
I crimini contro gli animali si combattono con la prevenzione: la sola repressione è il fallimento del nostro debito di formare le nuove generazioni. Quando si arriva a colpire i responsabili di azioni crudeli contro gli animali (e non solo) ci si avvicina alla giustizia. Senza riuscire a riparare davvero un danno già commesso. Nulla restituirà vita e dignità a un essere vivente che ne è stato privato, nulla cancellerà la sofferenza dalla sua anima.
Appare evidente che sia necessario punire i responsabili dei crimini contro gli animali, come i responsabili di ogni reato, di qualsiasi forma di violenza e sopruso. Senza distinzione di specie perché, come detto più volte, il vero nemico è la violenza, senza dare un valore più o meno alto che vari a seconda delle specie su cui è esercitata. E nemmeno sul genere, perché l’essenza negativa della violenza non cambia se la vittima sia maschio oppure femmina.
Per questo è molto importante educare alla gentilezza, al rispetto e alla sensibilità verso gli altri. Sembrano spesso concetti scontati, elementari, quasi certezze della quali non si debba nemmeno parlare. Ma purtroppo non è così perché la nostra società gronda violenza, esercitata, raccontata, messa in mostra. Sia con comportamenti verbali che con un sottile compiacimento nell’esibire il baratro morale che dimostrano certe azioni. Che sarebbe meglio illustrare che non far vedere a ogni costo: la narrazione è più potente, in certi casi, dell’immagine. Ci costringe a arrivare sino in fondo al baratro, non ci da scuse per distogliere lo sguardo.
Molti crimini contro gli animali si combattono esaltando il valore dell’empatia, non esibendo la violenza della crudeltà
Non credo che sia vero che le persone abbiano bisogno di osservare le immagini di uno dei tanti inferni per capirne gli orrori. Liliana Segre, donna che rappresenta un patrimonio culturale cresciuto sull’orlo di un baratro atroce, commuove molto più con il suo racconto di quanto non faccia un’immagine di corpi ammassati. Nella sua voce percepiamo la vita nella sua essenza, l’atrocità e la sofferenza, ma anche una pace dell’anima che ha rifiutato ogni violenza. Compresa quella della vendetta, del voler esercitare la legge del taglione.
Se molti difensori dei diritti degli animali imparassero a toccare il cuore delle persone, rifiutando insulti e violenza, forse qualche passo in più nella cultura del rispetto lo si sarebbe fatto. Invece, per dar libero sfogo alla loro irruente violenza, che è certo diversa ma non per questo migliore, rischiano di non avere ascolto alcuno, se non nelle camere dell’eco (quelle che gli anglosassoni chiamano echo chamber). Luoghi frequentati da simili ma disertati da persone che rifuggono gli odiatori, la violenza verbale e quella visiva.
Il mondo non è mai diventato un luogo migliore dove stare dopo che si è commesso un linciaggio. Niente è cambiato nel sentire di quanti lo hanno commesso né degli spettatori. Si è solo rafforzato l’erroneo compiacimento che sorregge la logica che alla base “dell’occhio per occhio, dente per dente”. Che non è mai servita per far apprezzare la bellezza del rispetto, ma solo a dar valore allo sfogo dei peggiori istinti del nostro lato oscuro dell’anima, intesa in senso laico come essenza dello spirito.
La punizione per un crimine non cambia gli accadimenti ma punisce i responsabili, senza poter cancellare il danno causato
Dopo anni passati a combattere i crimini contro gli animali, cercando di non perdere mai di vista il valore di tutti gli esseri viventi, penso che la condanna dei responsabili rappresenti comunque una sconfitta. Necessaria, auspicabile, giusta ma comunque mai rappresentabile come una vittoria. Ha vinto la giustizia (forse) ma se il fatto è stato commesso ha perso la società. Che ha investito poco in prevenzione e forse ancor meno nella repressione.
Arrestare un bracconiere non riporta in vita gli animali, denunciare un aguzzino non cancellerà mai le sofferenze che ha inferto. E lo Stato troppo spesso non si preoccupa nemmeno di confiscare il profitto che certi reati garantiscono ai criminali. Eppure spesso leggiamo che la giustizia ha trionfato, ma quasi mai discutiamo e proviamo a capire di quanto la prevenzione abbia fallito. Questa domanda in questi giorni me la sono fatta spesso pensando a M49, agli orsi del Casteller: (mal)trattati come fossero cose. non considerati nella loro essenza, nella capacità di provare, solo per fare un esempio, il tormento della paura. Eppure anche in questo caso la prevenzione avrebbe avuto un miglior risultato, con minor sofferenza.
Credo che dovrebbe giungere il tempo in cui il benessere sarà considerato come lo stare bene, in equilibrio con l’ambiente che circonda un essere vivente. Un tempo in cui saranno finalmente applicate senza deroghe le 5 libertà scritte da Roger Brambell e in cui si pensi con più determinazione al diritto alla felicità. Un tempo che veda l’estinzione dei forcaioli e la riproduzione a profusione del buon senso, della compassione e dell’empatia.