Sono sempre gli ultimi della terra, quelli in difficoltà, che devono migrare, che devono patire la sofferenza del distacco, della lontananza, dell’altrui diffidenza. La Sicilia è stata ed è tuttora, seppur con diverse connotazioni, terra di migranti, ma anche di immigrati che fuggono dalle tante guerre.
Una regione così bella di quest’Italia, altrettanto bella quanto impossibile, nella quale non migrano solo le persone, ma anche i cani.
Scorrendo questa mattina le notizie sul sito di Geapress, unica agenzia giornalistica che si occupi esclusivamente di animali e ambiente proprio dalla Sicilia, ho letto un articolo sul Canile di Palermo e ho subito pensato fosse un errore, la notizia l’avevo già letta in precedenza! Purtroppo nel nostro Paese la realtà spesso supera la fantasia e perciò stiamo nuovamente parlando dello stesso canile fatiscente, dal quale sono stati trasferiti gli animali in Emilia Romagna più di un anno fa per poterlo ristrutturare, cosa puntualmente non accaduta e, quindi, eccoci ancora a dover ripetere un giro di giostra, con l’ipotesi più che concreta di un nuovo trasferimento di cani. Pochi lo dicono, ma i cani sono come i migranti: accomunati spesso in una vita di sventure, maltrattati e non voluti, che però costituiscono per qualcuno una grande fonte di ricchezza, troppo spesso illecita. Se qualcuno si scandalizzasse mai della similitudine è bene che legga fino in fondo: l’inchiesta Mafia Capitale, che è finita un po’ sottotono sui media ultimamente, come accade sempre da noi, ha dimostrato quanto i migranti rappresentino un pozzo di San Patrizio per la criminalità organizzata, spesso contigua e sovrapposta alla politica. Ogni migrante ha un costo, per ogni migrante c’è un profitto, spesso molto più alto del lecito, quasi sempre fatto a spese di chi dovrebbe essere accolto senza sfruttare la sua disperazione. Bene, lo stesso meccanismo viene messo in atto nella gestione del randagismo perché due sole possono essere le ipotesi: siamo capaci di andare sulla luna, ma non sappiamo debellare il randagismo oppure il randagismo sviluppa una rete fatta di economie reali e sommerse e talvolta di interessi personali non economici, che lo rendono un fenomeno imbattibile, un guerriero invincibile. Tanto sarebbe assurda e incomprensibile la prima ipotesi, tanto è purtroppo reale la seconda.
Dietro la gestione di molti canili, non certamente tutti, si cela un giro d’affari milionario che per poter continuare a funzionare deve essere sempre tenuto sotto controllo, mantenuto e, soprattutto, alimentato. La non gestione del randagismo grazie all’inerzia, ma talvolta anche alla collusione, degli amministratori, rappresenta la miglior garanzia per la perpetuazione sine die dei canili, dei canili lager, dei maltrattamenti degli animali e del fiume di danaro che questo settore genera. Da una parte ci sono i randagi, con la loro sofferenza, che patiscono il tradimento del patto che l’uomo aveva stretto con il cane, dall’altra gli speculatori, quelli che sui cani fondano le loro ricchezze, ma anche il potere di corrutela che esiste, inutile negarlo, e che genera rapporti criminogeni fra controllori e controllati; questo, in particolare al sud del paese, ma ovviamente non solo, ha consentito la creazione di strutture che ospitano centinaia e centinaia di cani, con poca speranza di avere un fine pena. Strutture che non sono in grado di dare benessere ai cani ospitati, ma solo di toglierli dalla strada per farli rimpiazzare da nuovi sventurati.
Questi sono i due poli del problema, ma probabilmente come in Mafia Capitale, sarebbe più importante analizzare la Terra di Mezzo, quella zona grigia dove il fenomeno si alimenta, cresce, si frammenta, mescolando persone per bene, talvolta con grande cuore ma scarsa capacita progettuale, associazioni, amministratori pubblici, proprietari di canili, veterinari, controllori e pubblici impiegati in un elenco infinito dove i pochi criminali riescono a tenere in scacco i più, ad impedire l’adozione di misure efficaci e a mantenere uno stato di fatto immutabile.
