali, facendoli vivere in condizioni deplorevoli. In tutte le fasi della filiera, che passa dagli allevamenti, ai trasporti per concludersi nei macelli. Talvolta con la “complicità” degli organi di controllo, che non vedono o fanno finta di non vedere quanto accade in queste strutture. In alcune occasioni per colpevole superficialità, altre volte per ricompensate omissioni.
Il traffico di animali protetti dalla CITES, sia vivi che morti, rappresenta un enorme fonte di proventi illeciti, generati rubando biodiversità
Sia che finiscano nelle gabbie di qualche collezionista o come ingredienti della medicina tradizionale cinese gli animali protetti muovono grandissimi interessi. Capaci di corrompere non solo alcuni componenti delle forze di polizia deputate ai controlli, ma anche funzionari governativi, ispettori e veterinari. Grazie al potere garantito dal denaro le organizzazioni criminali riescono a far viaggiare attraverso il mondo ogni genere di animale e vegetale protetto. E per ogni sequestro fatto in porti e aeroporti ci sono tonnellate e tonnellate di scaglie di pangolino e avorio, solo per citare due derivati molto trafficati, che raggiungono illecitamente l’Oriente.
Per non parlare degli animali vivi, più complessi da occultare, specie se di dimensioni ragguardevoli, che viaggiano spesso con false certificazioni. Documenti veri nella forma, in quanto rilasciati dalle autorità amministrative dei paesi d’origine, ma falsi nella sostanza per quanto concerne la loro provenienza legale. Un complesso meccanismo che rende difficili i controlli anche nei paesi di transito, che si trovano di fronte a documentazione formalmente ineccepibile. Non potendo sapere che magari il destinatario non esiste o che quello che compare nei documenti come un centro scientifico sia nella realtà un trafficante.
Sino ad arrivare ai cosiddetti pezzi di ricambio: animali protetti ma nati in cattività, che perdono quindi buona parte della loro tutela giuridica. Spacciati, come per esempio è stato ipotizzato per certe tigri delle quali si parla nel libro, per animali ufficialmente destinati a uno zoo chiuso, mentre in realtà erano più probabilmente destinati a diventare preziosi ingredienti usati nella medicina tradizionale.