I cani provenienti dai canili lager spesso sono inadottabili, alienati da condizioni di prigionia inaccettabili, minati nello spirito e nel fisico e destinati a restare reclusi a vita oppure ad essere magari mandati al nord, grazie a un tam tam che viaggia su internet, che porta, con troppa frequenza, a fare adozioni sconsiderate, che alimentano nuovamente il fenomeno e non risolvono la sofferenza del cane. Ci sono persone che per dare una chance a un cane di un canile lager si giocano la pensione, altre magari che invece si assicurano guadagni proprio attraverso questa attività, lupi travestiti da agnelli che speculano sulla buona fede delle persone e sul benessere degli animali. Tutto questo avviene con le ASL che troppo spesso restano immobili oppure agevolano i trasferimenti dei cani dal sud al nord; così facendo c’è un problema in meno, un costo in meno e un dato positivo in più da inserire nelle tabelle ministeriali.
Il canile di Palermo è la prova provata di questo modo assurdo di gestire il problema, di questa non gestione del randagismo che porta i cani a dover subire un nomadismo non voluto, spesso dannoso per gli animali e soprattutto capace solo di rigenerare un problema e non di estinguerlo. In fondo basterebbe sedersi a un tavolo, senza estremismi, senza preconcetti e mettersi a fare due conti, semplici somme e sottrazioni che ci permettano di capire quanto, in termini di pubblico denaro, costi la non gestione del randagismo, il non realizzare un piano quinquennale a livello nazionale che segua le linee guida dell’OMS e l’adozione di provvedimenti eccezionali che limitino il continuo afflusso di cani, che impongano la sterilizzazione, che prevedano l’interdizione dal tenere animali per chi ha dimostrato di non essere in grado di gestirli, curarli oppure li maltratta. Invece chissà dove finiranno i cani di Palermo, e non solo di Palermo, trasferiti in altre regioni, sottratti di fatto a ogni controllo e magari destinati a restare in un canile a vita.
Non ho nulla contro le adozioni anche in luoghi lontani dall’origine del cane, ma solo secondo criteri inalienabili a garanzia del benessere degli animali. Criteri che impongano delle condizioni:
– essere sempre tracciabili, identificati con microchip e iscritti in anagrafe
– seguire protocolli che garantiscano la compatibilità fra cani ed adottanti, secondo criteri internazionali che sono un patrimonio acquisito
– affidare gli animali sempre e soltanto in strutture autorizzate e mai sulle strada, agli svincoli autostradali, nelle aree di servizio
– essere trasportati in modo tale da garantire il benessere degli animali, tutti muniti di idonea copertura vaccinale
La buona fede e la buona volontà di tante persone che si muovono autonomamente, senza controllo, sta creando problemi e anche molte proteste sulla rete da parte di chi ha adottato dei cani, garantiti sani ed equilibrati, magari di taglia piccola ed ha invece ricevuto un soggetto malato, mordace e di grossa taglia. Bisogna però dire che queste persone potranno anche fare degli sbagli nella loro determinazione di aiutare gli animali, ma quelle che lo fanno rimettendoci i soldi di tasca loro e con grande fatica, nel disinteresse generale, meritano solidarietà per il loro impegno e i loro sacrifici, che non significa sempre poter condividere modi e obbiettivi.
Per arginare questo fenomeno, preoccupante, occorre però che il Ministero della Salute, le Regioni, le Amministrazioni pubbliche e le associazioni di tutela degli animali diano vita a un progetto globale per la gestione del randagismo, che dimostri la volontà di occuparsi seriamente del problema. Solo in questo modo il nomadismo dei cani, i viaggi della speranza, l’improvvisazione dovuta alla disperazione, ma anche il malaffare, la criminalità e i furbetti che con le adozioni dei cani si riempiono il portafoglio potranno avere fine.